CATALOGNA: Fermare la giostra, l’indipendenza per vie legali e pacifiche è impossibile

Sale la tensione in Catalogna. Il referendum per l’indipendenza, previsto per il prossimo primo ottobre, è stato dichiarato illegale dalle autorità spagnole che sono intervenute con sequestri e arresti. La regione è a un bivio: rassegnarsi o alzare il livello dello scontro, con conseguenze potenzialmente terribili per la pace e la stabilità del paese.

I recenti fatti

La comunità autonoma di Catalogna si appresta a votare, il prossimo primo ottobre, un referendum per l’indipendenza della regione. Tale referendum, promosso dal parlamento catalano e annunciato lo scorso 9 giugno dall’attuale presidente della Generalitad de Catalunya, Carles Puigdemont, è stato dichiarato incostituzionale dal Tribunale costituzionale spagnolo. La decisione dell’alta corte, giunta il 7 settembre scorso, ha portato a un ultimatum da parte del governo centrale: il premier Mariano Rajoy ha infatti dichiarato, lo scorso 15 settembre, che il governo catalano “ha 48 ore per abbandonare i preparativi del referendum” altrimenti “il governo spagnolo prenderà il controllo delle finanze della regione” in quanto “si tratta di denaro pubblico utilizzato a fini illegali”. Così è stato. A fronte del rifiuto delle autorità catalane di sospendere il referendum, il governo ha inviato a Barcellona uomini della Guardia Civil i quali hanno tratto in arresto una dozzina di funzionari catalani con l’accusa di avere organizzato un referendum illegale. Gli uomini delle forze dell’ordine hanno poi sequestrato circa 10 milioni di schede elettorali rendendosi protagonisti di tafferugli con la folla, circa 40mila persone, accorsa per “difendere la democrazia catalana”. Il 21 settembre tutti gli arrestati sono stati rilasciati benché condannati a pagare una multa che varia dai dodicimila ai seimila euro per ogni giorno in cui continueranno la loro attività a favore del referendum.

Cosa c’è di illegale 

Il referendum è stato dichiarato anti-costituzionale, elemento sufficiente a stabilire l’illegalità della consultazione. In qualità di regione autonoma, e in base ai principi della Costituzione del 1978, poi rivisti nel 2006, la Catalogna ha competenze su sanità pubblica, istruzione, tributi e dispone di una propria polizia, i Mossos d’Esquadra, ma non ha il potere di convocare ufficialmente un referendum secessionista “vincolante“, come si legge nel quesito referendario, tale cioè da condurre a una dichiarazione d’indipendenza unilaterale. Nel 2014 i catalani erano già stati chiamati a esprimere un parere in una consultazione che, tuttavia, non era vincolante e non proponeva l’autodeterminazione della regione. Quello del 2014 non era un referendum ma ne rappresentava un’alternativa legale, per quanto simbolica, e fu definito dalle autorità catalane un “processo partecipativo sul futuro politico della Catalogna”. Il successo della consultazione del 2014 fu assai limitato, solo il 35% degli aventi diritto presero parte al voto.

L’utilizzo di denaro pubblico per l’organizzazione di un referendum che Madrid ritiene illegale non poteva che causare l’intervento del governo. In tal senso va interpretato l’arresto di Josep Maria Jové, segretario dell’Economia catalano, e di molti funzionari dell’Agenzia tributaria della Catalogna. Tra gli arrestati ci sono anche i responsabili di due imprese private nelle cui sedi è stato trovato materiale propagandistico ed elettorale. I dieci milioni di schede elettorali sequestrate dalla Guardia Civili erano nascosti in una fabbrica della cittadina catalana di Bigues i Riells.

L’autodeterminazione impossibile

La decisione della Corte Costituzionale spagnola che ha stabilito l’illegalità del referendum catalano è coerente con quanto stabilito dal diritto internazionale. Il diritto all’autodeterminazione invocato da Barcellona si applica solo in presenza di precisi elementi, ovvero che una popolazione sia  soggetta a dominazione stranieraapartheid o a regime coloniale. In questi casi si tratta di un principio inderogabile (ius cogens), supremo e irrinunciabile del diritto internazionale. Inoltre, in base ai principi di tale diritto, l’integrità territoriale è prevalente rispetto al diritto all’autodeterminazione, quindi una popolazione non ha diritto ad autodeterminarsi se questo mette in discussione l’integrità dello stato di cui la popolazione in questione fa parte.

Da questo quadro emerge l’impossibilità dell’indipendenza catalana per vie legali e pacifiche.

L’autonomia catalana è a rischio?

Alla luce di questo quadro vanno interpretate le dichiarazioni di Carles Puigdemont che ha parlato di “un’aggressione da parte dello Stato repressore” il quale avrebbe così “superato il confine tra autoritarismo e democrazia”. Far passare l’idea che il governo di Madrid sia repressivo e autoritario serve a convincere l’opinione pubblica, catalana e internazionale, della legittimità dell’autodeterminazione catalana la quale potrebbe persino avere aspetti di legalità. Tuttavia al momento il governo spagnolo non ha assunto i connotati dell’autoritarismo, anzi non ha nemmeno invocato l’articolo 155 della Costituzione  – che consentirebbe a Madrid di commissariare la regione – e nemmeno è stata introdotta la Legge di sicurezza nazionale che permetterebbe al governo centrale di assumere il comando di tutte le forze dell’ordine. Quindi, al contrario di quanto dichiarato da alcuni politici locali, l’autonomia catalana non è stata soppressa.

I soldi dell’autonomia catalana

L’attuale statuto d’autonomia catalano risale al 2006 e conferisce ampi poteri alla regione. Sanità, istruzione, ordine pubblico e persino tasse. La Catalogna trattiene il 50% dell’Irpef e dell’Iva, il 58% delle accise. Una maggiore autonomia fiscale è sempre stata una delle richieste di Barcellona ed il braccio di ferro con Madrid ha riguardato, negli anni, aspetti fiscali. In passato lo spauracchio dell’indipendentismo è stato utilizzato anche per ottenere maggiore autonomia, soprattutto in ambito fiscale ed economico. Una strategia che potrebbe funzionare ancora, visto che il governo spagnolo, per bocca del ministro dell’Economia, Luis de Guindos, si è detto disposto a negoziare un’eventuale offerta di maggiore quantità di denaro e maggiore autonomia finanziaria per la regione in cambio della definitiva rinuncia all’indipendenza.

Fermare l’escalation

Le profferte economiche basteranno a placare gli animi catalani? La Catalogna si trova di fronte a un bivio: rassegnarsi all’evidenza e negoziare maggiore autonomia, oppure andare avanti con il referendum entrando in un terreno inesplorato e gravido di conseguenze. Il governo centrale ha dimostrato, con l’intervento del 21 settembre, di essere pronto a usare le maniere forti per garantire l’integrità del paese e il rispetto delle leggi costituzionali. L’escalation con Madrid va fermata, i toni da guerra civile non serviranno che a peggiorare la situazione accendendo gli animi della gente e polarizzando l’opinione pubblica, creando un clima di scontro sociale. Qui non si tratta di essere a favore o contrari all’indipendentismo catalano ma di riconoscerne l’impossibilità per vie pacifiche.

La recente storia europea ci ha insegnato che dove finisce il diritto inizia la violenza. La violenza comincia anche quando il diritto viene calpestato. L’indipendenza irlandese ha molto da insegnare in tal senso. Ma è costata cara. L’autodeterminazione catalana vale questo sacrificio? Se le vie politiche per l’indipendenza sono chiuse (come sembrano essere) diventa più probabile il ricorso alla violenza, ma sarà giustificabile? A Madrid non c’è più Franco bensì un governo democratico. Fin dove sono disposti a spingersi i catalani? 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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