Dallo scoppio della crisi in Ucraina si è assistito ad un notevole rinvigorimento delle linee di conflitto lungo l’asse est-ovest. Provocazioni reciproche e rialzo del livello di tensione hanno sollevato in particolare un dibattito sulla cosiddetta nuova Guerra Fredda.
Gettando uno sguardo superficiale agli eventi recenti, una simile impressione può in effetti sorgere. Violazioni dello spazio aereo, manovre ed esercitazioni militari a ridosso dei confini dell’altro, stazionamenti di forze in paesi di rilevanza strategica si sono aggiunti a uno scarsamente rassicurante gioco al rialzo di dispiegamenti missilistici.
La tensione è innegabilmente alta ma parlare di una nuova Guerra Fredda è sbagliato – e pericoloso. E’evidente innanzitutto guardando ai rapporti di potere, in merito ai quali non si è più spettatori dello scontro tra le inafferrabili superpotenze del periodo bipolare, ma al più di schermaglie tra giganti zoppi. Da un lato, le molteplici contraddizioni interne della Russia ne tarpano le velleità globali; dall’altro, l’egemone statunitense, pur non ancora spodestabile, annaspa al seguito degli sviluppi internazionali del XXI secolo. L’eventualità di un confronto nucleare, oggi, è poi del tutto secondaria.
Oggi le due parti sono anche prive della più potente arma di cui erano allora fornite: le ideologie totalizzanti, universalistiche e mutualmente esclusive che vedevano in Stati Uniti e Unione Sovietica i propri campioni. Scarsamente valida la posizione di chi sostiene che nazionalismo russo e retorica eurasiatista possano reincarnare il comunismo; per propria natura, sono al contrario uno strumento di ricomposizione delle lacerazioni socio-politiche interne, ampiamente inadatto a mobilitare supporto al di fuori dello spazio post-sovietico. Parimenti, la “vetrina dell’eccezionalismo” statunitense pare oggi in frantumi e l’occidente è ormai più un espediente letterario che un’entità concretamente definibile – o una meta agognabile.
A questo si aggiunge il fatto per cui la partita fondamentale della sfida est-ovest non sia più riconducibile al vecchio continente. Al contrario, vi è una proliferazione di scenari critici a livello globale che del tutto sfugge alle dinamiche di tensione omogeneizzante tipiche della Guerra Fredda.
In connessione a quest’ultimo punto una nuova spaventosa analogia ha recentemente trovato spazio nel dibattito pubblico: si è iniziato a parlare dell’imminenza di una Terza Guerra Mondiale. Ancora, però, ci troviamo davanti alla deformazione – volontaria e strumentale – della realtà. Pur non essendo a corto di malumori nazionali e congiunture sfavorevoli, nessuna nuova polveriera può credibilmente scoppiare nel breve periodo da un contesto privo di allineamenti di interessi capaci di innescare un effetto domino su scala globale. Non trova spazio nemmeno l’elemento essenziale di uno scontro appunto mondiale – ossia il riordino del mondo stesso – se non altro perché il candidato ideale alla nuova egemonia, che è la Cina, non dà alcun segno di ritenere i tempi maturi per un simile passo.
Quindi sì, il mondo oggi si è fatto un luogo certamente pericoloso, ma la realtà è ben più elusiva e difficile da gestire di quanto i linguaggi semplicistici della politica ci vogliano fare credere. Col rischio, peraltro, di portarci anche nei fatti dove le parole già indulgono – e farci vittime di profezie auto-avveranti.
Questo articolo é frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association ed é pubblicato anche su PECOB, Università di Bologna.