di Massimiliano Ferraro
“Vedere una volta è meglio che sentire cento volte”, recita un vecchio proverbio turkmeno. Una frase calzante per spiegare l’indole del Turkmenistan, paese centrasiatico austero e rigoroso, dove si preferiscono di gran lunga i fatti alle parole. C’è da prenderli sul serio i turkmeni, specialmente ora che hanno deciso di dire la loro nella annosa questione riguardante il controllo dei giacimenti energetici del mar Caspio. La notizia, decisamente passata in sordina, è che il governo di Ashgabat stia tranquillamente costituendo una sua flotta militare in grado di tutelare i suoi interessi economici nel lago salato più grande del mondo.
Dopo la firma del presidente del Turkmenistan, generale Gurbanguly Berdimuhamedov, di un decreto per la creazione di una accademia navale sotto il controllo del Ministero della Difesa, è arrivato nei giorni scorsi anche l’annuncio di un ordine di 55 milioni di euro per la fornitura alcune motovedette di nuova generazione. Due delle barche, costruite nei cantieri navali della società turca Dearsan, sarebbero già state consegnate e secondo quanto riportato da Eurasianet.org, anche un’azienda italiana sarebbe coinvolta nell’affare. E’ la Oto Melara, società del gruppo Finmeccanica specializzata nella produzione di artiglierie navali di piccolo e medio calibro che, secondo il sito, avrebbe fornito i cannoni da 40 millimetri montati sulla parte anteriore dei nuovissimi scafi turkmeni. In questo modo anche l’Italia si inserisce, anche se indirettamente, nella disputa per il controllo del petrolio e del gas naturale presente nel sottosuolo del Caspio. Una questione complessa che interessa il Turkmenistan ed altri quattro stati (Russia, Iran, Azerbaigian e Kazakistan), con il rischio di uno scontro militare costantemente dietro l’angolo, e che stagna sui tavoli diplomatici da ormai vent’anni.
Prima del 1991 il controllo del Mar Caspio era regolato dagli accordi stipulati tra gli unici due stati rivieraschi dell’epoca, l’Unione Sovietica e l’Iran, i quali prevedevano lo sfruttamento congiunto delle fonti energetiche presenti nel sottosuolo. In seguito, l’emergere di interessi divergenti tra i cinque nuovi stati nati dopo lo scioglimento dell’Urss, ha segnato l’inizio di un’aspra contesa sul regime di condominio delle acque. Uno scontro arrivato fino al punto di non trovare un accordo nemmeno sullo status giuridico del Caspio: lago o mare?
Il chiarimento definitivo di quest’ultima questione non rappresenta affatto un punto secondario come invece si potrebbe essere portati a pensare.
Russia ed Iran, che nell’area occupano la posizione territorialmente più marginale, hanno da sempre l’interesse che il Caspio rimanga un lago, così che la distribuzione delle riserve energetiche continui a rimanere equa. Per contro, gli altri stati ex-Sovietici vorrebbero che al grande specchio d’acqua venisse attribuito lo status di mare, sottoponendo in questo modo il Caspio alla convenzione Onu del 1982 che attribuisce la rilevanza territoriale a seconda dell’estensione costiera di ogni paese.
Il Turkmenistan, che dispone di 2,67 trilioni di metri cubi di gas naturale (pari all’1,5% delle riserve mondiali), ha espresso negli anni passati una posizione piuttosto confusa sul regime legale da dare al Mar Caspio. Dapprima favorevole alla condivisione delle ricchezze del sottosuolo, il governo del generale Berdimuhamedov è divenuto successivamente sostenitore della suddivisione delle acque. Un cambio di rotta che si spiega con la crescente preoccupazione di un paese sull’orlo della bancarotta che oggi avverte come una necessità vitale la risoluzione di una disputa che gli garantirebbe la sopravvivenza politica ed economica. Ma a contrastare le ambizioni di Ashgabat è soprattutto il Cremlino. Quella Russia-matrigna che ha tutto l’interesse di sospendere ogni trattativa sulla ridistribuzione dei confini per salvaguardare i suoi interessi economici e geopolitici.
Come se non bastasse, a far salite ulteriormente la tensione sulle rive del Caspio ci sono i rapporti storicamente tesi tra Turkmenistan e Azerbaigian sullo sfruttamento, all’interno di quello che dovrebbe essere il futuro confine marino turkmeno, dell’area che circonda il ricco giacimento di Kyapaz-Serdar.
Fattori che, nonostante le rassicuranti dichiarazioni del consiglio di sicurezza turkmeno sull’impiego delle nuove motovedette per la “protezione affidabile delle frontiere marittime e per la lotta efficace contro contrabbandieri, terroristi e di altri elementi criminali”, non cancellano del tutto il sospetto che il Paese abbia iniziato a muovere le sue pedine per poter affermare con più decisione i suoi diritti.
In questo scenario di latente tensione il primo proiettile della futura guerra del Caspio potrebbe essere sparato da un cannone made in Italy. Proprio uno di quelli che alcune foto mostrano montati sulle barche nuove di zecca consegnate ad Ashgabat.
“Vedere una volta è meglio che sentire cento volte”, dice quel detto turkmeno…
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