POLONIA: Kapuscinski ancora nell'occhio del ciclone. "Scese a patti col comunismo"

La figura di Ryszard Kapuscinski è di nuovo al centro di polemiche in Polonia. Dopo le accuse di collaborazionismo con il regime comunista che lo videro, negli ultimi mesi della sua vita, vittima della lustratja dei gemelli Kaczynski, è ora il turno di Artur Domoslawski, autore di una biografia sul reporter polacco dal titolo Kapuscinski non-fiction: «La letteratura si lega sempre al mito dello scrittore. Il titolo del mio libro suggerisce che questo mito non sempre corrisponde al vero, che oltre al bianco e al nero ci sono gradazioni di grigio. In quella zona grigia si trovano molte verità» spiega Domoslawski sulle pagine del settimanale Polityka. La polemica si è subito infiammata anche grazie ai media polacchi che l’hanno alimentata, consapevoli della presa di questo argomento sul grande pubblico. Un pubblico che però ignora, in buona parte, le opere e la vita del giornalista polacco. I dettagli imbarazzanti che emergono da questa biografia sono controversi, e c’è chi si interroga sull’opportunità di renderli noti. Sotto accusa è soprattutto l’immagine di sé che Kapuscinski ha creato attraverso i suoi reportage, un’immagine eroica e del tutto falsa, almeno secondo Domoslawski.

Il quotidiano Gazeta Wyborcza solleva alcuni interrogativi a riguardo: «I critici dell’ingerenza impietosa nella vita del grande reporter ritengono che essa non serva a nulla, se non al sensazionalismo. Altri ritengono che la figura di Kapuscinski, lungi dal soffrirne, ne è anzi uscita persino rafforzata. L’autore va giudicato per la propria vita o per le proprie opere? La ricerca della verità si può fare senza infangare la memoria dello scrittore?». Ma sotto accusa sono «i capitoli dedicati alla carriera di Kapuscinski nella Polonia comunista, in qualità di agente dei servizi segreti e membro fedele del Partito», sottolinea Piotr Semka, editorialista di Rzeczpospolita, che con tono inquisitore accusa Domoslawski di essere troppo indulgente con «la spia» Kapuscinski.

Dal settimanale Newsweek Polska vengono parole di moderazione: «Molti oggi sono troppo giovani per ricordarsi gli anni Sessanta. Era quello un mondo dove non c’erano alternative alla realtà comunista, dove ognuno cercava un compromesso con il potere per riuscire a sopravvivere. In quel mondo nessun intellettuale poteva rifiutare il flirt con il Potere: era costretto a siglare un patto con il diavolo che così poteva controllargli l’anima», spiega il settimanale, che prosegue: «La verità va detta, è un diritto dei lettori conoscerla. Noi non dimentichiamo nulla ma non stigmatizziamo nessuno».

Anche Zygmunt Bauman sembra di questo parere: «Grazie a Domoslawski ora sappiamo il prezzo che Kapuscinski ha dovuto pagare, il prezzo che ha dovuto accettare, per svolgere il suo lavoro di conoscenza. Conoscenze che ha poi rifuso in saggezza, e a cui tutti ora possono attingere», afferma il celebre sociologo dalle pagine del settimanale cattolico Tygodnik Powszechny. «In questa biografia si evidenzia il dramma che fu di una generazione, qual’era la mia. La resistenza alla fascinazione del comunismo, e alle sue lusinghe, da un lato. La necessità di scendere a patti con il potere, dall’altro».

Dietro la querelle Kapuscinski c’è molto più che un semplice dibattito culturale. C’è la crisi d’identità di un Paese. Un Paese che non è ancora riuscito a fare i conti con il suo passato comunista. Le derive populiste della democrazia polacca non hanno giovato al necessario processo di revisione storica e di ricerca della verità dopo decenni di dittatura e mistificazione. Il processo di lustratja portato avanti dai Kaczynski è parso più un regolamento di conti con l’opposizione che una volontà di pacificazione con il passato. L’uso strumentale della lustratja, per colpire intellettuali e oppositori, screditandoli con accuse di collaborazionismo al regime, getta un’ombra sul processo di transizione democratica della Polonia. Ecco allora che Kapucinski diventa simbolo delle contraddizioni del proprio Paese, anche dopo la morte, come accade a ogni grande scrittore.

Foto: Retedue.rsi

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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