Nei Balcani, di storie al limite dell’incredibile ce ne sono tante. Alcune sono molto popolari, altre invece, rischiano di essere dimenticate. Quella di Aleksandar “Lekso” Saicic si mantiene in vita grazie al suo carattere mitologico, in bilico tra verità storica e leggenda.
Nato a Berane, in Montenegro, nel 1873, Lekso sviluppa il classico profilo che qualche anno più tardi sarebbe stato definito “jugoslavo”: cresce nella piccola cittadina montenegrina; frequenta il liceo a Dubrovnik; quindi si iscrive alla scuola di sottuficiali a Belgrado.
Qui si fa notare sin da subito per un’arte militare che gli permetterà non solo di far carriera nell’esercito, bensì diventare una leggenda: l’arte della sciabola.
Quando nel 1904 la Russia dichiara guerra al Giappone, il principe del Montenegro Petar II Petrovic-Njegos, in segno di amicizia verso lo zar Nikola II, decide di mandare un contingente di volontari montenegrini per aiutare l’esercito alleato alla conquista della Manciuria, regione contesa tra i due imperi.
Ed è qui che inizia la storia leggendaria di Lekso.
Sul campo di battaglia in Manciuria, con i due eserciti schierati prima della battaglia, si fa avanti un cavaliere giapponese con bandiera bianca. Porta con sé un messaggio: l’imperatore giapponese vuole che i comandanti russi scelgano un soldato per un duello contro un loro samurai. Increduli per la richiesta di rispettare una tradizione che credevano superata, i russi decidono comunque di accettare la sfida. Scelto il miglior cavallo, Lekso Saicic si offre volontario per combattere con la sua sciabola contro il samurai.
I due opposti eserciti seguiranno il duello come si farebbe oggi con un film. Quello russo accompagna con la tromba il trotto di Aleksandar Saicic verso il centro del campo di battaglia, dove lo raggiunge l’avversario.
Secondo le testimonianze dell’epoca, per tutta la durata del duello gli sfidanti rimarranno in sella al cavallo, scambiandosi colpi di sciabola e difendendo la guardia. Un poema dell’epoca recita: “Come eroi coraggiosamente si alzarono/con le sciabole si batterono/scagliandosi l’un contro l’altro./Come aquile si colpirono/l’uno aggirando l’altro/le loro sciabole si intrecciarono”.
Fino a quando Lekso fu colpito di striscio al capo: un rigagnolo di sangue gli scese sugli occhi e gli segnò il volto. Il samurai, pensando che il montenegrino fosse ormai spacciato, gli si scagliò contro per il colpo finale. Ma Lekso si scansò, velocemente alzò la sciabola e colpì a morte il samurai.
Nonostante la guerra russo giapponese si concluderà con la vittoria del Giappone nel 1905, la sconfitta del samurai incise sul morale delle truppe giapponesi, che perderanno quella battaglia.
Aleksandar Saicic riceverà le congratulazioni sia dall’ammiraglio della flotta russa, Zinovij Rozenstvenskij, che da quello della flotta giapponese, Togo Heihachiro. Promosso al ruolo di capitano, fino al termine del conflitto guiderà un battaglione della cavalleria russa. E per volere dello zar Nikola II, Saicic riceverà quaranta napoleoni d’oro all’anno per tutto il resto della sua vita.
Terminata la guerra, non mancheranno medaglie e riconoscimenti, e Saicic diventerà anche cavaliere dell’Ordine di Sant’Anna, la più alta onoreficienza in Russia.
Lekso Saicic muorirà nel 1911 a Cetinje, capitale del Regno del Montenegro, in seguito alle ferite riportate dopo esser saltato dal secondo piano del palazzo reale durante un incendio. La sciabola con cui sconfisse il samurai in Manciuria è ancora oggi conservata nel museo militare di Mosca.