DA BUDAPEST – Ungheria, tempo di bilanci: a metà del semestre di presidenza dell’Unione Europea, il governo Orbán fa i conti sui risultati raggiunti e sui punti in programma che rimarranno insoluti. Mentre gli esperti e i diplomatici temono che il semestre ungherese possa venire ricordato solamente per le molte polemiche portate in rilievo dalla stampa internazionale, specialmente riguardo alla legge sui media, i risultati concreti alla metà del semestre sono rappresentati dal vertice UE di fine febbraio sulla politica energetica comune e dal vertice UE di fine marzo sulle questioni economico-finanziarie.
Riguardo agli obiettivi non raggiunti, è stata rimandata l’adesione di Romania e Bulgaria all’area di Schengen, risultato che avrebbe dovuto essere ottenuto in questo periodo, come si erano augurate a inizio anno Francia e Germania. L’esito rimane poi incerto per quanto riguarda la chiusura della trattative per l’adesione della Croazia alla UE, anche perché in questo caso è l’alta politica a decidere: non solo la Croazia deve rispettare i requisiti di adesione, ma tale passaggio deve essere approvato da tutti e 27 gli stati membri.
Durante il discorso tenuto recentemente in Parlamento, Viktor Orbán ha sottolineato che “noi non crediamo nell’Unione Europea, crediamo nell’Ungheria, e consideriamo l’Unione Europea da un punto di vista secondo cui, se facciamo bene il nostro lavoro, allora quel qualcosa in cui crediamo, che si chiama Ungheria, avrà il suo tornaconto”. Orbán, applaudito dagli esponenti del governo e da quelli di Jobbik, ha poi continuato affermando che il tipo di cooperazione che vorrebbe costruire con la maggioranza degli stati UE prevede che sia l’Ungheria, sia ciascun altro stato possa avere il suo rendiconto personale, e che la UE non rappresenta una questione di fede, ma di ragione. Secondo il premier ungherese, è inaccettabile che l’Ungheria debba sempre affermare di credere in qualcosa: così come storicamente dovette credere in Vienna, in Mosca, nel Comecon, ora la si forza a credere nell’Unione Europea e nella NATO. Ciò indebolisce la politica e fa perdere fiducia alle persone nel dibattito politico. “Siamo guidati dal fare l’interesse del popolo ungherese, che va armonizzato con gli interessi e i punti di vista degli altri popoli”. Il più grande successo della presidenza europea, secondo Orbán, è che ora l’Ungheria sia più forte e più indipendente di come era vent’anni fa, e capace di farsi valere nell’arena internazionale.
Attila Mesterházy (MSZP) ha commentato che la presidenza UE rappresenta una responsabilità storica e che anche l’MSZP si augura che il semestre si concluda nel migliore dei modi. Ha citato come passi in avanti la concertazione della politica energetica, la preparazione della strategia sui rom, la velocizzazione delle procedure per l’adesione della Croazia alla UE e il consenso europeo sulla gestione economica. Tuttavia, dal punto di vista della dimensione politica, il quadro è negativo: vengono citati la polemica legata alla legge sui media, che ha gettato ombre sulla presidenza, l’iter della nuova costituzione, tenuto sotto controllo dalla Commissione di Venezia, e la decisione di tenersi fuori dal Patto di Stabilità sull’Euro, o Patto EuroPlus. Un fiasco anche la mancata organizzazione di un vertice sulla crisi libica, e il posponimento del vertice sul partenariato orientale, rimandato alla presidenza polacca. Secondo Mesterházy, non sarebbe corretto nemmeno lo stile di Orbán, che per la seconda volta (la prima durante il discorso del 15 marzo, in occasione della festa nazionale) ha paragonato Bruxelles alla Mosca sovietica.
da Népszabadság, 4 aprile p. 7: “I ragazzi sono andati alla miniera UE” di Balázs Pócs e da Népszabadság, 5 aprile p. 7: “Orbán ha paragonato di nuovo Mosca a Bruxelles” di Ildikó Csuhaj
Foto: Il Grande Bluff
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