In this Sunday, Dec. 27. 22, 2015 photo people play chess holding a flashlight near Nakhimov's Square in Sevastopol, Crimea. As New Yearís Eve approaches, the central square of Crimeaís largest city is festooned with lighted holiday decorations, including a soaring artificial tree that flashes and winks. But areas a few steps away are sunk in darkness, the streetlamps turned off because of an electricity shortage. (AP Photo/Alexander Polegenko)

CRIMEA: “Meglio al buio che con l’Ucraina”, il referendum farsa sull’elettricità

Dal 21 novembre scorso la Crimea è al buio a causa di un sabotaggio alle linee elettriche che collegano la penisola al resto dell’Ucraina. Una situazione che ha rivelato i punti deboli dell’occupazione russa e che ha portato, nei giorni scorsi, a un referendum nel quale si chiedeva ai cittadini della Crimea di scegliere tra il black-out e la permanenza della regione sotto le autorità russe. Il 94% delle persone ha scelto di rimanere con Mosca, confermando quanto già espresso nel marzo 2014. Un consenso plebiscitario dietro al quale le autorità russe nascondono la propria debolezza.

La resistenza tarara

Il black-out è cominciato con l’abbattimento dei quattro piloni sui quali transitano i cavi che portano l’energia elettrica dall’Ucraina alla Crimea. L’azione di sabotaggio fu rivendicata dai tatari, minoranza turcofona che più di tutti si oppose all’annessione russa della penisola e che, anche per questo, ha fin qui pagato il prezzo più alto dell’occupazione, con arresti di attivisti e la chiusura di radio e televisioni in lingua tatara.

La lotta dei tatari ha radici antiche, da quando nel 1783 la Russia zarista conquistò la Crimea agli ottomani, ma si nutre soprattutto del ricordo della deportazione che la minoranza dovette subire nel 1944, quando tutta la popolazione tatara della penisola venne caricata su carri bestiame e spedita in Asia centrale come punizione per una mai dimostrata collaborazione con i nazi-fascisti. Molti morirono lungo il tragitto e nei campi di prigionia. Negli anni Ottanta, con la perestrojka, fu concesso ai sopravvissuti di tornare nella loro terra della quale oggi rappresentano il 12% della popolazione. L’ostilità e la paura che i tatari nutrono oggi verso la Russia, è dunque conseguenza di una lunga storia di violenze e soprusi.

Quella tatara si profila come una vera resistenza all’occupante con azioni di sabotaggio commerciale e, adesso, energetico. Un’azione di cui poco si parla, offuscata dalle azioni militari dei filorussi in Donbass che alcuni, nella cecità ideologica, chiamano “resistenza” alludendo alla più nobile esperienza europea durante la Seconda guerra mondiale.

La proposta di Kiev

L’azione dei tatari è stata abilmente utilizzata da Kiev che ne ha fatto l’arma fin qui più efficace nella lotta contro i russi per il controllo della regione. L’Ucraina fornisce alla Crimea il 70% del suo fabbisogno di energia elettrica. Lo scorso 31 dicembre Kiev vedeva scadere il contratto che la obbligava a fornire elettricità alla penisola. Il governo ha così proposto di farsi carico del ripristino dell’energia elettrica solo se le autorità locali avessero riconosciuto la Crimea come parte integrante del territorio ucraino.

La proposta ha mandato in subbuglio il Cremlino anche alla luce, è il caso di dirlo, del diffuso malcontento nella regione. Per prevenire ogni possibile dissenso, Mosca ha così ordinato un referendum sulla proposta ucraina, composto da un doppio quesito: “Sei favorevole o contrario alla stipula di un contratto commerciale con l’Ucraina per la fornitura di elettricità alla Crimea e a Sebastopoli in cambio del riconoscimento dell’autorità ucraina sulla regione?“. E ancora: “Sei pronto a resistere a difficoltà temporanee connesse alla minore fornitura di energia elettrica per i prossimi tre o quattro mesi?“. Il 94% dei cittadini della Crimea, stoicamente, si sono detti pronti. Cosa sono il buio e il freddo quando in gioco c’è l’appartenenza nazionale?

Un referendum farsa

Questo almeno è quanto Mosca vuole far credere ma il referendum non può ritenersi rappresentativo di alcunché, in quanto condotto telefonicamente su un campione di appena mille intervistati. Numeri estremamente bassi considerando che la popolazione complessiva della Crimea è di circa 2 milioni di persone. Ecco che allora il “referendum” appare per quel che è: una pezza messa in fretta e furia per coprire l’incapacità di gestire una regione che sta sfuggendo di mano, mostrando la compattezza e l’orgoglio della popolazione. Il Cremlino non sarà in grado di collegare la Crimea al resto del paese prima di molti mesi. L’ipotesi di un collegamento tramite lo stretto di Kerch è di ardua realizzazione a causa dei fondali melmosi che rendono difficile la posa dei piloni per il ponte stradale come per quello elettrico.

Verso l’oscurità?

Così la popolazione della Crimea passerà un durissimo inverno scaldandosi con il sempre più tiepido amore per l’inquilino del Cremlino. E’ possibile che l’ondata migratoria verso Kiev e Leopoli da parte dei giovani crimeani aumenti. La Crimea, prima dell’annessione russa, è stata governata da un’oligarchia mafiosa. Tuttavia le speranze di migliorare la propria situazione stanno venendo meno a fronte di difficoltà sempre maggiori. L’oscurità in cui è caduta la penisola è reale ma anche metaforica, ma isolare la Crimea nella sua oscurità non servirà a indebolire Vladimir Putin. Servirà solo a colpire una popolazione vittima di una partita di cui non sono i giocatori, ma solo le pedine. Un nuovo stato de facto, un nuovo conflitto congelato, non porteranno benessere e stabilità. Nemmeno a Kiev. Cercare un compromesso che non abbandoni a se stessa la popolazione, pur senza rinunciare alla sovranità sulla regione, sarà per Kiev la vera sfida dei prossimi anni.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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10 commenti

  1. Matteo ma c’è mai stato Lei in Crimea? Quale lingua parlano? Quali punti di contatto hanno le popolazioni della Crimea con quelle della Halizia e della Volinia? Sono storie molto diverse…Queste due ultime regioni non sono mai state parte dell’Ucraina. Dal Sacro Romano Impero al Regno Asburgico (l’attuale Lviv era Lemberg) alla terza Rzespospolita Polska…c’è voluto il regalo di Stalin affinche Lviv e Ternopil diventassero Ucraina e di Kruscev che la Crimea diventasse amministrativamente Ucraina. Che poi siano i tatari a sabotare le linee elettriche è tutto da dimostrare. Oggi l’Ucraina è un paese a sovranità limitata, in semi-fallimento che vive grazie agli aiuti europei, FMI, dove oggi le pensioni e gli stipendi sono inferiori a quelli del più povero dei paesi ex unione sovietica (Tadgikistan) dove i redditi degli oligarchi sono cresciuti a dismisura (vedi Poroshenko)…..

  2. Visto la brutta abitudine di avere i martiri di serie A e quelli di serie B, ritengo doveroso ricordare anche gli arresti arbitrari, i pestaggi, le sparizioni e gli assassini politici di cui sono stati vittime sia tartari che ucraini dopo l’occupazione russa della penisola. Sempre per non dimenticare, bisognerebbe ricordare che i diritti civili e politici sono sistematicamente violati nelle cosiddette “repubbliche di Lugansk e Donetsk”, “amministrate” più che da nostalgici dei soviet, da mafiosi fervidi ammiratori di NKVD, Čeka o KGB.
    La repressione e la persecuzione contro i Tartari sono “condivise” dagli Ucraini che costituiscono il 16% della popolazione: l’insegnamento della lingua ucraina è stato abolito nelle scuole, le associazioni culturali chiuse e le parrocchie greco-cattoliche e ortodosse sia del Patriarcato autonomo di Kiev che del Patriarcato Ucraino autocefalo subiscono pressioni per “passare” a quello controllato da Mosca.
    I Tartari di Crimea condivisero il destino atroce della deportazione di massa durante la II Guerra Mondiale con le minoranze tedesche e italiane presenti in Crimea: l’intera comunità italiana, compresi i rifugiati antifascisti che si erano stabiliti a Kerč, venne deportata e quasi metà dei deportati, tra cui tutti i bambini, morì durante il viaggio.
    Comunque non preoccupiamoci: i russi di Crimea sono al buio ma orgogliosamente felici al 94% di veder brindare Putin, i suoi ospiti speciali europei e i tirapiedi locali con spumanti centenari.

  3. Forse il peggior articolo in assoluto da quando vi seguo (un anno e mezzo).

  4. Ho iniziato a seguire questo sito proprio grazie agli articoli di Matteo sull’Ucraina. Attualmente è di sicuro l’unico in Italia che ci racconta con chiarezza quello che sta accadendo da quelle parti. L’unica alternativa è leggere le notizie diffuse dalle agenzie controllate dal governo russo (che vengono riprese praticamente da tutti i quotidiani e i canali nazionali).

  5. Matteo Zola, sei un lobotomizzato atlantista: l’articolo che porta la tua firma pare un copia/incolla da qualche ufficio stampa NATO.
    Ma sei giovane e inesperto: con gli anni ti cresceranno i coglioni.

  6. “Quella tatara si profila come una vera resistenza all’occupante con azioni di sabotaggio commerciale e, adesso, energetico. Un’azione di cui poco si parla, offuscata dalle azioni militari dei filorussi in Donbass che alcuni, nella cecità ideologica, chiamano “resistenza” alludendo alla più nobile esperienza europea durante la Seconda guerra mondiale”

    Quindi lasciare al buio i Crimeani (e non parlo di Aksyonov o Temirgaliev, ma del Crimeano medio) è stato un glorioso atto di resistenza?

    • caro Giuseppe

      nessuno ha detto che l’azione di boicottaggio sia gloriosa. Si afferma solo che, a fronte del gran parlare che si fa delle azioni miliari filorusse in Donbass – da molti, specie a sinistra, definite “resistenza” – nulla si dice dell’azione dei tatari che è, a ben vedere, molto più “resistente” di quella dei filorussi, poiché i tatari non sono eterodiretti, non hanno sponsor all’estero, né rifornimenti. Nessuno, in sostanza, si interessa di loro. Ben diversa la situazione in Donbass. Se è resistenza quella dei filorussi, lo è anche quella dei tatari. Oppure nessuna delle due. E’ una frase che si rivolge polemicamente a quelli che, da sinistra, individuano “resistenze” solo dove fa comodo. Infine, i russi hanno invaso militarmente la Crimea, quindi – tecnicamente – sono occupanti. O, almeno, lo sono agli occhi dei tatari. No?

      saluti

      Matteo

      • Caro Matteo,

        Lo saranno agli occhi dei Tatari, che vivono in Crimea da molto più tempo rispetto ai Russi e agli Ucraini, ma se fosse giusto basare la politica internazionale sui diritti delle popolazioni indigene, saremmo costretti a modificare non poche cartine geografiche (e credo che gli esempi siano superflui). E’lo stesso motivo per cui è sbagliato usare come fondamento della politica internazionale il principio di autodeterminazione dei popoli di wilsoniana memoria. Il referendum in Crimea, almeno nel modo in cui si è svolto, è illegale, ma non bisogna dimenticare che la stragrande maggioranza della popolazione della Crimea è realmente a favore della Russia, e a provarlo non è solo l’ultimo sondaggio (“referendum” è una parola grossa) sull’opportunità o meno di accettare un contratto con la società energetica dell’Ucraina.

        Allo stesso modo, mi permetto di dissentire sulla non eterodirezione dei Tatari di Crimea. Gli sponsor esterni del Mejlis, dopotutto, non mancano, e questi sono prima di tutto la Turchia, che ha plaudito alla decisione di Dzhemilev e Chubarov di non riconoscere il referendum del 2014 e gli ha anzi affibbiato un’importante onoreficenza turca. Poi vengono gli Stati Uniti e il governo ucraino, che sicuramente non disdegnano mettere i bastoni tra le ruote all’attuale governo crimeano e quindi a Putin.

        Ti segnalo un episodio (le fonti le ho inserite sotto). Nei primi mesi dell’annessione si stava aperto un importante canale di comunicazione tra il Mejlis e le autorità del Tatarstan, che avrebbero potuto fare da ponte tra il Mejlis e Mosca in un contesto in cui le relazioni tra questi ultimi non sono mai state buone. Il Presidente tataro Minnichanov, che a sua volta aveva partecipato come osservatore a diverse riunioni del Mejlis (tra cui quella del 30 marzo in cui lo stesso ha annunciato una richiesta di autonomia culturale dei Tatari di Crimea), e nel maggio del 2014 Chubarov (Chubarov, non un rappresentante di Milli Firqa) è anche volato a Kazan’ per firmare un accordo di cooperazione tra il Mejlis e il Congresso Mondiale dei Tatari. E’difficile che Chubarov abbia preso una tale decisione se non ci fosse in corso un’altra trattativa, ben più importante. Qualche tempo dopo, però, Chubarov è stato espulso dalla Russia, e quindi dalla Crimea, dopo che questi aveva invitato al boicottaggio delle elezioni crimeane del settembre 2014. Cos’è successo? Se la trattativa c’è stata, è quindi si è arenata, è difficile che la colpa sia solo di una delle parti.

        Riguardo alla natura di “resistenza” delle azioni dei Tatari e dei separatisti del Donbass ti do ragione, ma nel contempo ribadisco che un conto è uccidere un soldato o un guerrigliero, o fare un attentato contro una postazione militare, un conto è compiere un atto che verrà pagato soltanto da civili per il solo scopo di mettere in difficoltà la Russia.

        Cordialmente, Giuseppe

        Fonti:

        http://vz.ru/news/2014/3/29/679564.html (riunione del Mejlis del 30 marzo 2014)

        http://www.business-gazeta.ru/article/105265/ (visita di Chubarov a Kazan’)

      • Caro Matteo,

        se fosse giusto basare la politica estera sui diritti delle popolazioni indigene, e non di quelle residenti, ci troveremmo costretti a modificare non poche carte geografiche. E’lo stesso motivo per cui il “principio di autodeterminazione dei popoli”, se applicato in politica estera, avrebbe conseguenze catastrofiche. I Tatari, sono in Crimea indigeni, al pari dei Caraimi (simili ai Tatari, ma praticanti l’ebraismo caraita) e a qualche altra minoranza che oggi non conta più di qualche centinaio di membri, mentre i Russi e gli Ucraini non lo sono, essendo arrivati in Crimea soltanto dalla fine del Settecento, ma oggi più dell’80% della popolazione della Crimea è costituita da Slavi, e la stragrande maggioranza di loro è favorevole alla Russia. E questo è un dato che bisogna considerare quando si parla della Crimea.

        Allo stesso modo, mi permetto di dissentire sull’assenza di sponsor internazionali del Mejlis. I Tatari, infatti, hanno sia “fratelli” (in primis la Turchia, che ha anche conferito un’onoreficenza a Dzhemilev e Chubarov) sia alleati tattici, non particolarmente affini culturalmente ma che non disdegnano avere uno strumento per ostacolare l’annessione e quindi mettere i bastoni tra le ruote alla Russia (inutile dire chi ne ha maggiore interesse). Vorrei citarti un episodio. Nei mesi immediatamente successivi all’annessione russa della Crimea, il Mejlis aveva stabilito un canale preferenziale di comunicazione con le autorità del Tatarstan. Il Presidente tataro Minnichanov ha partecipato a diverse riunioni del Mejlis, tra cui quella del 30 marzo in cui il Mejlis ha annunciato una richiesta ufficiale di “autonomia culturale e territoriale” alle Nazioni Unite (fonte: http://vz.ru/news/2014/3/29/679564.html), e il 26 maggio Chubarov è anche volato a Kazan’ per incontrare Minnichanov e firmare con lui un importante accordo di cooperazione culturale (fonte: http://www.business-gazeta.ru/article/105265/). Che Minnichanov stesse anche agendo da ponte tra il Cremlino e il Mejlis? Ora sappiamo tutti come è finita la storia, ma se la trattativa si è arenata la colpa non può essere soltanto di una delle parti.

        Condivido infine quanto dici sulla natura di “resistenza” dei Tatari e dei separatisti del Donbass. Ma rimango fermo nel ritenere che un atto finalizzato a danneggiare popolazioni civili, e non militari o gruppi paramilitari, va condannato a prescindere dal fine.

        Cordialmente, Giuseppe

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