UCRAINA: Meglio le radiazioni delle bombe

Da KIEV – Da una catastrofe all’altra; dalle radiazioni alle bombe, e viceversa. Nella zona di Chernobyl, dove ebbe luogo uno dei più grandi disastri nucleari del pianeta, alcuni villaggi e città ai margini della zona di esclusione stanno iniziando a ripopolarsi piano piano. Il merito sembra andare ad un’altra catastrofe, ben peggiore: la guerra nel Donbass e le sue bombe a est del paese.

Le ultime cifre indicano che il numero di sfollati interni provenienti dalla penisola di Crimea e soprattutto dai territori occupati del Donbass, dove la guerra con la Russia continua da 4 anni, hanno superato il milione e mezzo nel 2018, ovvero l’equivalente del 3,5% della popolazione intera dell’Ucraina. Una cifra ben peggiore del numero di sfollati causato dal disastro nucleare di Chernobyl nel 1986 (la stima si aggira intorno a 336.000 persone reinsediate altrove).

Si scappa dalle bombe per vivere tra le radiazioni

Nella città di Chernobyl il 26 aprile del 1986 esplose il reattore numero 4 della centrale nucleare, causando uno dei più grandi disastri ambientali del pianeta e lasciandosi dietro città fantasma, come la famosa Pripjat’. Negli ultimi anni, alcuni villaggi colpiti dalle radiazioni, per lo più situati a diversi chilometri dalla zona di esclusione, stanno iniziando a riprendere vita lentamente.

Tuttavia, se questi luoghi si stanno ripopolando, il merito va quasi interamente agli sfollati interni che fuggono dal conflitto armato in corso nell’Ucraina orientale. A trent’anni dalla catastrofe nucleare, che ha causato un’evacuazione di massa dei cittadini che risiedevano nella zona della centrale, è oggi la guerra nel Donbass a spingere i suoi abitanti a scappare, questa volta dalle bombe e dal conflitto infernale, per costruirsi una nuova vita. E dove andare in cerca di un futuro migliore sperando di essere accettati non come poveri migranti interni, ma come cittadini normali? Radynka e Polis’ke, con Zelena Poljana, Holubijeviči e Bazar, sono le principali mete.

Gli sfollati hanno cominciato a insediarsi in queste zone fin dall’inizio della guerra, nel 2014, non trovando certo condizioni ottimali o migliori delle zone di provenienza: interi quartieri, villaggi e case abbandonate con finestre rotte, tetti crollati e cortili deserti. Alcune infrastrutture di base mancano tuttora: scuole, ospedali e posti di lavoro. Eppure sono molti ad accettare e affrontare queste difficoltà pur di vivere lontano dalle bombe.

Non sono solo le condizioni burocratiche ed ecologiche a rendere complicato l’insediamento degli sfollati. Alcuni abitanti locali, che si ritrovano improvvisamente degli sfollati come vicini, sono scettici e ostili nei confronti dei nuovi arrivati, che spesso vengono additati come separatisti, e quindi come dalla parte del nemico. Ciononostante, gli sfollati non hanno intenzione di tornare nelle loro città natali distrutte dalle bombe e molti incoraggiano amici e conoscenti a raggiungerli: “Meglio le radiazioni delle bombe. Qui c’è silenzio, si riesce a dormire, e non serve nascondersi o correre a riparo”.

Un reinsediamento lento ma ricco di speranza

Dopo che le autorità ucraine hanno emesso una serie di decreti ufficiali che chiedevano il reinsediamento volontario della popolazione locale, l’area che circonda la centrale è diventata una zona a controllo radio-biologico potenziato, tanto che il 2018 ha visto l’inaugurazione di un impianto ad energia solare proprio nella zona di esclusione.

Tuttavia, ancora oggi ci sono moltissimi edifici vuoti, e i soldi e la volontà di farli sistemare scarseggia. Le autorità locali hanno pensato a un piano di recupero che, nonostante richieda tempo, fondi e pazienza, sembra funzionare, anche se a rilento. Gli edifici vengono accuratamente controllati e dati in affitto agli sfollati per cifre irrisorie e con procedure semplificate.

Scienziati e ambientalisti monitorano continuamente i livelli di radiazioni nella flora e fauna circostante, anche al di fuori della zona di esclusione, dove i territori sono abitati. Non ci sono più rischi di radiazioni nell’atmosfera, ma in alcune aree la contaminazione del suolo, che ha assorbito tutto, potrebbe essere ancora dannosa per la salute delle persone.

Immagine: BBC Ucraina

Chi è Claudia Bettiol

Nata lo stesso giorno di Gorbačëv nell'anno della catastrofe di Chernobyl, sono una slavista di formazione. Grande appassionata di architettura sovietica, dopo un anno di studio alla pari ad Astrakhan, un Erasmus a Tartu e un volontariato a Sumy, ho lasciato definitivamente l'Italia per l'Ucraina, dove attualmente abito e lavoro. Collaboro con East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso, occupandomi principalmente di Ucraina e dell'area russofona.

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