di Filip Stefanović
Lunedì 23 maggio è comparso sul sito della televisione pubblica serba, RTS (Radio-Televizija Srbije), un comunicato del nuovo consiglio d’amministrazione dell’emittente. Nel corso del mandato quinquennale assegnato, è l’annuncio, il direttivo si focalizzerà sulla diffusione dei “principi dello stato di diritto, della giustizia sociale, democrazia cittadina, dei diritti e delle libertà degli individui e delle minoranze e della vicinanza ai valori e principi europei”. La parte più interessante, però, arriva in fondo.
Sottolineando come, secondo la legge sulla radiodiffusione, l’obbligo della televisione di stato sia quello di produrre e mettere in onda contenuti di interesse pubblico, che supportino i valori democratici di una società moderna ed il pluralismo etnico, politico e religioso dei suoi contenuti, il nuovo consiglio d’amministrazione si scusa ufficialmente “con tutti quei cittadini serbi e dei paesi confinanti che sono stati oggetto di offese, calunnie o altro contenuto che potrebbe oggi essere definito come istigazione all’odio, e che sono stati trasmessi all’interno dei programmi dell’emittente pubblica durante gli anni ’90”. Dice infatti apertamente il comunicato: “Durante i tristi eventi degli anni novanta, la RTS ha più volte offeso coi suoi contenuti i sentimenti, l’integrità morale e la dignità dei cittadini serbi, di intellettuali umanitari, di membri dell’opposizione politica, di giornalisti critici, di singole minoranze all’interno della Serbia, minoranze religiose, come anche singoli popoli e stati confinanti”.
Le reazioni critiche a questa dichiarazione inattesa non si sono fatte attendere. Tolta quella parte scontata di cittadinanza che non ritiene la Serbia né la sua televisione colpevoli di alcunché, ci sono le reazioni opposte, di chi considera le scuse, per quanto positive, un gesto insufficiente, debole e tardivo. Tra questi ultimi vale la pena citare la NUNS (Unione indipendente dei giornalisti della Serbia), la comunità islamica in Serbia e i liberaldemocratici dell’LDP (il partito più progressista dell’asfittico panorama politico serbo).
È indubbiamente riduttivo parlare di mera “istigazione all’odio”, in quanto il ruolo dei media nelle guerre jugoslave è stato ben più centrale, una vera, efficacissima arma del regime di Milošević nella costruzione di una nuova identità nazionale, attraverso il linciaggio mediatico, ma anche il pieno monopolio della verità, spesso e volentieri utilizzato nella fabbricazione di notizie false e costruzione di prove inesistenti che convincessero i serbi di essere vittime innocenti, da un lato delle ostili e sanguinarie popolazioni confinanti, dall’altro della macchina del fango dell’occidente: una politica così efficace da essere ancora oggi una delle eredità più pesanti e constatabili nella società serba, la quale mantiene una visione profondamente distorta delle dinamiche di quegli anni. Ci pare però ingiusto non plaudire a questo gesto, quanto controproducente sminuirlo: proprio perché la situazione odierna in Serbia è difficile e precaria, la politica debole ed il riaffiorare di sentimenti nazionalisti più forte che mai, mentre l’opinione pubblica dissidente viene zittita e minacciata ogni giorno, tanto più ammissioni non richieste di questo tipo da parte di uno dei soggetti più evocativi della storia e politica serba di quegli anni appaiono sincere e coraggiose.