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BOSNIA: Quale giustizia per gli stupri di guerra?

A più di vent’anni dalla fine della guerra in Bosnia ed Erzegovina (1992-1995), più di 20.000 donne continuano ad affrontare le conseguenze psicologiche, fisiche e materiali delle violenze sessuali a cui sono sopravvissute. Come dimostra un recente report di Amnesty International, “Abbiamo bisogno di sostegno, non di pietà. L’ultima speranza di giustizia per le sopravvissute agli stupri di guerra”, le ripercussioni delle violenze sono esasperate dalla difficoltà di ottenere giustizia e dalla mancanza di un diffuso riconoscimento del trauma affrontato.

L’accesso al sistema di giustizia

Secondo Amnesty International, negli ultimi anni c’è stato un visibile miglioramento delle modalità con cui le istituzioni giuridiche bosniache lavorano con le donne sopravvissute agli stupri di guerra, soprattutto negli ambiti della protezione e del supporto psicologico dato alle testimoni. Tuttavia, il frammentato e disomogeneo sistema giuridico del paese, composto da una Corte nazionale e sedici Corti dislocate nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina, in Repubblica Serba e nel distretto di Brčko, causa continui problemi di giurisdizione, rallentando ulteriormente i procedimenti per i crimini di guerra.

Il numero delle donne che è riuscito ad accedere al sistema di giustizia ed ottenere una sentenza soddisfacente è, di conseguenza, esiguo. Come riportato dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, dal 2004 al 2016 all’incirca il 28% dei casi relativi a crimini di guerra completati dalle Corti in Bosnia ed Erzegovina includeva accuse di violenza o sfruttamento sessuale. Nello stesso periodo di tempo, solo 162 persone sono state condannate per aver commesso questi crimini. La totale assenza di compensazioni e la riduzione delle pene, spesso convertite in somme di denaro, aggravano ulteriormente questi dati, lasciando alle donne sopravvissute un profondo senso di ingiustizia.

Il difficile ottenimento di riparazioni

Per quanto riguarda la distribuzione di riparazioni la situazione non è migliore, soprattutto a causa dell’inesistenza di un piano nazionale unico capace di garantire alle sopravvissute un trattamento equo. La Federazione riconosce uno status speciale alle vittime di violenze sessuali avvenute durante la guerra, con la conseguente possibilità per queste donne di ricevere uno stipendio mensile e l’accesso a cure mediche gratuite. Al contrario, in Repubblica Serba per beneficiare di tali sussidi è necessario essere riconosciute vittime civili di guerra, procedimento che richiede di dimostrare un alto grado di disabilità fisica, escludendo di fatto la gran parte delle sopravvissute a violenze sessuali. Ad oggi, sono poco più di 800 le donne bosniache che hanno ottenuto i sussidi statali.

Il percorso riabilitativo e il reinserimento sociale risultano, invece, fallimentari. A scapito di un miglioramento nell’accesso ai servizi di supporto medico, risulta che questi siano largamente influenzati dalla posizione geografica delle richiedenti, con grandi distinzioni tra le entità amministrative, ma anche tra centri urbani e periferie. Le zone più remote della Bosnia, quelle in cui ci sarebbe più lavoro da fare per sradicare lo stigma e la vergogna che accompagnano le violenze sessuali, sono quindi abbandonate a loro stesse. Inoltre, le cure psicologiche sono state principalmente affidate alle numerose organizzazioni non governative attive nel paese che, spesso, non hanno fondi sufficienti per raggiungere ed includere un ampio numero di donne.

Una giustizia che tarda ad arrivare

A quanto finora descritto, si aggiunge la persistente e diffusa stigmatizzazione dello stupro nella società bosniaca. Come ha dimostrato una recente indagine del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, più di due terzi delle donne sopravvissute agli stupri di guerra nel paese è stato oggetto di condanne, insulti ed umiliazioni di vario genere, sia da parte delle famiglie che delle comunità di cui fanno parte. Inoltre, le donne sopravvissute a violenze sessuali sono tra i gruppi sociali più marginalizzati ed economicamente vulnerabili della Bosnia, con un alto tasso di disoccupazione e povertà che spesso le rende incapaci di affrontare il lungo e tortuoso percorso per provare ad ottenere giustizia.

Le difficoltà sistematiche che si incontrano nel sistema di giustizia, le discriminazioni su base territoriale, lo stigma dello stupro e la marginalizzazione sociale, rendono spesso impossibile per molte donne affrontare il proprio trauma, precludendo la possibilità di intraprendere un processo di guarigione e, di conseguenza, condurre una vita accettabile.

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Foto: Žene u crnom – Pamtimo! 25 godina od početka rata u Bosni i Hercegovini

Chi è Silvia Trevisani

Nata nel nord-est italiano, vive e lavora tra Zagabria e Copenaghen. Possiede una laurea triennale in Studi Internazionali (Università di Trento) e una magistrale in Interdisciplinary research and studies on Eastern Europe (Università di Bologna). Appassionata di Balcani, interessata agli studi di genere e spaventata dai neofascismi, ne scrive per East Journal. Parla inglese, francese e, dopo una rakija, serbo-croato.

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