ELEZIONI POLONIA / 4 – Vince Tusk, ma la sorpresa è Palikot. Bassa affluenza alle urne

Le urne consegnano i risultati prefigurati nei giorni scorsi dai sondaggi. Piattaforma Civica (PO), il partito di Donald Tusk, si conferma primo partito con il 39% dei voti perdendo due punti percentuali rispetto alle elezioni parlamentari del 2007. Il partito conservatore ed euroscettico Diritto e Giustizia (PiS), guidato da Jaroslaw Kaczynski, ha raggiunto il 30% dei voti, circa l’1% in meno del 2007. Il Partito popolare polacco (contadino, PSL), attualmente al governo con Tusk,  si ferma all’ 8,5% (circa mezzo punto meno del 2007). L’alleanza tra Piattaforma Civica e Partito popolare resta in maggioranza con 236 seggi su 460. L’Alleanza della sinistra democratica perde quasi cinque punti fermandosi all’8,2%.

Tutti i partiti hanno perso qualcosa rispetto alle precedenti elezioni, voti che sono confluiti verso il nuovo Movimento Palikot che si assesta al 10,1 %.
Janusz Palikot è un fuoriuscito di Piattaforma Civica, è parlamentare dal 2005 e si è sempre fatto notare per i suoi atteggiamenti provocatori e populisti, come quando nel 2007 brandì al Sejm un pene di gomma come una pistola per denunciare una violenza sessuale perpetrata da un poliziotto. Janusz Palikot, con il suo Movimento, intercetta le istanze della parte più progressista e libertaria della società polacca e di quei giovani che mal sopportano un sistema politico generalmente conservatore. Sia Piattaforma Civica che Diritto e Giustizia sono infatti espressione di una destra poco incline a farsi portavoce di valori votati alla laicità, al razionalismo, al relativismo. Il Movimento Palikot invece si propone come anti-clericale e anti-conservatrice, include la liberalizzazione delle droghe leggere, i diritti per gli omosessuali, meno restrizioni all’aborto e la fine dell’educazione cattolica nelle scuole pubbliche. Quest’ultimo punto è un vero e proprio tabù in Polonia. Il successo di Palikot mostra come la Polonia sia molto meno conservatrice della sua classe politica, ma anche di come l’immagine di uomo di successo unita a metodi di propaganda populista attragga – a ogni latitudine – le simpatie dell’elettorato.

Il dato che poco fa sorridere è la diserzione dalle urne: solo il 48,36 % dei polacchi è andato a votare. Una democrazia, quella polacca, che da sempre fatica ad affermarsi: se non suffragata dall’affluenza al voto, ogni democrazia cammina su gambe fragili. E fragili sono ancora tutte le democrazie dell’est Europa dove il voto è ampiamente disertato e dove il populismo la fa da padrone. Il caso polacco (insieme a quello ceco e sloveno) rappresenta comunque una delle democrazie più avanzate dell’ex area comunista.

Ora, a urne chiuse, Tusk potrà tornare senza pensieri alla presidenza di turno dell’Unione, ruolo che finora la Polonia sta compiendo con una maturità che in pochi hanno fin qui dimostrato. Non solo, la destra moderata e progressista polacca segna la via del rinnovamento per la destra europea ancora troppo vicina al modello conservatore e (talvolta) autoritario. Una lezione che viene da est e che per questo in molti, con abituale pregiudizio, non prenderanno in considerazione.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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4 commenti

  1. Sul livello di affluenza alle urne: l’Italia è il secondo paese con la più alta affluenza e senza voto obbligatorio, dopo l’Austria. La Polonia è il penultimo, ma comunque tra Svizzera e Stati Uniti.
    http://en.wikipedia.org/wiki/Voter_turnout#International_differences

    A me viene il dubbio che sia l’Italia ad essere un’eccezione, e che non ci sia correlazione con la stabilità democratica del paese.

  2. Non so, penso che il voto sia uno degli aspetti più importanti della democrazia, certamente quello che più di altri fa la democrazia. Se il sistema democratico non è legittimato dal voto allora si potrebbe ritenere che al demos non interessi nulla del cratos e che quindi l’oligarchia possa affermarsi come sistema di potere (anche mascherandosi da democrazia) come già sta accadendo anche in democrazie avanzate (succede, è vero, per una debolezza che non coincide con l’affluenza). In fondo, che torto si fa a togliere la democrazia a chi non la vuole? Non mi sfuggono i distinguo, le confutazioni, i dettagli, ma penso – mi hanno insegnato a pensare – che i dettagli sono ricami di un tessuto. Se manca la lana con cui tessere, però, c’è poco da fare. Credo che l’affluenza alle urne sia sinonimo di cittadinanza, di società complessa e attiva: senza è il deserto sociale dove crescono le malepiante dell’autoritarismo.

    Non vorrei però sembrarti un’integralista. Parlando di diritto di voto mi sono più volte trovato a sostenere l’ammissibilità dell’idea di suffragio limitato (cercando il più equo discrimine) come da lezione di J.S. Mill. sono “democratico” in senso compiuto. Sono anzi incompiuto come la democrazia stessa, e credo che pensare – ognuno nel suo piccolo, poi mettendoci in relazione e confronto – a come rendere migliore la democrazia sia dovere di ogni cittadino. Guardo con un certo interesse, ad esempio, a quanto accade in Islanda.

    Scusa le semplificazioni e il passar da palo in frasca, è il piacere della chiacchiera.

  3. D’accordo che un’affluenza al 100% sia l’ideale; ma l’ideale solo nel momento in cui tutti i cittadini votano informati e consapevoli. Altrimenti, mi è più facile vedere il legame tra alta affluenza e spettacolarizzazione (turnout = share?).
    Per quanto riguarda l’Islanda sì, sarebbe bello essere in trecentomila e gestirsi da soli. Forse lo si potrebbe fare in Val Seriana 🙂

  4. Non credo che l’affluenza al 100% sia l’ideale, non se non è spontanea. E sappiamo bene quanto l’affluenza sia coercibile tramite spettacolarizzazioni (come dici bene) o altre forme di mobilitazione dall’alto. Non credo che l’individuo debba servire la democrazia, ma la democrazia sia a servizio dell’individuo. La partecipazione è per me importante, e non si riassume solo nell’andare a votare. Quello che non vedo è un modello di partecipazione che dia senso al partecipare: se siamo in 50 milioni, la mia partecipazione varrà un cinquantamilionesimo. Non ha quasi senso. Ecco perché ti dico che mi piace quanto sta accadendo in Islanda, non penso mica che sia esportabile. Dico solo che mi piace. Sembra che in contesti ristretti la democrazia funzioni meglio. Se questo fosse vero, beh, si potrebbe ragionarci su. Tutto qui. Poi temo molto una democrazia diretta brembana, non oso pensare quali mostri possa produrre ancora il pensiero politico lombardo 😛 …

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