Dimissioni di ministri e voti di fiducia in parlamento. Poi gli immancabili scandali giudiziari e persino un intervento diretto della Guida suprema Khamenei, che ha detto la sua sui candidati alle elezioni presidenziali di maggio 2017. Nelle ultime settimane la politica iraniana è apparsa decisamente movimentata. È l’ennesimo banco di prova per il governo Rouhani, a cui restano poco più di 6 mesi per convincere gli elettori a riconfermarlo per il secondo mandato.
Su cosa si giocherà la campagna elettorale? Il tanto declamato accordo sul nucleare sta dando i suoi frutti? Quali sono i problemi che più interessano gli iraniani oggi? Lo abbiamo chiesto ad Anna Vanzan, iranologa e docente di cultura araba alla Statale di Milano, che quest’anno ha pubblicato per il Mulino il volume Gli sciiti. L’altro islam tra cultura e attualità.
Di recente si sono dimessi 3 importanti ministri del governo Rouhani (Cultura, Educazione e Sport). Fin dal loro insediamento nel 2013 erano stati pesantemente criticati dagli avversari del presidente. Ma il 1 novembre il parlamento – dove i conservatori sono maggioranza – ha poi votato la fiducia per i nuovi ministri senza scossoni. Per Rouhani tutta questa vicenda è una vittoria o una sconfitta?
È un momento di estrema mobilità nella politica iraniana. I 3 ministri occupavano cariche importanti, sono quelle che riguardano più da vicino la società civile. Dicasteri che, almeno a partire dall’epoca del presidente Khatami, sono tradizionalmente vicini alla parte riformista. Infatti le aperture, negli ultimi decenni, si sono concretizzate proprio in ambiti come cultura e educazione. Insomma si può dire che questi ministri fossero a tutti gli effetti creature di Rouhani. I suoi avversari hanno fatto di tutto per screditarli, addirittura si è arrivati a sostenere che uno di loro avesse appoggiato le proteste del 2009, la cosiddetta Onda Verde dopo la rielezione di Ahmadinejad. Ma il braccio di ferro è finito quando Rouhani è andato in parlamento e li ha difesi.
Ciò nonostante, molti iniziano a ventilare una possibile sconfitta di Rouhani alle elezioni di maggio 2017. Su cosa lo giudicheranno gli iraniani?
Rouhani ha puntato tutto sull’accordo sul nucleare e sul discorso economico. Qui ha vinto la sua partita, le sanzioni sono state in gran parte sollevate, l’Iran non è più uno stato paria. Ma quello che era stato promesso in termini di libertà personali, diritti civili e così via, non è stato assolutamente raggiunto. E la gente comincia a scalpitare. E poi ci sono i gruppi avversi alla parte riformista che soffiano sul fuoco di ogni polemica. C’è, insomma, una disaffezione della popolazione.
L’accordo sul nucleare non sta dando i suoi frutti?
È stato positivo per la ricomposizione internazionale. Pochi giorni fa ad esempio un deputato iraniano, membro della minoranza ebraica, ha concesso un’intervista a una radio israeliana. È un fatto inedito e molti l’hanno letto come un tentativo di pacificazione. Ma per quanto riguarda l’economia, strette di mano e sorrisi non bastano. Le ricadute dell’accordo si incominciano soltanto a vedere, ma il cittadino medio non ne ha ancora beneficiato. Il malcontento c’è. I beneficiari primi sono coloro che detengono il potere, prima che i vantaggi arrivino al grosso della popolazione passerà del tempo.
Quando un iraniano oggi si lamenta dell’economia, di cosa si lamenta esattamente?
Sono stati reintrodotti prodotti che prima non c’erano, o meglio che si trovavano soltanto sul mercato nero. Ma restano molto cari. Il potere d’acquisto è ancora troppo basso. Parliamo di prodotti di ogni tipo, dai medicinali alle automobili. Il malcontento può dilagare se l’accordo non porterà altri benefici.
È noto che molti settori dell’economia sono controllati dai Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione. Qual è il loro ruolo nel nuovo contesto?
Se i Pasdaran agiscono con furbizia, riusciranno ad espandere la fetta di popolazione che beneficia del nuovo corso senza cedere il potere. Bisogna vedere se riusciranno, però, a liberalizzare l’economia senza concedere grandi riforme democratiche. Resta il dubbio: saranno ingordi e terranno tutto per sé, o saranno più lungimiranti? L’Iran da questo punto di vista è molto imprevedibile. Bisogna dire che finora gli iraniani sono stati poco propensi a protestare in massa. Ma dipende da quanta pressione sociale si accumula.
Anche gli avversari di Rouhani però hanno dei problemi.
Tra le figure più in vista c’è un personaggio come Qalibaf, l’attuale sindaco di Teheran che è popolare anche fra i non conservatori. Sarebbe forse un candidato forte, ma 3 anni fa perse proprio contro Rouhani. Ultimamente poi è stato toccato da uno scandalo immobiliare. Ma non credo che sia fuori dai giochi per questo.
Su Ahmadinejad invece Khamenei ha posto una sorta di veto.
Ahmadinejad è stato sconfessato dalla Guida suprema: è chiaro che è un’indicazione molto pesante e potrebbe chiudere le sue possibilità. Khamenei potrebbe essere convinto che Ahmadinejad spaccherebbe il paese, poiché la sua presidenza è stata disastrosa per l’economia e i rapporti internazionali. Lo scopriremo però solo quando le liste dei candidati saranno esaminate e validate, poco prima del voto.
Con l’elezione di Donald Trump l’accordo sul nucleare è a rischio?
Una parte dei politici più oltranzisti è contenta di Trump. Il ritorno dell’Iran sulla scena internazionale è visto come frutto di un patto scellerato e avere sempre un nemico chiaro e definito fa comodo. Ma sono convinta che in realtà l’accordo vada bene a tutti quanti. Bisogna comunque vedere cosa faranno gli Usa, se prevarrà il buonsenso. Ad ogni modo anche Hillary Clinton non era stata molto chiara nella sua politica sull’Iran. Per il paese non credo cambi molto chi ha vinto le elezioni americane.