L'architettura secondo Khaled Malas: atto di resistenza creativa

SIRIA: L’architettura secondo Khaled Malas, atto di resistenza creativa

Khaled Malas non è solo un architetto 35enne nato a Damasco e residente a New York. È anche un attivista, uno che mette il proprio mestiere al servizio del suo paese natale pur vivendo all’estero, uno che si interroga sul proprio ruolo in tempo di guerra. L’incipit del libretto monografico relativo all’opera Current power in Syria, presentata alla da poco conclusa 6° Biennale di Marrakech, riassume già i tratti caratteristici della sua pratica: azione diretta, riflessione critica, cooperazione e miglioramento delle condizioni di vita per la comunità coinvolta. “Questo progetto è un atto di resistenza creativa, uno che prende letteralmente il potere”.

Assieme al foto-giornalista Yaseen al-Bushy e al fabbro Abu Ali al-Kalamouni (il cui nome completo resta celato per volontà dello stesso) ha coordinato la costruzione di un mulino a vento nell’assediata Ghouta, la periferia est della capitale siriana dove entrambi i collaboratori vivono, per sopperire alle esigenze primarie della popolazione, principalmente la fornitura di energia elettrica. A questo bisogno pratico si affianca anche un’accurata ricerca storica, attraverso cui prendendo in considerazione le infrastrutture elettriche, l’architetto intende ripercorrere le tappe principali della creazione dello Stato.

Il focus è ovviamente incentrato sulla Siria, ma Khaled Malas allarga la prospettiva dell’analisi e identifica il fenomeno come comune al mondo arabo nel suo complesso nell’arco del XX secolo e di quello attuale. La parola inglese power si presta infatti perfettamente a descrivere l’evoluzione-ossessione della produzione di energia e della rappresentazione fisica del potere per mezzo di infrastrutture e costruzioni monolitiche, la cui riproduzione mediatica ha avuto spesso funzione propagandistica. Il risultato finale è una serie di narrazioni che creano un collegamento temporale tra foto, documenti storici e ritratti di protagonisti attuali, così come una documentazione della costruzione dello stesso mulino a vento.

A causa dell’incapacità di accedere alla rete elettrica, racconta Khaled Malas, la popolazione locale della Ghouta ha iniziato a produrre carburante artigianalmente distillando rifiuti di plastica e macerie di siti bombardati, un procedimento elaborato altamente tossico e dannoso per l’ambiente. Sperimentando con tecnologie alternative, il fabbro al-Kalamouni ha creato in questo contesto mulini ad acqua elettromeccanici che convertono l’energia dell’acqua corrente nei canali agricoli esistenti in energia elettrica. Queste macchine fatte di scarti metallici, attualmente funzionanti in diverse aree della Ghouta, producono un approvvigionamento efficiente ad un costo nettamente inferiore rispetto agli inquinanti generatori di carburante (circa il 60-75%).

Current power in Syria, concepito tra novembre 2014 e giugno 2015, rielabora in parte il progetto di questi mulini ed esplora le potenzialità dell’energia eolica. Sempre attingendo al libretto della Biennale di Marrakech, Malas parla del mulino come di “un umile monumento alla nostra resistenza e un’espressione della nostra speranza”.

Lo stesso approccio ribelle nell’esplorare la storia sociopolitica del suo paese, ha contraddistinto anche il progetto precedente excavating the sky, con cui Khaled Malas ha rappresentato la Siria alla 14° Biennale Internazionale di Architettura di Venezia del 2014. Ancora una volta la tecnica diviene strumento di narrazione e analisi delle dinamiche di potere. Con un padiglione pop-up nell’ambito della sezione Monditalia, l’architetto ha portato sulla scena il ruolo del volo motorizzato nella produzione di paesaggi e architetture della Siria.

Quattro episodi particolari sono visti da Malas come “tentativi violenti da parte dello Stato di imporre il potere sul paesaggio dall’alto del cielo”. Raccontare un secolo di storia, processi di produzione di territori da questa prospettiva non è quindi mera digressione, quanto piuttosto una cornice per rivendicare la presa di posizione degli architetti e dell’architettura in generale rispetto al conflitto attuale. Proprio per questo motivo il progetto prevedeva un altro padiglione, il cosiddetto “padiglione dislocato”, ovvero la costruzione assieme ad un gruppo di attivisti di due pozzi a Deraa, nel sud del paese, che attualmente forniscono acqua potabile ad una comunità di 27.000 persone. Scrivere e costruire assumono per Malas eguale importanza, sono entrambi azioni concrete di resistenza.

Quando lo Stato non è in grado di rappresentare le aspirazioni dei suoi cittadini e di garantirne la dignità, è la popolazione stessa a prendere il timone della propria esistenza. Chi resta lotta e resiste. Malas, i suoi stretti collaboratori e le comunità coinvolte nei loro progetti promuovono tecniche ingegnose di sopravvivenza e al tempo stesso danno una lezione di impegno civile in situazioni estreme.

Foto: Ashkal Alwan

Chi è Francesca La Vigna

Dopo la laurea in Cooperazione e Sviluppo presso La Sapienza di Roma emigra a Berlino nel 2009. Si occupa per anni di progettazione in ambito culturale e di formazione, e scopre il fascino dell'Europa centro-orientale. Da sempre appassionata di arte, si rimette sui libri e nel 2017 ottiene un master in Management della Cultura dall'Università Viadrina di Francoforte (Oder). Per East Journal scrive di argomenti culturali a tutto tondo.

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