CALCIO: Da Lobanovskyi alla segregazione dei tifosi, Dinamo Kiev in declino

7 aprile 1999. Sono quasi le 8 e mezzo di sera a Kiev, e allo stadio Olimpico la Dinamo è in vantaggio per 3-1 sul Bayern Monaco. La partita fino a quel momento è stata dominata dai padroni casa, che sono stati capaci di portarsi in vantaggio per 2-0 dopo 40 minuti di gioco.

Sono due i protagonisti di quella squadra: uno è un ragazzo biondino molto veloce e letale in area di rigore – Andriy Shevchenko – e l’altro è un uomo la cui età sembra impossibile da decifrare; siede in panchina e ha uno sguardo che non tradisce alcuna empatia: è Valeriy Lobanovskyi. I due gol del centravanti hanno portato la squadra sul 3-1, e tutto sembra essersi messo per il verso giusto. È il 78′, basta amministrare il quarto d’ora che manca per andare in Baviera a giocarsi l’accesso alla finale di Coppa dei Campioni da una posizione di vantaggio. Ma il calcio non è affare per spiriti razionali, e gli ucraini si scoprono una volta e poi ancora una seconda, concedendo due reti agli avversari: in 12 minuti Effemberg e Jancker portano la partita sul 3 pari. Al ritorno quel pareggio sarà decisivo per portare i bavaresi in finale, protagonisti loro malgrado dei tre minuti di recupero più famosi del calcio europeo.

Nella seconda metà degli anni ‘90 erano in tanti a pensare che la squadra ucraina avrebbe potuto replicare i successi continentali ottenuti nel 1975 e nel 1986, quando in panchina sedeva, come sempre, Lobanovskyi, detto il Colonnello per i suoi modi non accondiscendenti verso i calciatori che allenava. Il nome di Lobanovskyi per lunghi periodi storici è stato usato come sinonimo di calcio ucraino. Jonathan Wilson ha parlato del suo impianto calcistico come calcio totale dell’est, paragonando la prima Dinamo Kiev del colonnello alla contemporanea filosofia olandese, messa in pratica dall’Ajax e dalla nazionale oranje.

L’ortodossia verso i propri metodi e la totale subordinazione degli individui rispetto alla tattica di gioco è una combinazione imprescindibile per ogni allenatore predestinato a cambiare il corso degli eventi. La storia del calcio ne è piena: da Brian Clough a Mourinho, passando per Sacchi e Ferguson, tutti gli uomini che hanno rivoluzionato il modo di allenare hanno protetto la propria intransigenza tattica con una robustezza caratteriale fuori dal comune. Di solito i detrattori di queste figure li definiscono testardi e presuntuosi. Lobanovskyi non faceva eccezione nella categoria.

Da figura carismatica e manichea quale era, il colonnello ha definito la Dinamo di Kiev, rendendola la squadra che conosciamo oggi. Persino quando la sua parabola personale sembrava in declino la nuova Dinamo si è affidata a lui per tornare il gigante che era, nonostante i due esoneri da selezionatore della nazionale degli Emirati Arabi e del Kuwait. Era il 1996, nel pieno della fase di apertura verso gli investitori stranieri, periodo benedetto dal talento della generazione di Shevchenko e Rebrov. I risultati sono arrivati senza farsi attendere.

Dopo la morte del colonnello, avvenuta nel 2002, la stora della Dinamo è cambiata drasticamente. Ha ceduto terreno alla Shakhtar Donetsk, con cui è costretta a dividere successi interni e fama europea. Le apparizioni sui giornali generalisti sono diventate per lo più sporadiche: legate ai destini delle squadre inglesi, come in occasione delle visite a Stamford Bridge, oppure sono dovute alle intemperanze dei propri tifosi, vittime e protagonisti della deriva nazionalista ormai dilagante nelle tifoserie organizzate delle squadre est europee. La Dinamo Kiev ha ottenuto, infatti, indesiderata notorietà per un’iniziativa presa dai suoi dirigenti per arginare gli atteggiamenti razzisti dei propri tifosi; però, la pezza si è rivelata peggiore del buco.

I fatti sono aberranti: durante il match di Champions League con il Chelsea, 4 tifosi di colore della Dinamo sono stati inseguiti e attaccati all’interno dello stadio da un gruppetto di tifosi della stessa squadra. Le reazioni a questo gesto, ripreso e fatto circolare dalla rete anti-discriminazione Fare, sono state scomposte. C’è stato chi ha parlato di un complotto anti-ucraino ordito dai russi per dimostrare le tendenze nazionaliste a Kiev e persino chi si è spinto oltre, definendo “provocatoria” la presenza dei quattro all’interno del settore. In questo bailamme di congetture e illazioni, il direttore dello stadio, Volodymir Spilchenko, ha suggerito di creare un settore destinato esclusivamente a tifosi di colore «per prevenire episodi di razzismo». Non vale nemmeno la pena soffermarsi sulla stupidità di questa proposta che è stata immediatamente ritirata, smentita o quantomeno riposizionata dai dirigenti della squadra ucraina.

Nel frattempo, l’attualità scandita dai calendari UEFA mette il Chelsea di fronte alla Dinamo Kiev, una partita che sebbene non sia una classica del calcio europeo offre numerosi motivi di interesse. Potrebbe essere l’ultimo atto di Jose Mourinho sulla panchina del Chelsea, ma è anche la prima volta che gli ultrà ucraini tornano in Inghilterra dopo la squalifica ricevuta per i cori razzisti durante la partita di Liverpool con l’Everton. I fasti e i trionfi della Dinamo del colonnello sembrano risalire a una precedente era geologica.

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Chi è Matteo Marchello

Nato a Lecce, vive a Londra. Scrive di calcio per Trappoladelfuorigioco.it ed East Journal.

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