di Luca Bistolfi
recensione a ‘Il Mullah Omar’ (Marsilio editori, pp. 178, euro 16,5)
Nel groviglio di mezze verità e menzogne integrali, tra foto bambinescamente contraffatte, borborigmi giornalistici di esultanza sulla fine “misteriosa” di Osama bin Laden, a undici anni da quel bizzarro volo di aerei nei cieli di New York, l’uscita della biografia del mullah Omar di Massimo Fini è una delle poche notizie degne di attenzione e riverenza.
Nessun retropensiero, nessun “complottismo”, come solfeggiano i benpensanti massacrando lingua italiana e senso critico: il libro si limita, e invero non è poco, a ricostruire, attraverso fonti dirette e insabbiate per la più parte dai mezzi di comunicazione occidentali e democratici, la vita d’un capo politico e religioso. Dagli esordi del movimento talebano a mezzo degli anni novanta – le cui genesi e natura sono vagliate e spiegate seguendo gli unici canoni possibili, ossia quelli propri afghani – sino alla guerra contro un intero Paese, contro il suo popolo, contro le sue tradizioni, contro la sua pacifica libertà.
Fini penetra un universo sociale e psicologico sconosciuto e artatamente distorto, seguendo il basso continuo del suo pregresso itinerario saggistico, una quasi trentennale sferza alla radice delle disfunzioni occidentali. L’Occidente, da una parte, mente sapendo di mentire, mentre dall’altra è accecato dall’insana protervia che lo fa imporre al resto dell’orbe terracqueo come l’unica civiltà esistente, anzi mai esistita. A fronte di questo, il cosmos talebano appare, a chi voglia vedere, come la legittima e dignitosissima pretesa di creare e di vivere un mondo a parte, un’oasi separata dal cosiddetto mondo “civile”, governata da regole certo ferree ma cui nessuno può eccepire, ché edificate su principi autonomi, non belligeranti e identitari.
Su questo mondo così distante dai canoni occidentali, c’è lui, il mullah Omar, un combattente per necessità (e quest’ultimo dettaglio lo si tenga per bene a mente), uomo intelligente e coraggioso, rappresentante d’una società che nutre e custodisce ancora quelle categorie morali scomparse nel nostro mondo, ma che pure dovrebbero appartenere all’umanità intera. Con ciò, si badi, ci par di comprendere che l’autore non intenda alla sua volta contrapporre fino allo scontro due concezioni, quanto piuttosto porre in evidenza verità e caratteristiche troppo con disinvoltura tacciate di barbare e addirittura criminali.
Il Mullah Omar è anche l’affresco d’una guerra – quella all’Afghanistan e non in Afghanistan, come l’ipocrita rettorica va da anni suggestionandoci – balorda e vigliacca, da cui però, come e peggio che nel Vietnam, l’invasore democratico è uscito colle ossa rotte. Solo la tecnologia – quei droni telecomandati da migliaia di chilometri di distanza contra i fucili vecchi di vent’anni dei talebani – potrebbe salvare gli americani e i loro tirapiedi. Ma ne salverebbe solo i corpi, non certo la faccia già da gran tempo perduta, se la storia si potrà fare, tra non troppi anni, come onestà imporrebbe. Persino la pietà per i morti occidentali (morti, non soldati…) in quella terra lontana vien meno a leggere la semplice morte d’un talebano in termini piuttosto ignoti e vieppiù il modo con cui, per atavica legge religiosa, questi tratta un prigioniero, che purtuttavia è stato prima invasore e criminale di guerra. Nessun “cattivo” talebano si sognerebbe mai, né infatti ha mai allestito, luoghi sconci e verminosi come una Guantanamo, come una Abu Ghraib. Queste pagine raccontano la disfatta di un gigante, quella ridicola e goffa America, davanti al nano talebano. E alla fine scopri che i veri nani, moralmente, sono altri.
Di là delle contingenze politiche, il libro si presenta anche come una sorta di “saggio sulla civiltà”, e ci mostra, non senza volontà crediamo, che l’essere umano adorno dei suoi orpelli razionalisti e tecnologici (la mai troppo vituperata téchne), sia molto più simile a un mostro, e il lucido cannocchiale dell’autore ci riavvicina, per un istante tutto da godere e meditare, a che cosa sia un uomo. Ci dimostra che oggi – nonostante tutto, da qualche parte sul pianeta – esistono ancora uomini e non solo sciancati e violenti fantocci.
Qui si deve tirare in ballo il relativismo culturale, la dea ragione dell’illuminismo, il razzismo dell’egualitarismo e altri massimi sistemi.
Porte che non apro per la non certezza di padroneggiarle. Sul mullah Omar anni fa (se non sbaglio il 2009) un gruppo musicale veronese fece una canzone decisamente avanti sui tempi.
Ma visto la schieratissima militanza del gruppo (anche se molto goliardico) non so se è il caso di linkare. Era solo per segnalare un curioso aneddoto.
Peccato che Luca non sia di sesso femminile e non abiti in Afghanistanh…..
Emilio Bonaiti