La Cecoslovacchia ed il Boia di Praga

BERLINO – Come facilmente intuibile, capita che chi si occupi di Germania ed ex Cecoslovacchia provi un fisiologico sospetto per chiunque riesca a pubblicare un libro a tema più o meno narrativo che abbia come nucleo centrale il rapporto tra Germania ed ex Cecoslovacchia. Invidia amplificata dal fatto che il testo in questione possa addirittura vantare un titolo oscuro, dunque in netta controtendenza con i più basilari dogmi editoriali. Successo doppio.

Tuttavia stavolta risulta necessario fare uno strappo e ammettere quanto HHhH (Einaudi Frontiere, 2011) sia un riuscito romanzo storico – ma ogni definizione scivola da queste parti – e l’autore, Laurent Binet, tra quelli da tenere d’occhio per agilità e competenza.

Il plot lo riassumo in poche righe, non essendo di fatto l’aspetto portante dell’opera: nascita, vita (breve) e morte (ben congegnata) di Reinhard Heydrich, papavero del Reich detto «il Macellaio» o «il Boia di Praga» per questa sua innegabile tendenza ad organizzare l’orrore standosene di stanza nella capitale boema, più o meno atteggiandosi a re. Incaricati di farlo secco un ceco e uno slovacco – Jozef Gabčík e Jan Kubiš – nel contesto di contingenze tra le meno agevoli della storia recente.

E proprio la capacità nel descrivere quegli anni, genesi e sviluppo della macchina, nonché lo stile utilizzato (piuttosto distante dalla saggistica vera e propria ma anche dalla narrativa a tema) rappresenta la chiave della riuscita del progetto: informazioni raccolte e riproposte non attraverso gli usuali dettami dello studioso/culture ma con una singolare metodologia in fieri per l’accumulo di competenze, certo astuta in un testo del genere. Esempio: prima seguitemi nell’acquisto online di un volume sulla Seconda Guerra Mondiale, poi aspettate che lo legga, quindi sentite cosa ho da dirci. Risultato: un puzzle moderno, direbbe qualcuno, capace di illustrare a quanti non lo sapessero come sia stata centrale la vicenda ceca e slovacca non solo a ridosso del periodo ma nell’intero Novecento. Non solo per l’Europa centrale ma per l’intero equilibrio mondiale. Quanto risultino essenziali le figura di Tomáš Masaryk e Edvard Beneš, e detestabili le controparti tedesche, anni luce distanti dall’umanesimo che permeava buona fetta dei politici a Praga o cecoslovacchi in esilio a Londra (chi più e chi meno: limitiamoci a dire -e HHhH lo sottolinea- che Milan Hodža non brillò per schiena dritta in quegli anni, chiudendo gli occhi davanti ai blindati del Reich rombanti per Karmelitská.)

Come sia stato possibile allestire nel cuore d’Europa un mattatoio tra la complicità di alcuni e gli eroici sacrifici di altri (gli «altri»: i tanti che meriterebbero anche loro un libro ognuno, scrive Binet). Comprendere le divergenze tra cechi e slovacchi ai tempi e forse anche adesso, i rapporti con le nazioni vicine e le aspettative di un buon numero di allucinati convinti di poter farla da padroni per un buon lasso di tempo. I Sudeti tedeschi, l’ottusità di Chamberlain e la popolazione stretta tra le ruote dentate, in larga scala eliminata.

Il tutto con l’oscena figura di Heydrich a fare da perno attorno cui organizzare la narrazione. Poiché come già scritto, al netto del ruolo imprescindibile che ricopre, il nucleo del libro non è rappresentato da Heydrich quanto dallo scenario nel quale è stato ficcato e che fattivamente ha contribuito a creare con le proprie funzionali caratteristiche. Cito dal testo, nonostante alcuni sensibili problemi di virgolette che risolverò con corsivi inventati. Dice Binet: «quando parlo del libro che sto scrivendo, dico il mio libro su Heydrich. Eppure Heydrich non dovrebbe essere il protagonista. Da quando porto in me questo libro, e sono anni, non ho mai pensato di intitolarlo diversamente da Operazione Antropoide (e se per caso non è il titolo che leggete sulla copertina, sapete che mi sono arreso all’editore a cui non piaceva granché: faceva troppo fantascienza, troppo Robert Ludlum, a quanto pare…). Heydrich è l’obiettivo, non l’attore della operazione. Tutto ciò che racconto su di lui ha lo scopo di delineare lo scenario. Ma bisogna ammettere che, da un punto di vista letterario, Heydrich è un bel personaggio. E’ come se un dottor Frankenstein romanziere avesse partorito una creatura terrificante ispirandosi ai più grandi mostri della letteratura. Tranne che Heydrich non è un mostro di carta.»

Ma pochi sono gli aspetti di carta dalle parti di HHhH (dimenticavo: acronimo che indica l’andante «il cervello di Himmler si chiama Heydrich». In tedesco Himmlers Hirn heisst Heydrich) e molto è disturbante realtà, escluse alcune sezioni narrative facilmente identificabili in quanto Binet non si perita di sottolineare la fatica che fa nel buttarle giù.

Dunque, tra plot e stile, un testo intrigante. Sebbene (e qui torniamo da dove siamo partiti) per chi di ex Cecoslovacchia abbia scelto di occuparsi, l’aspetto più apprezzabile risulti essere il visibilissimo amore che l’autore prova per questa terra. Chi per lei – ma non solo – ha sacrificato la vita, e Praga inamovibile sfondo, il palcoscenico offerto dalla «città più bella del mondo» in barba a chi per lunghissimo tempo ha provato a umiliarla e straziarla, relegandola a giocattolino smontabile e rimontabile dell’impero.

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3 commenti

  1. Molto bravo. Complimenti.

  2. Un giovane storico francese, Laurent Binet, ha scritto uno stupendo libro, a metà strada tra il saggio storico e il romanzo autobiografico. L’opera, uscita in Patria l’anno scorso per le Edizioni Grasset & Fasquel di Parigi, è valsa all’A. il “Prix Gouncourt du premier roman” 2010. Ora Einaudi lo fa conoscere al pubblico italiano col medesimo titolo originario. Binet racconta che, quand’era adolescente, suo padre, storico a sua volta, gli parlò con grande partecipazione di un evento considerato come il colpo più importante realizzato dalla Resistenza europea: l’attentato, effettuato a Praga la mattina del 27 maggio 1942, che costò la vita a Reinhard Heydrich, Reichsprotektor (ad interim) di Boemia e Moravia dal 27 settembre 1941, il braccio destro di Heinrich Himmler; in realtà suo autentico ispiratore. Il giovanissimo Laurent, appassionatosi alla vicenda grazie alle parole paterne, per molto tempo ha approfondito il tema, non trascurando alcun ambito di ricerca. Il frutto dell’impegno di tanti anni è quest’opera originale, dove l’Autore segue le vicende dei diversi attori e, soprattutto, condivide l’eroico sacrifico in nome della libertà di Gabčik e Kubiš, fino a seguirli idealmente nella cripta della Chiesa ortodossa dei S.S. Cirillo e Metodio (in Praga), dov’essi si rifugiano dopo l’attentato. Non li lascia mai, fino al tragico epilogo, quando, solo dopo ore e ore, 800 SS hanno la meglio su un gruppetto di 7 ardimentosi. Un omaggio a questi Eroi e ad una città molto amata, un contributo affascinante, da leggersi d’un fiato, dove Storia e Memoria si intrecciano grazie ad una originalissima opera di “contaminazione”. Mara Marantonio

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