TURCHIA: I difficili rapporti con l’UE, ora che tutto trema (II)

Mentre il parlamento europeo propone di bloccare il processo di adesione turco all’UE, in Turchia viene presentata una riforma costituzionale che trasforma la repubblica costituzionale kemalista in uno stato presidenziale, garantendo enormi poteri a Erdogan e snaturando il sistema di check & balance. I due schieramenti sembrano sempre più due vicini che hanno deciso di voltarsi le spalle.

La libertà di informazione in Turchia non esiste più 

E’ recente la divulgazione di un’analisi svolta da tre istituti che si occupano di monitorare la libertà di stampa (RSF, CPJ e HRW) secondo cui la Turchia detiene il triste record di arresti per giornalisti e attivisti per i diritti umani e civili: sono 144, ma è impossibile accertare il numero esatto dato che il ministro della Giustizia Bekir Bozdag ha impedito il rilascio di cifre ufficiali. I dati si riferiscono non solo a giornalisti di professione ma anche blogger e free lance. Per non parlare dell’ultimo giro di vite di arresti che ha pesantemente colpito il partito di opposizione HDP.

Questione migranti: una soluzione mai cercata

L’accordo sui migranti resta una delle questioni più dubbie e oscure nella storia delle relazioni fra UE e Turchia: assomiglia più a un accordo capace di essere usato come leva di ricatto dalla Turchia piuttosto che un patto effettivamente studiato per una soluzione, anche se parziale, sul tema migrazioni. Un accordo costato caro all’UE, che con i soldi impegnati poteva predisporre un meccanismo di accoglienza a livello europeo funzionante, invece che delegare tutto al vicino. Questo accordo rappresenta un vuoto (giuridico, politico e logistico) alla situazione che i migranti soffrono: quanto potrà essere usato dalla Turchia per ricattare l’UE? E quanto l’UE ha intenzione di finanziare, vedendo come i soldi vengono utilizzati?

Diritti umani: questioni interne

All’interno della Turchia il governo dell’AKP continua a portare avanti la sua personalissima guerra al PKK. Non si intende in questo articolo prendere le parti di uno o di un’altro attore presente in questo conflitto: entrambi gli schieramenti hanno una storia alle spalle capace di spiegare le reciproche posizioni, e questo non è il contesto nel quale affrontarle. E soprattutto, in nessun caso, un comportamento che porta ad atti terroristici può essere giustificato: ma è quello che sta succedendo sul suolo turco. Questa guerra di logoramento con il PKK, che sembrava essere entrata in una fase di raffreddamento proprio grazie alla politica inclusiva dell’AKP, vive oggi dei momenti di recrudescenza terribili. Gli attentati nelle città principali fra cui la pluri-martoriata Istanbul, che quest’anno sembra soffrire anche fisicamente di tutte le ferite che questa politica di governo bieca e violenta le sta infierendo, sono solo la superficie.

Quello che non viene detto, e certo non pubblicizzato dal governo turco sulle tv internazionali, è la sofferenza che viene imposta agli abitanti del Kurdistan: un tragico rapporto di Amnesty affronta il tema delle deportazioni che gli abitanti del centro storico di Diyarbakır stanno vivendo a causa di questa guerra al confine sud-est. Il governo sta fisicamente privando i suoi cittadini, perché curdi, dei loro diritti, al fine di continuare le operazioni militari.

Un sistema di governo presidenziale: quale futuro?

Infine è necessario menzionare la spinta verso il presidenzialismo. A prescindere dalla portata enorme di questo cambiamento per la Turchia stessa, quale peso potrebbe avere sulle relazioni con l’UE? Come ha ricordato il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, la libertà di informazione è un bene prezioso per un paese, e storicamente ogni volta che questo bene è stato sacrificato lo è stato fatto a caro prezzo. Quale prezzo sia disposta a pagare la Turchia lo stiamo vedendo giorno per giorno, quale che sia quello dell’Europa ancora non è chiaro forse perché l’Europa stessa non si sta rendendo conto che dovrà iniziare a pagare in ogni caso.

Chi è Chiara Bastreghi

Laureata presso l'Università degli Studi di Torino nel corso Global Studies con indirizzo Medio Oriente (Facoltà di Scienze Politiche) con una tesi sulla questione identitaria turca, dal titolo "Kemalism and Neo-Ottomanism, a comparison: the two ideologies in light of the Syrian Civil War". Nata a Siena il 27 marzo 1987.

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