CREWE, UNITED KINGDOM - APRIL 01: Polish worker Dominik Wasilewski poses outisde the Dwa Koty Polish delicatessen where he works on 1 April, 2008, Crewe, England. Crewe in Cheshire has one of Britain's biggest communities of Poles in the UK and is continuing to thrive. British Prime Minister Gordon Brown today dismissed suggestions that immigration into the United Kingdom should be capped and said that immigration is good for the country. Brown responded to a report by a House of Lords committee that record immigration had "little or no" impact on people's economic well-being. (Photo by Christopher Furlong/Getty Images)

POLONIA: Cosa temono gli immigrati polacchi in Gran Bretagna dopo il Brexit?

Il governo polacco di Beata Szydło, sin dall’inizio del suo mandato, aveva auspicato il ritorno degli immigrati polacchi del Regno Unito in patria. Oggi però, dopo il Brexit, a questa speranza si è sostituito il desiderio di tutelarli, garantendogli la possibilità di rimanere.

L’immigrazione polacca in Gran Bretagna ha spiccato il volo, a partire dal 2004, anno in cui la Polonia è definitivamente entrata nell’ UE. Ma quali sono i numeri di questo flusso migratorio? E perché il Regno Unito è una meta così ambita? Se nel 2004, infatti, si contavano circa 95.000 polacchi, nel 2010 si parlava di 550.000, oggi invece sarebbero circa 800.000 i polacchi che stabilmente lavorano in UK.

Possono tutti essere definiti migranti economici, alcune volte con esperienza universitaria, ma per lo più provenienti da zone rurali e piccole città dove il partito di governo ha un forte sostegno elettorale. Tuttavia si può affermare che non raggiungono il Regno Unito con lo scopo principale di ottenere il lavoro che non hanno in madrepatria, o almeno non tutti. Infatti il tasso di disoccupazione polacco dal 2004 è sceso sino ad arrivare al 9.7% del 2015. Se quindi non è la mancanza di occupazione la motivazione principale dello spostamento migratorio, componente fondamentale sono gli standard di vita del Regno Unito.

Lavorare in una qualsiasi città della Gran Bretagna permette ad un immigrato polacco di mettere da parte in breve tempo quello che guadagnerebbe in un anno in Polonia.

Proprio per questo la premier Szydło ora punta a mantenerli in Gran Bretagna. Sarebbe rischioso infatti per il governo chiedergli di tornare non solo per l’impossibilità di garantire gli stessi standard di vita del Regno Unito, ma anche e soprattutto per non incrinare i rapporti con larga parte dell’elettorato del PiS di cui questi immigrati fanno parte. Bisogna anche considerare, che nessun polacco, prima e dopo il Brexit, ha espresso la volontà di tornare in madrepatria, semmai il contrario: molti di loro farebbero richiesta per la cittadinanza o il passaporto; altri, se non fosse possibile rimanere su suolo britannico, si sposterebbero in Germania, Francia, e altri paesi europei dove gli stipendi e la qualità della vita  possono essere avvicinabili a quelli del Regno Unito.

Non è comunque detto che un loro ritorno abbia solo conseguenze negative. Morawiecki, ministro dello Sviluppo Economico, è convinto di un possibile reinserimento dei polacchi immigrati in Polonia in due o tre anni; non tutti chiaramente, si parla di circa 100/200.000 persone. Purtroppo il paese non sarebbe in grado di riceverli subito,  visto il tempo necessario perché vengano riassorbiti nel mercato del lavoro. Gli aspetti positivi potrebbero essere due: prima di tutto il ritorno di immigrati giovani potrebbe incidere positivamente sul calo demografico che la Polonia sta affrontando, e in secondo luogo quelli che tornerebbero sarebbero per lo più lavoratori con esperienza tecnica, senza bisogno di ulteriore formazione.

Comunque, anche se il desiderio di vederli tornare è grande, il governo ha promesso che farà il possibile perché permanga lo status quo, soprattutto per far si che i polacchi in UK continuino ad usufruire delle politiche di welfare britanniche.

Il PiS era già corso ai ripari dalle possibili conseguenze del Brexit nei mesi scorsi; il 10 dicembre 2015, e il 5 febbraio Beata Szydło e Kaczyński avevano incontrato Cameron per affrontare l’argomento. Nonostante i due paesi fossero uniti nel criticare l’Unione Europea (la Polonia ha sempre visto nella Gran Bretagna un alleato fondamentale) Beata Szydło e il suo governo, in entrambi i meeting, avevano ribadito la ferma opposizione ad un possibile taglio delle misure di welfare verso gli immigrati dell’eurozona che vivono nel Regno Unito. Una ferma opposizione che ha portato Cameron ad eliminare dall’agenda politica i tagli al welfare previsti, che non saranno attuati fino al 2020.

In ogni caso tutti questi incontri ed accordi probabilmente non sono serviti a molto. I leader politici hanno dimenticato di tenere in considerazione la sfera sociale.

Lo status dei polacchi di Gran Bretagna dipende ora dagli accordi definitivi tra UE e Regno Unito, e dai probabili trattati bilaterali tra quest’ultimo e la Polonia dopo il leave effettivo. Nonostante questi processi abbiano bisogno di molto tempo prima di influire materialmente sulla situazione tra i polacchi di Gran Bretagna la preoccupazione aumenta, incentivata anche dall’escalation di episodi razzisti. Subito dopo il referendum infatti, sono stati presi di mira il centro culturale polacco di Londra e alcune abitazioni a Cambridge.

Nonostante le rassicurazioni delle istituzioni britanniche la situazione di stallo politico che caratterizza la Gran Bretagna post-Brexit non dà spazio a prospettive chiare per gli immigrati polacchi. Allo stesso modo il governo Szydło, che vede nel Regno Unito un indispensabile alleato politico, potrebbe rivedere la sua posizione in materia.

Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association e PECOB, Università di Bologna.

 

 

 

 

Chi è Giulia Stefano

Nata a Roma nel 1990, dopo una triennale in Relazioni Internazionali all'Università di Roma Tre con una tesi in Storia dell'Europa centro- orientale, si è iscritta al MIREES (Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe) presso l'Università di Bologna. Parla inglese, tedesco e sta studiando russo. Da giugno 2016 collabora con East Journal. Gli articoli di analisi scritti per East Journal sono co-pubblicati anche da PECOB, Università di Bologna.

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