TURCHIA: Continua il processo di pace coi curdi, nonostante Gezi

di Emanuela Pergolizzi

Alcuni cambiamenti necessitano, storicamente, della dialettica dello scontro diretto e dell’opposizione sorda a governi poco sensibili alle richieste democratiche della popolazione. Ce ne sono altri, tuttavia, che si sviluppano in silenzio, con la mitezza della terra e la perseveranza dell’acqua. Senza ondate ma goccia a goccia, questi, solcano la pietra.

Mentre i fumogeni di Gezi Park si diradavano nell’aria, molti analisti hanno iniziato a domandarsi quali fossero le sorti del processo di pace turco-curdo, ora che il futuro democratico dell’intero paese è in questione. L’aspra retorica di Erdogan, i toni critici di esponenti curdi come Sirri Sureya Onder, i dubbi espressi da attori chiave del processo di pace come Karayilan e Demirtas, sembravano tirare sempre di più le sottili  corde dei negoziati. Eppure, come l’implacabile scorrere della corrente, il dialogo turco-curdo prosegue con la stessa gradualità con cui ha riportato i primi successi, a partire dallo scorso marzo.

Sviluppi incerti ma continui

E’ ancora incerto il numero di militanti curdi del PKK che hanno oltrepassato il confine turco-iracheno, prima tappa prevista per la buona riuscita dei negoziati. Iniziata l’8 maggio, il completo ritiro dei militanti, secondo alcuni, poteva essere ultimata questo luglio. Tuttavia è definitivamente allontanato lo spettro del 1999, anno dell’ultimo ritiro concordato con il governo, fallito con l’uccisione di 500 militanti negli scontri con le truppe turche.

Mentre procedono gli spostamenti sulle montagne al confine con il nord-Iraq nei lontani palazzi istituzionali di Ankara non cessano i negoziati sull’inclusione, nella riforma costituzionale, di maggiori diritti per la minoranza curda. Il 19 giugno esponenti del partito di rappresentanza curda (Partito della Pace e della Democrazia, BDP) hanno incontrato il ministro della giustizia e il vice primo ministro Atalay, presentando un pacchetto di 25 articoli per l’avanzamento delle riforme. Atalay ha confermato che le discussioni governative sono tutt’ora in corso e proseguiranno.

Tuttavia rimane incerta – più che mai, dopo le violente rivolte di Taksim – la contropartita che Erdogan chiederà per queste riforme. Inizialmente l’accordo prevedeva l’appoggio dei deputati curdi per una modifica costituzionale in senso presidenziale in vista delle prossime elezioni del 2014. Mentre l’opposizione, l’Europa e la stampa internazionale puntano il dito contro una gestione del potere autoritaria è incerto se Erdogan si sia giocato definitivamente le possibilità di ottenere queste modifiche.

Allo stesso tempo gli incontri con il governo hanno avuto come risultato la regolarizzazione delle visite al leader curdo Öcalan, secondo una cadenza bisettimanale. Nell’isola-prigione di Imrali Öcalan potrà ora ricevere, a scelta, sia esponenti del BDP che della più ampia organizzazione-ombrello del DTK (organizzazione eterogenea che riunisce più gruppi e partiti politici curdi), senza che siano – come in precedenza – di stretta nomina governativa.

Gezi Park non è un ostacolo, ma un’occasione

L’arroganza dialettica di Erdogan durante gli scontri di Gezi Park non ha affatto aiutato, ma se mai messo in pericolo, le sorti del processo in più occasioni. La critica del premier ai nazionalisti, per aver “giustapposto le bandiere turche a quelle di un terrorista”, facendo riferimento all’Apo (lo “zio”, soprannome di Ocalan) hanno infiammato subito gli animi della minoranza curda. “Se volesse veramente risolvere la questione curda”, ha risposto prontamente Karayilan, comandante delle milizie del PKK nel nord Iraq, “non dovrebbe aiutare i nazionalisti ad accettarlo?”. “Come possiamo continuare il processo di pace”, replica anche il vice-segretario del BDP Demirtas, “con un primo ministro che ci chiama ancora “terroristi”?”.

La dura retorica dell’ “uomo di Kasimpasa”, il difficile quartiere di Istanbul da cui Erdogan proviene, non è una novità e gli esponenti curdi sanno bene, questa volta, di dover essere pazienti. Baskin Oran, membro della commissione degli “uomini saggi”, istituita per promuovere il processo turco-curdo nel paese, sostiene al contrario che proprio gli eventi di Gezi Park possano costituire un’importante spinta a proseguire il processo democratico in atto: “Le proteste di Taksim sono una richiesta di democrazia. La stessa richiesta che portiamo avanti noi curdi”.

Oran chiede quindi di “agire adesso e in fretta”, perché non è più solo la sua minoranza ma l’intero paese a domandarlo. Con l’implacabile perseveranza di un popolo abituato alla resistenza, i negoziati continuano quindi il loro corso. Tra correnti alterne e curve improvvise il lento fluire del processo sembra piano piano scalfire la pietra. Dopo trent’anni di scontri è la stessa società civile a chiedere che si arrivi alla pace –   una corrente lenta ma inesorabile, che non ammette marce indietro.

Foto: (AP Photo/Jacob Silberberg)

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3 commenti

  1. Ci credo che il dialogo procede… di mezzo c’e’ il petrolio del Kurdistan.

  2. Silvia Padrini

    Si, le due rivendicazioni di maggiore democrazia (da parte dei kurdi e dei manifestanti di Taksim) potrebbero avere una sorte comune, l’importante è che “l’uomo di Kasimpasa” non dia una stretta ulteriore a tutti i movimenti, carsici e non…. In ogni caso un bell’articolo, complimenti!

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