INCHIESTA: Mafia atomica. Cosa c'è dietro la costruzione della nuova centrale nucleare di Belene

di Matteo Zola

Una nuova centrale nucleare in Bulgaria proprio mentre l’Unione Europea sembra guardare a un futuro senza energia atomica, dalle parti di Sofia progettano un impianto da realizzarsi nella cittadina di Belene, sul Danubio, al confine con la Romania. Fin qui, si potrebbe dire, niente di male. Non fosse che dietro alla realizzazione della nuova centrale c’è l’ombra del crimine organizzato. Da anni la Bulgaria è bombardata da una campagna mediatica che grida all’allarme energetico eppure il Paese è autosufficente, anzi è leader nell’esportazione di elettricità. A volere la centrale è però una lobby di magnati dal torbido passato, legati a doppio filo con la mafia, e che trovano nell’attuale governo, guidato da Boyko Borisov, un’utile sponda. La nuova centrale di Belene è una gallina dalle uova d’oro per le loro aziende che già si sono spartite la torta di appalti e subappalti. L’Unione europea, però, non ci sta e i partner occidentali (le banche come Unicredit e Deutsche Bank, o aziende come la Rwe) si sono ritirate dal progetto che, però, resta in piedi grazie al supporto russo, facendo della Bulgaria il cavallo di Troia del Cremlino nelle strategie energetiche europee.

Kozloduj e l’allarme energetico. Una centrale nucleare in Bulgaria c’è già e si trova a Kozloduj, piccola località sul Danubio, a ridosso del confine con la Romania, poco distante da Craiova e Vidin. La sua costruzione risale al 1970, in piena epoca comunista, ed è dotata di sei reattori. I primi due, costruiti all’inizio degli anni Settanta, sono stati dismessi nel 2004 a seguito di un accordo tra il governo bulgaro e l’Unione Europea, ma già dal 1993 esisteva un’intesa con Bruxelles per la dismissione dei due reattori più vecchi. Altri due reattori furono invece costruiti all’inizio degli anni Ottanta e dismessi nel 2007 con l’ingresso della Bulgaria nell’Unione Europea poiché ritenuti non a norma con gli standard comunitari. Gli ultimi due reattori sono invece del 1987 e del 1991 e, a seguito di rigorosi controlli compiuti dall’Iaea (l’agenzia dell’Onu per l’energia atomica), sono stati dichiarati sicuri. Oggi producono 2000 MWe.

Secondo i dati del ministero italiano allo Sviluppo economico, aggiornati al 2010, e realizzati congiuntamente alla Camera italiana di Commercio di Sofia, il carbone e il combustibile nucleare costituiscono le fonti predominanti per la produzione di energia elettrica necessaria al fabbisogno energetico del Paese. Fino alla vigilia dell’ingresso nella Ue il 1° gennaio 2007, la Bulgaria era il Paese leader nel sudest Europa nella produzione e nell’ esportazione di energia elettrica. Con la chiusura dei reattori 3 e 4 della centrale nucleare di Kozloduj, il 31 dicembre 2006, le esportazioni di energia elettrica si sono ridotte. La produzione nel 2008 è stata di 45 TWh (meno 4,2% rispetto al 2007), per il 43,6% da centrali termoelettriche. I consumi sono stati di 29,9 TWh (+1,9%). L’11,9% della produzione, pari a 5,4 TWh, è stato esportato. Questi dati significano una cosa sola, che malgrado la chiusura dei reattori di Kozloduj, la Bulgaria è autosufficiente dal punto di vista energetico tanto che quasi il 12% dell’energia prodotta è destinata all’export. Allora perché dal 2003 i cittadini bulgari sono bombardati da una campagna mediatica che gridava all’allarme energetico?

«Una vera e propria mafia dell’energia ha tenuto in apprensione i cittadini bulgari con lo spettro della crisi energetica» ebbe a dichiarare nel 2006 Guergui Kaschiev, fisico nucleare ed ex direttore dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare in Bulgaria, oggi ricercatore all’Istitute of Risk Research di Vienna. Una “mafia dell’energia” composta da nomi illustri che si raccolgono attorno al Bulatom, un’organizzazione non governativa per l’energia atomica, vera e propria lobby del nucleare.

L’affaire Atomenergoremont. Facciamo un passo indietro, quando nel 2003 è stata privatizzata la Atomenergoremont, società bulgara fino ad allora di proprietà dello Stato (l’unica) che si occupava (e si occupa) del mantenimento della centrale nucleare di Kozloduj. Nel giugno di quell’anno il settimanale bulgaro Kapital pubblicava un articolo dal titolo suggestivo di “radiazioni criminali”, e faceva i nomi dei principali interessati ad accaparrarsi la Atomenergoremont: Konstantin Dimitrov “Samokovetza”, Vasil Bozhkov, Hristo Kovachki, Bogumil Manchev.

Konstantin Dimitrov “Samokovetza” era un miliardario e leader del traffico internazionale di stupefacenti, ritenuto vicino al Vis, compagnia di security e di assicurazioni bulgara, relegata ad associazione criminale dalle autorità perché sospettata di far parte di un gruppo dedito a estrosioni, traffico di auto rubate, narcotraffico. Nel dicembre 2003 Konstantin Dimitrov fu però ucciso ad Amsterdam da un killer professionista, tutti suoi beni furono poi sequestrati nel 2008 su richiesta della Commissione parlamentare per le proprietà acquisite attraverso il crimine organizzato. Secondo Kapital era proprio Dimitrov il favorito per l’acquisizione di Atomenergoremont.

Vasil Bozhkov, detto “il teschio”, controverso uomo d’affari, si candidò all’acquisto della Atomenergoremont prima come attore in proprio, poi insieme a Bogumil Manchev, capo di Risk Engeneering, azienda chiave nel settore dell’energia atomica bulgara. A spuntarla fu però Hristo Kovachki, un altro uomo d’affari dal torbido passato, attualmente in libertà provvisoria con l’accusa di evasione fiscale. L’acquisto di Atomernegoremont da parte di Kovachki si concretizzò tra la fine del 2003 e l’inizio del 2004, in concomitanza con la morte di Dimitrov.

Bozhkov, criminale organizzato. Vasil Bozhkov, “il teschio”, è oggi titolare della Nove Holding, operante nel settore delle assicurazioni e del gioco d’azzardo, si è fatto i soldi con le costruzioni di infrastrutture, vincendo facili appalti e stornando i fondi europei per lo sviluppo, dati da Bruxelles proprio per l’ammodernamento delle reti stradali e ferroviarie. Già presidente della squadra di calcio della capitale, il Cska Sofia, e collezionista d’arte antica (su di lui pende l’accusa di traffico d’arte e scavi clandestini).

Il cablogramma 08SOFIA631, datato 25 settembre 2008, reso noto nel gennaio 2011 da Wikileaks, proveniente dall’ambasciata americana a Sofia e firmato dall’ambasciatore McEldowney, recita: «L’ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) è determinato a mantenere la sua linea dura contro la Bulgaria. Quello nei confronti di Sofia è un impegno a lungo termine. Lo scopo dell’Olaf in Bulgaria si sviluppa in due direzioni: 1) recuperare i fondi comunitari indebitamente spesi in frodi varie 2) perseguire e, se possibile, condannare i responsabili di atti criminali associati con l’uso improprio dei fondi comunitari. L’intenzione dell’Olaf è puntare in alto, le indagini portano a un solo uomo: Vasil Bozhkov, un uomo d’affari molto ricco e influente con noti legami con il crimine organizzato e collegamenti a molti politici di alto livello». Il cablogramma si conclude dicendo: «Se la Bulgaria abbattesse Bozhkov, sarebbe un grande progresso».

Mantchev e il Bulatom. Nell’affare Atomenergoremont, Vasil Bozhkov entra dapprima come attore in proprio per poi affiliarsi a Bogumil Mantchev, direttore di Risk Engineering ma anche presidente del Bulatom, organizzazione non governativa per l’energia atomica di cui fanno parte la Egemona, la Glavbolgarstroy, la Zavodski stroezhi, la Tita Consult e la stessa Atomenergoremont, nel frattempo venduta dallo stato a Hristo Kovachki. Queste ditte si batterono per la riapertura dei reattori tre e quattro a Kozloduj quando nel 2006, alla vigilia dell’arrivo di Putin a Sofia, il premier bulgaro di allora, Sergey Stanishev, annunciò che la Bulgaria era in trattativa con compagnie inglesi e canadesi per la cessione in leasing dei reattori 3 e 4 della centrale di Kozloduj, in cambio di una loro operazione di lobbying nei riguardi dei paesi Ue, che avrebbe dovuto rendere possibile la riapertura dei reattori stessi. Stanishev aggiunse che si trattava di un’operazione complicata, visto che sarebbe necessaria una rivisitazione degli accordi di ingresso della Bulgaria da parte degli altri 26 Paesi dell’Unione, dato che la chiusura dei reattori era parte integrante degli accordi stessi.

Nonostante l’immediata reazione della Commissione Europea, che fece subito sapere di considerare il caso “Kozloduj” chiuso e non rinegoziabile, il 21 gennaio 2006 Stanishev prese parte attiva nel lancio della nuova campagna, intitolata “Voglio la luce”, organizzata non solo dal governo, ma dalle grandi aziende attive nel campo energetico che si radunano attorno al Bulatom. La campagna mediatica a favore dell’energia atomica, costruita sull’allarmismo del deficit energetico, trovò in “Voglio la luce” il suo punto più alto. Un allarmismo giustificato solo dagli interessi particulari dei magnati dell’energia poiché – si è visto – fino al 2007 la Bulgaria era leader nell’esportazione di elettricità.

Belene, il vero affare. Secondo il settimanale Kapital la campagna “Voglio la luce”, finalizzata alla riapertura dei reattori 3 e 4 di Kozloduj, era solo un diversivo utile a condizionare gli umori dell’opinione pubblica. Vero obiettivo era la costruzione di una nuova centrale a Belene. Non a caso le aziende che si raccolgono attorno al Bulatom figurano tutte nelle opere di subappalto per la costruzione della nuova centrale. I piani per dotare la Bulgaria di una seconda centrale si trascinano da decenni, e affondano le radici negli anni del regime. Nel 2008 l’Unione Europea ha dato il via libera di principio al progetto Belene, la decisione prevede però ulteriori studi in caso di reale inizio dei lavori, anche e soprattutto sulla pericolosità sismica dell’area. Il progetto della centrale nucleare di Belene, inoltre, non versa in buone condizioni economiche.

Nel 2006 infatti il gruppo Unicredit, insieme alla Deutsche Bank, ha annunciato il suo ritiro dal progetto Belene. Anche la compagnia energetica tedesca RWE, nell’ottobre 2009, si è ritirata dalla partecipazione al progetto quando Standars & Poor’s ridusse il giudizio sulla Nek – la seconda società elettrica bulgara, impegnata al 51% nel progetto Belene – proprio a causa della partecipazione alla costruzione della nuova centrale.

Scorie bulgare. Secondo Ivan Ivanov, deputato dei Democratici per una Forte Bulgaria, partito d’opposizione di destra, la Bulgaria sarà ridotta a cavallo di Troia nell’invasione russa del mercato energetico europeo. Ivanov ha ricordato che la Duma ha approvato una legge che proibisce lo smaltimento di rifiuti radioattivi provenienti da altri paesi in Russia dopo il 2020, così che i rifiuti prodotti dalle centrali di Kozloduj e Belene dovranno restare in Bulgaria, che non ha nessuno stabilimento per lo smaltimento delle scorie.

Dalla Russia con calore. Se l’Europa dice no alla centrale, Sofia guarda alla Russia. Per ovviare alla perdita di RWE è stato necessario cercare nuovi partner, così la Nek ha siglato nel 2010 tre accordi che prevedono una rimodulazione della partecipazione della russa Atomstroyexport e stabiliscono l’ingresso della finlandese Fortum Corp, e della francese Altran Techonolgies. Queste ultime due aziende, la finlandese e la francese, servirebbero ad ammorbidire la resistenza di Bruxelles ma si tratta di partecipazioni simboliche pari all’1% circa. il protocollo siglato prevede la costituzione di una joint venture per i lavori di costruzione di una centrale da due reattori da 1050 il cui partner principale è Rosatom, l’ente nazionale russo dell’energia atomica, che entrerebbe con il 47%. Il condizionale è d’obbligo poiché il protocollo non è vincolante e già molte resistenze si sollevano, anzitutto da Bruxelles.

I colloqui con Rosatom (l’ente nazionale russo dell’energia atomica) hanno avuto luogo a Mosca nel febbraio 2011. Il viceministro bulgaro all’energia, Mariy Kosev, ha dichiarato alla stampa che l’uomo conosciuto come “l’oligarca bulgaro del petrolio,” Valentin Zlatev, ha partecipato a questi colloqui. Zlatev è il proprietario della “Lukoil Bulgaria” (il braccio bulgaro della Lukoil, la più grande compagnia petrolifera russa). Non rappresentava i funzionari bulgari – ha precisato Kosev – ma il motivo della sua presenza ai colloqui, d’altro canto molto riservati, rimane poco chiaro. Valentin Zlatev è noto anche per essere vicino al primo ministro Boyko Borisov. Alla fine degli anni ‘90 la società Ipon, di proprietà di Borissov, è stata designata a provvedere alla sicurezza di tutte le pompe Lukoil in Bulgaria, un importante traguardo e una fonte di reddito per gli anni a venire. Per Borissov è forse venuto il tempo di restituire il favore.

Il cavallo di Troia del Cremlino. L’ansia di trovare partner da parte della Nek si può ben spiegare se ne guardiamo la proprietà: Nek è infatti una controllata della Società Energia bulgara (Bulgarian Energy Holding), quella di Hristo Kovachki, la stessa che acquistò la Atomenergoremont. La Società Energia bulgara tra le sue sussidiarie annovera colossi come la Bulgartransgas e la Bulgargaz. Quest’ultima società è partner del progetto Nabucco (con una partecipazione del 16,7%) il gasdotto europeo pensato come alternativa a South Stream, il progetto del Cremlino. La Bulgaria, attualmente, riceve gas dalla Russia e con la visita a Sofia del vice premier russo, Viktor Zubkov, nel luglio 2010, si è giunti ad un accordo tra Bulgartransgas e Gazprom in virtù del quale la società bulgara è entrata nel progetto South Stream. Così la Bulgaria tiene il piede in due scarpe, costruendo sia Nabucco che South Stream grazie all’intraprendenza del magnate Hristo Kovachki, che controlla le due agenzie nazionali del gas, oltre che quella dell’energia atomica.

L’avvicinamento di Sofia a Mosca corre lungo tutte le rotte energetiche possibili: dall’oro azzurro (Gazprom e Bulgartransgas), all’oro nero (il ruolo di Lukoil resta da definire ma è quantomeno sospetto), all’atomo (Nek e Rosatom). Ma quali sono i vantaggi di queste relazioni privilegiate con il Cremlino? E soprattutto, perché il governo non pone un freno alle speculazioni della lobby dell’energia, che non risponde agli interessi nazionali? Forse la risposta viene da una nota del U.S. Congressional Quarterly (CQ), edito dall’Economist Group, prestigioso bollettino per il Congresso degli Stati Uniti, che nel 2007 indicò Borisov come “un partner d’affari nonché ex socio di alcuni dei più grandi mafiosi bulgari”.

La Bulgaria degli oligarchi dell’energia sta spianando la strada agli interessi energetici russi in Europa: un cavallo di Troia che potrebbe minare i piani di autonomia energetica portati avanti da un’ Unione Europea sempre meno unita.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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