STORIA: La “piccola” rivoluzione dell’ottobre 1993

Sono passati venticinque anni dall’ottobre 1993, da quella che diverrà conosciuta come la piccola rivoluzione d’ottobre, quando la neonata Russia post-sovietica sembrava sull’orlo di precipitare in una distruttiva e drammatica guerra civile. Il 3 e il 4 ottobre il lungo scontro politico tra il presidente Eltsin e il parlamento a maggioranza comunista finiva nel sangue. L’eredità e le scorie di quello scontro rimangono ancora elementi cruciale per capire la Russia di oggi.

L’ottobre cruciale, dal 1917 al 1993

Ottobre è stato un mese rivoluzionario nella storia del novecento russo. Settantasei anni separano la svolta cruciale del 1917 da quella, meno spettacolare ma altrettanto significativa del 1993. Nel 1993 l’Unione Sovietica era ormai il passato e la nuova Russia iniziava a percorrere i primi passi come paese indipendente.

Agli albori degli anni novanta, allo scontro tra le istituzioni sovietiche e quelle nazionali e a quello tra personalità politiche antitetiche come quella di Gorbaciov e Eltsin – culminato nel pacifico collasso finale dell’Unione – si sostituiva definitivamente quello tra i due rami del potere in Russia, l’esecutivo e il legislativo. Al centro della contesa, non c’era solo il destino della nuova costituzione e la distribuzione dei poteri tra presidente e il parlamento, ma piuttosto l’intero assetto istituzionale della Russia post-sovietica, intrappolata allora in un groviglio di spinte centrifughe e centripete che minacciavano un’ulteriore e progressiva frammentazione territoriale del paese. Non solo Cecenia, ma anche Tatarstan, Baschiria, Jakutija e altre regioni e repubbliche rivendicavano indipendenza e sovranità. A Ekaterinburg, città natale di Eltsin, veniva proclamata l’indipendente Repubblica degli Urali.

La difficile transizione politica andava, in quegli anni, a braccetto con la rivoluzione economica, con le prime privatizzazioni e con la ‘terapia d’urto’ del passaggio dalla pianificazione sovietica al libero mercato. Uno scontro non solo politico quindi, quello tra il presidente e il parlamento, ma anche un confronto di visioni diverse sui modi e sui tempi della transizione e, in ultimo, su chi dovesse assorbire il carico più pesante che la rivoluzione democratica degli anni ’90 comportava. Uno scontro, a ben vedere, senza compromesso, risolto, per l’ennesima volta nella storia russa da un colpo di mano. I parlamentari trincerati, i manifestanti in loro sostegno per giorni in piazza, l’esercito che, dopo giorni d’incertezza, sceglie la parte del presidente. L’epilogo è drammatico. Il parlamento viene preso di mira dai carri armati fedeli a Eltsin mentre almeno 124 persone perdono la vita (secondo le fonti non ufficiali le vittime sarebbero molte di più).

La controrivoluzione nella rivoluzione

La vittoria di Eltsin e il sangue nelle strade di Mosca nell’ottobre del 1993 non sono però solo il simbolo della definitiva e radicale rottura con il passato sovietico, della sconfitta dell’ultima resistenza comunista al cambiamento democratico. Qualche mese dopo, infatti, venne definitivamente approvata la nuova Costituzione che, tutt’ora in vigore, stabiliva il carattere super-presidenziale della Federazione Russa. Ma non solo. La ‘piccola’ rivoluzione dell’ottobre 1993 ha probabilmente avuto conseguenze ben più durature sulla società russa nel suo insieme e sulla percezione dei nascenti simboli della democrazia che andavano lentamente a sostituire il totalitarismo sovietico.

In un perverso paradosso, infatti, se da una parte la violenta vittoria di Eltsin sul parlamento ha significato il consolidamento dei risultati raggiunti sull’onda della glasnost e della perestrojka, dall’altra ne ha rappresentato l’ultimo atto, aprendo la strada verso una nuovo ciclo di centralizzazione del potere.

Proprio per questo, forse, il periodo degli anni novanta rappresenta ancora un riferimento centrale nella Russia di oggi. Il decennio di contraddizioni che ancora oggi faticano ad essere metabolizzate e che ancora oggi servono da spauracchio o da esempio glorioso al quale aggrapparsi. Gli anni della libertà, nuova ed imprevedibile. Gli anni della creatività e della (ri)scoperta di se stessi e degli altri, nella musica così come nella letteratura. Gli anni di un cambiamento epocale, totale, radicale. Ma anche gli anni della povertà, delle file per il pane e dei nuovi ricchi venuti dal nulla. Gli anni di stipendi e pensioni non pagate e dell’inflazione galoppante. Gli anni dei regolamenti dei conti e dei morti ammazzati. Gli anni che, in fondo, si stava meglio quando si stava peggio. Anni che alla fine hanno preparato la poltrona per il nuovo inquilino del Cremlino.

Oggi, a venticinque anni da quel cruciale ottobre del 1993, lo spauracchio dei cecchini che sparano sulla folla e la possibilità di un nuovo, radicale, scontro sociale risiede alla base della retorica del Cremlino e di chi continua a vedere nell’uomo forte al comando e nel suo pugno di ferro il male minore se paragonato al caos che potrebbe sostituirlo. Una visione, a ben vedere, non dettata solo dalla propaganda del Cremlino.

Chi è Oleksiy Bondarenko

Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.

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