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SLOVENIA: A Lubiana ci sono i giganti?

di Andrea Loffi

Lubiana, cuore pulsante della Slovenia, ponte sospeso tra Mitteleuropa vetero asburgica e sud est levantino; lì, dove la Lubljanica e la Sava si incontrano, è nato quello che dai più è definito il gigante di Lubiana. Così è stato soprannominato Slavoj Žižek, importante e dibattuto filosofo contemporaneo e agitatore della cultura. La sua filosofia è immensa e tocca un numero di questioni; ma qual è stato il ruolo che i Balcani e il comunismo jugoslavo hanno giocato nella sua vita e nel suo pensiero?

Cominciamo con un po’ di biografia, anche a uso del lettore che non conosce il nostro filosofo. Žižek è nato a Lubiana nel 1949 dove si è laureato nel 1973 studiando lo strutturalismo francese e Heidegger, e così mostrando già il suo carattere di bastian contrario rispetto al pensiero dominate marxista, inconfutabile all’epoca. Conseguito il dottorato, nel 1981 si recò a Parigi dove fu influenzato dalla psicanalisi di Lacan. La sua agenda filosofica prevede di rileggere Hegel attraverso la psicanalisi, di riproporre un pensiero hegeliano fondato sulla nozione di vuoto, e di sviluppare una critica dell’ideologia dominante. Scrittore instancabile, la sua prosa rutilante passa con disinvoltura dall’alta filosofia ai film horror trash e nei suoi libri si trova citato di tutto.

Durante la giovinezza prestò servizio nell’esercito jugoslavo, e racconta: «avevamo la formula, sotto Tito (e io non ho nostalgia per Tito, ma questa è un’altra storia), fratellanza e unità. Io sostengo che, fino a un certo punto, funzionò, nella misura in cui si basava su scherzi sporchi, su scherzi razzisti. Hanno giocato una grande ruolo progressivo. Per esempio noi sloveni saremmo spilorci. La nostra storiella standard è che una fata va da un contadino sloveno e gli chiede “Farò per te tutto quello che vuoi, ma ricorda: farò al tuo vicino due volte tanto”. Il contadino sloveno rispose: “Prendi uno dei miei occhi”. In Montenegro hanno i terremoti e il loro cliché è la pigrizia. Potete immaginare come sia la storia: sapete come si masturba uno del Montenegro? Scava un buco in terra, ci mette dentro il suo pene e aspetta un terremoto». Qui l’uditorio rise, e Žižek osservò: «vedete come sta funzionando anche adesso? Adesso stiamo realizzando la vera fratellanza e unità!». Insomma, piccoli scambi di oscenità aiutano a creare armonia. Controprova: quando la Jugoslavia era al collasso, il governò vietò questo tipo di umorismo, giudicato lesivo della fratellanza dei popoli. Così finì l’ironia, e finì anche la Jugoslavia.

Žižek è un estimatore di Hitchcock, nei cui film ritornano figure come il doppio (La donna che visse due volte) o l’Altro spettrale (Intrigo internazionale). I Balcani sono, nel pensiero di Žižek, una regione hitchcockiana, una specie di doppio negativo, di Altro spettrale dell’Europa occidentale. In un vecchio filmato, Žižek se ne sta imbacuccato nel suo cappotto sopra un ponte in una brumosa giornata d’inverno, e dice, indicando alle sue spalle: «Quello che vedete qui è una delle più carine vedute di Lubiana. Sembra Parigi, foglie verdi, su entrambi i lati case carine, niente di speciale. Eh, ma vi sbagliate! Questo fiume è il limite geografico ufficiale tra i Balcani e la Mitteleuropa. Perciò, attenzione: sull’altro lato, orrore, dispotismo orientale, le donne vengono picchiate, stuprate, e gli piace. Su questo lato, l’Europa, civiltà, le donne vengono picchiate e stuprate, ma non gli piace. Allora: Balcani, Mitteleuropa. Non dimenticatelo!».

I Balcani sono lo spettro dell’Europa – non solo: i Balcani sono lo spettro dei Balcani stessi. «È come se non ci fosse una risposta definitiva alla domanda “Dove cominciano i Balcani?” – i Balcani sono sempre da qualche altra parte, un po’ più a sudest… Per i serbi, cominciano laggiù, in Kosovo o in Bosnia, ed essi difendono la civiltà cristiana contro quest’Altro dell’Europa; per i croati, cominciano nell’ortodossa, dispotica e bizantina Serbia, contro cui la Croazia custodisce i valori democratici occidentali; per gli sloveni, cominciano in Croazia, e noi siamo l’ultimo bastione della pacifica Mitteleuropa; per molti italiani e austriaci, cominciano in Slovenia, l’avamposto a occidente delle orde slave; per molti tedeschi, la stessa Austria, per i suoi legami storici, è già guasta di corruzione e inefficienza balcanica; per molti tedeschi del nord, la Baviera, per il suo gusto provinciale cattolico, non è priva della contaminazione balcanica; molti francesi arroganti associano la stessa Germania con una brutalità orientale balcanica del tutto estranea alla finesse francese; e questo ci porta all’ultimo anello di questa catena: ad alcuni conservatori britannici che si oppongono all’Unione Europea, per i quali – implicitamente, almeno – l’intera Europa continentale funziona oggi come una nuova versione dell’impero turco nei Balcani, con Bruxelles come una nuova Istanbul, un centro dispotico vorace che minaccia la libertà e la sovranità britanniche»[1]. I Balcani, più che essere un’espressione geografica, diventano una questione ideale.

E il comunismo? Žižek si definisce comunista, e tuttavia giudica il comunismo del secolo scorso un fallimento totale. Egli ricorda con amarezza quei movimenti che, in passato, invocavano un socialismo dal volto umano (è il caso della Primavera di Praga), cioè una correzione del sistema dall’interno che, tenendone fermi i principi, lo accordasse ai bisogni e alle aspettative dei cittadini. Fu un sogno. E siccome la storia si ripete sempre (almeno) due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa, oggi si sente parlare di capitalismo dal volto umano, cioè di un capitalismo che sappia tener fermi i principi del welfare state e che garantisca dignità e benessere a tutti i cittadini. La scommessa di Žižek è che questo secondo tentativo di umanizzare il sistema non avrà esito migliore del primo.

Ma allora che cos’è il comunismo di cui Žižek è fautore? Il comunismo è l’Evento. Già, suona misterioso. Quando non si danno reali alternative politiche, come nel sistema globale attuale, l’unica scelta giusta è fare un passo indietro e creare il vuoto. Astenersi, non aiutare il sistema a sopravvivere giocando secondo le sue regole, magari con la convinzione di “scegliere il meno peggio”. Solo così può aprirsi quello spazio vuoto necessario perché qualcosa di radicalmente nuovo possa emergere, perché l’Evento possa accadere e gli uomini essere più liberi. I tentativi di comunismo del passato hanno avuto il merito di mostrare che una rivoluzione è possibile, che un’alternativa è possibile. Non si è realizzata? Bisogna ripetere gli sforzi ancora e ancora. Quando l’Evento sarà realtà, gli uomini guarderanno indietro e vedranno i rivoluzionari del passato come profeti[2].

Anche noi, allora, prendiamoci del tempo, e vediamo se il futuro, giudice tranquillo e imparziale, darà ragione a Žižek. E se non gliene darà punto, egli avrà avuto almeno il merito di averci fatto molto divertire e arrabbiare molto.

 

[1] Slavoj Žižek, The Fragile Absolute, or, Why is the Christian Legacy Worth Fighting for? London-New York, Verso, 2009, pp. 1-2.

[2] Vd. Slavoj Žižek, The Year of Dreaming Dangerously. London-New York, Verso Books, 2012.

 

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Un commento

  1. Insomma, sediamoci e aspettiamo… Balcanicamente naïf.

    Dubito che però le cose vadano così e del passato sarebbe meglio studiarne gli errori per non ripeterli, piuttosto che continuare a sbagliare e reinventare continuamente la ruota.

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