NAGORNO-KARABAKH: A una settimana dalla tregua

L’accordo di pace firmato lo scorso 9 novembre dai capi di governo di Armenia e Azerbaigian su mediazione russa inizia ora a dare i primi esiti concreti. La riacquisizione da parte di Baku di molti dei territori occupati dalle forze armene nella prima guerra del Nagorno-Karabakh è un evento che desta reazioni diametralmente opposte nei due paesi: gioia tra gli azeri, preoccupazione e rabbia tra gli armeni. La potenziale riapertura di alcuni corridoi economici nella regione apre, invece, nuovi e inaspettati scenari nel Caucaso Meridionale di cui potrebbero giovare sia Armenia che Azerbaigian.

Tumulti sul fronte armeno

Continuano le proteste che hanno infiammato la capitale armena Erevan fin dall’alba della decisione presa dal primo ministro Nikol Pashinyan di accettare l’accordo di pace per porre fine al conflitto nel Nagorno-Karabakh. Per difendersi dalle critiche, il premier ha evidenziato nel suo discorso alla nazione del 12 novembre come la presa di Shusha/Shushi avrebbe fatto da preludio a un’inevitabile catastrofe, mettendo sotto assedio i circa 25 mila soldati presenti nel restante territorio del Nagorno-Karabakh controllato dalle forze armene. La tensione a Erevan resta molto alta.

Un post pubblicato da Pashinyan su Facebook il 15 novembre, in cui invita i soldati a rientrare dal Nagorno-Karabakh per risolvere “il problema dei piagnucoloni fuori le mura”, ha fatto pensare al preludio di una guerra civile. In seguito a ciò quattro parlamentari hanno abbandonato la coalizione di governo, mentre è notizia recente che il ministro degli esteri Zohrab Mnatsakanyan ha rassegnato le proprie dimissioni. Nel frattempo sono state arrestate diversi personalità dell’opposizione, tra cui il leader del partito “Patria” Artur Vanestian, con l’accusa di aver premeditato l’assassinio del premier. L’invito di ieri sera (17 novembre) del presidente Armen Sarkissian a Pashinyan a definire un percorso che porti, in breve tempo, allo scioglimento del governo e ad elezioni anticipato non ha fatto che acuire la crisi politica nel paese.

In questo contesto tumultuoso, raddoppia il numero ufficiale dei soldati caduti sul fronte armeno durante il conflitto, che sale a 2317, mentre Baku non ha ancora comunicato l’entità delle sue perdite umane. Il numero totale delle vittime è tuttavia tristemente destinato ad aumentare considerato che è ancora in corso lo scambio dei corpi dei caduti fra le due parti.

La prima evacuazione

Il dispiegamento dei peacekeeper russi sul territorio del Nagorno-Karabakh continua in concomitanza dell’evacuazione dei civili armeni dai territori riacquisiti dall’Azerbaigian, come la città di Kelbajar. Abitata da una maggioranza di azeri in epoca sovietica, fu teatro di uno degli scontri più violenti nel corso della prima guerra del Nagorno-Karabakh. L’evento portò all’espulsione in massa della popolazione locale, circa 60 mila azeri nell’aprile 1993. Il passaggio di territorio, prima previsto per il 15 e poi posticipato al 25 di novembre in accordo con le autorità azere, ha suscitato non poche criticità da parte dell’opinione pubblica azera. È ancora vivido infatti il ricordo di come i profughi azeri furono costretti ad abbandonare le proprie case in condizioni di estrema sofferenza.

Attualmente, l’emigrazione degli oltre 2 mila abitanti armeni della regione si è distinto per due eventi simbolici: il primo, la decisione di molti di dar fuoco alle proprie abitazioni per evitare che finiscano in mano azera; il secondo, il saluto d’addio dato all’antico monastero armeno di Dadivank. A tal riguardo, ha fatto discutere il tweet del ministro della cultura azero Anar Karimov, in cui si attribuirebbe al monastero risalente al XIII secolo una diversa discendenza, legata all’antico popolo degli Albanesi caucasici. La preservazione dell’eredità culturale armena nei territori da trasferire a Baku resta una delle tante questioni su cui ci si interroga negli ultimi giorni. È una prassi ormai consoldata quella del governo azero di assimilare nella cultura albanese caucasica qualsiasi monumento cristiano, negando l’antica tradizione religiosa armena presente sul proprio territorio. In ogni caso, due gruppi di peacekeeper russi dovrebbero restare a protezione del monastero, mentre il clero locale ha deciso di rimuovere temporaneamente le campane, i dipinti e i khachar, le croci di pietra tipiche dell’architettura armena.

Una nuova connettività

Come stabilito dal punto 9 dell’accordo, “tutte le attività economiche e le reti di trasporto nella regione devono essere prive di restrizioni”. Ciò apre sicuramente un nuovo scenario per la connettività regionale.

Se da un lato a Baku verrà garantito un corridoio di congiunzione con l’exclave del Nachicevan lungo il confine armeno-iraniano, il premier Pashinyan ha fatto notare anche come la direttrice che collega Erevan alla regione meridionale del Syunik (il territorio armeno al confine con l’Iran) attraverso il Nachicevan verrà riaperta, in aggiunta al collegamento ferroviario tra Armenia e Iran passante per l’exclave azera. Almeno sulla questione dell’apertura dei corridoi economici, sembra che entrambi i paesi ne potrebbero trarre beneficio: Baku stabilisce un collegamento diretto con la sua exclave, mentre Erevan potrà contare su un più semplice collegamento con il territorio montuoso del Syunik e con Teheran. Un elemento quindi che darà maggior respiro a tutte le economie nazionali della regione.

Inoltre, il presidente dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh Arayik Harutyunyan ha annunciato che la strada Martakert-Kalbajar-Vardenis, che costituisce un collegamento alternativo a quello attraverso Lachin tra l’Armenia e la regione separatista, dovrebbe rimanere sotto il controllo armeno per un periodo di tempo non specificato.

Ancora incertezze

Molti nodi, comunque, restano ancora da sciogliere. Il primo è quello sul ritorno dei profughi nei territori riconquistati da Baku. La distruzione delle abitazioni e più in generale del paesaggio urbano a opera degli stessi armeni che stanno venendo evacuati renderà le condizioni per un ritorno immediato degli azeri più complesso. Il processo di reinsediamento potrebbe quindi richiedere diversi mesi, se non anni.

Mentre il collegamento alternativo fra Erevan e Stepanakert viene aperto, in queste stesse ore la Turchia invia le sue forze armate in Azerbaigian nell’ambito del memorandum firmato con Mosca per la costituzione di un centro di monitoraggio congiunto sull’area. I dati riguardo il contingente turco non sono al momento noti.

Resta da capire quanto la situazione possa restare sotto controllo. Lo spiegamento di forze esterne inviate da Mosca e Ankara complica il quadro nella regione contesa, dove, nonostante la tregua, continua ad alimentarsi il risentimento tra la popolazione locale.

 

Immagine: Deutsche Presse-Agentur (DPA)

Chi è Marco Alvi

Laureatosi in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali al L'Orientale di Napoli, continua i suoi studi magistrali al corso di Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe (MIREES) dell'Università di Bologna. Si interessa da lungo tempo di Caucaso e conflitti etnici, a cui si aggiungono diverse esperienze pratiche nella regione caucasica. Dopo aver vissuto in Russia e in Azerbaigian, inizia a scrivere per East Journal occupandosi di sicurezza energetica, conflict resolution e cooperazione tra Caucaso, Mar Nero e Mediterraneo orientale.

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