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SLOVACCHIA: Ricette per teorie del complotto, aggiungete Soros q.b.

Il primo ministro Robert Fico ha risposto negativamente all’ipotesi di un rimpasto del governo presentata del presidente della repubblica slovacca Andrej Kiska. Non solo, è passato all’offesa ventilando ipotesi di complotto, chiedendo spiegazioni rispetto all’incontro di Kiska con il milionario George Soros, fondatore dell’Open Society Foundation.

Come un vetro appannato

Con il duplice omicidio del giornalista investigativo Ján Kuciak e della sua fidanzata Martina Kušnírová, la cittadinanza è scesa in piazza per manifestare contro la corruzione, la mancanza di trasparenza, e incidentalmente, il governo Fico. Infatti, per quanto il primo ministro stia cercando di rendere la vicenda una questione personale, le proteste nascono da una scarsa lungimiranza della classe dirigente slovacca.

Già nel 2010, il piccolo paese centro-europeo è stato investito dal cosiddetto scandalo del Gorilla, un rapporto dei servizi segreti che ha esposto una rete di tangenti tra il mondo degli affari e le più alte cariche dello stato. Nel corso del 2016, invece, il governo Fico aveva dovuto giustificare l’indagine ai danni del ministro degli interni Robert Kaliňák, sospettato di aver accettato un pagamento di 260.000 euro da parte dell’uomo d’affari Ladislav Bašternák.

La cosa peggiore è che i chiarimenti giudiziari rispetto alle vicende non sono ancora arrivati. L’esecuzione di Ján Kuciak, che stava indagando sui legami tra personaggi vicini alla ‘Ndrangheta e politici di SMER-SD, il partito del primo ministro, sembra l’ennesimo tentativo di far sparire la polvere sotto il tappeto. I cittadini slovacchi sono scesi in piazza, e tra loro, anche il presidente della repubblica Andrej Kiska, che domenica 4 marzo ha chiesto le elezioni immediate o un rimpasto del governo che metta da parte le figure poco trasparenti. Oggi, in Slovacchia. la popolazione guarda alle sue istituzioni attraverso un vetro appannato.

La teoria del complotto

Dopo aver rifiutato categoricamente le ipotesi ventilate dal presidente, Fico ha parlato di complotto, sostenendo che invece di focalizzarsi su questioni irrilevanti, Kiska dovrebbe spiegare alla cittadinanza perché nel settembre del 2017 si sia incontrato con Soros. L’accusa appare infondata. Infatti, l’incontro non era stato nascosto, ma addirittura reso noto dallo stesso Kiska su Facebook il 25 settembre. Il presidente slovacco ha incontrato il filantropo di origine ungherese negli Stati Uniti nel corso di un viaggio durante il quale si è intrattenuto con decine di persone. Il tema del loro incontro è stata l’integrazione delle comunità rom in est Europa, uno dei capisaldi dell’Open Society Foundation.

Fico sta cercando di distrarre l’opinione pubblica quel tanto che basta da permettergli di salvare il governo. Nonostante i suoi sforzi, lunedì 5 marzo, il ministro della cultura Marek Maďarič, di SMER, si è dimesso sostenendo che: “È chiaro che debbano esserci dei cambiamenti nel governo”, perché sono: “Gli stessi partiti della coalizione a chiederli.”

L’atteggiamento di Fico, oltre ad essere estremamente infantile, è antidemocratico e tristemente comune a larga parte dei leader politici mondiali. Abbiamo visto Donald Trump cercare di spostare l’attenzione sull’amministrazione Obama ogniqualvolta gli venga chiesto se sapesse delle ingerenze russe a suo favore durante la campagna elettorale. Anche se colui che trova in Soros il bersaglio preferito delle sue critiche è senz’altro il premier ungherese Viktor Orbán, con cui Fico sembra avere sempre più punti di contatto.

Il problema è che la cosa spesso funziona, e Soros, insieme ai vaccini e alle scie chimiche, sta entrando a pieno diritto tra gli argomenti più in voga tra i complottisti di tutto il mondo. Il problema non sono le notizie false, ma l’incapacità di distinguere tra il verosimile e il grossolano, tra uno scherzo e un argomento serio. Ne “Il Pendolo di Foucault” Umberto Eco scriveva: “C’era un tale, forse Rubinstein, che quando gli avevano chiesto se credeva in Dio aveva risposto: ‘Oh no, io credo… in qualcosa di molto più grande…’ Ma c’era un altro (forse Chesterton?) che aveva detto: da quando gli uomini non credono più in Dio, non è che non credano più a nulla, credono a tutto“.

Chi è Gian Marco Moisé

Dottorando alla scuola di Law and Government della Dublin City University, ha conseguito una magistrale in ricerca e studi interdisciplinari sull'Europa orientale e un master di secondo livello in diritti umani nei Balcani occidentali. Ha vissuto a Dublino, Budapest, Sarajevo e Pristina. Parla inglese e francese, e di se stesso in terza persona.

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