ARMENIA: Electric Yerevan, si intensificano le proteste. Ultimatum della polizia ai manifestanti

Continuano sempre più intense le proteste nella capitale armena. Electric Yerevan, come è stato chiamati il movimento di protesta dai media, non accenna a fermarsi, neanche in seguito al tentativo da parte del presidente armeno Sargsyan di trovare un compromesso che possa mettere d’accordo le due parti in conflitto, rivelatosi fallimentare. Da una settimana centinaia di manifestanti continuano a occupare le vie del centro, protestando e  intonando slogan contro il governo.

Tutto è iniziato lo scorso 19 giugno in seguito all’annuncio di Sargsyan di volere aumentare del 16% il prezzo dell’energia elettrica; goccia che ha fatto traboccare il vaso per un paese ormai allo stremo delle forze e in piena crisi economica e sociale. Le proteste si sono intensificate lo scorso lunedì, quando i manifestanti hanno organizzato un lungo sit-in presso via Baghramyan, dove si trova il palazzo presidenziale, per chiedere al presidente Sargsyan di fermare l’innalzamento del prezzo dell’energia elettrica. L’occupazione di via Baghramyan, una delle arterie principali della capitale armena, nonché sede oltre del palazzo presidenziale anche del Parlamento e di diverse ambasciate straniere, ha da subito destato la preoccupazione del governo, che non ha esitato a intervenire.

Già dalle prime ore del mattino del 23 giugno la polizia armena ha provato a sgomberare con la forza via Baghramyan, prima ricorrendo l’uso di idranti e poi con l’intervento di agenti in borghese che hanno cercato di rimuovere con la forza i manifestanti dalla strada. La tenacia e la determinazione dei manifestanti hanno portato però a un più deciso intervento delle forze dell’ordine, che hanno attuato una dura repressione, ricorrendo all’uso della violenza e arrestando diverse persone. Alla fine della giornata tra i dimostranti si sono registrate decine di feriti, tra i quali anche diversi giornalisti, vittime di violenze e intimidazioni da parte della polizia, che ha cercato di sequestrare e distruggere le loro attrezzature per mettere a tacere la stampa.

Nonostante le molte testimonianze di attivisti e giornalisti vittime di pestaggi, avvalorate dalle foto e dai filmati che alcuni manifestanti sono riusciti a realizzare, in seguito alla repressione del 23 giugno hanno fatto discutere le parole del capo della polizia Vladimir Gasparyan, il quale ha cercato di difendersi dalle accuse affermando che nei confronti dei manifestanti non è stata usata alcuna forza, sostenendo invece che le forze dell’ordine siano state molto clementi.

In seguito al 23 non si sono registrati ulteriori scontri violenti tra la polizia e i manifestanti, anche se dopo la repressione delle forze dell’ordine la protesta ha iniziato a intensificarsi, mentre l’occupazione di via Baghramyan ha continuato a bloccare la città. Il 27 giugno, a sei giorni dall’inizio dell’occupazione, il presidente Sargsyan ha deciso di incontrare alcuni suoi consiglieri economici per cercare di trovare un compromesso che possa mettere d’accordo governo e manifestanti. In seguito all’incontro la decisione presa da Sargsyan è stata quella di affidarsi a una società di consulenza internazionale per effettuare una verifica sull’aumento della tariffa dell’elettricità da parte della compagnia russa Inter RAO, al fine di stabilire se essa sia stata giustificata o meno. Fino a quando questa società di consulenza non avrà emesso una sentenza il governo ha promesso di farsi carico dell’intero costo del rialzo del tasso sull’elettricità, attingendo dai fondi stanziati per la difesa, senza toccare le prestazioni sociali.

Le rassicurazioni di Sargsyan non sono servite però a convincere i manifestanti, i quali hanno intuito che i soldi che non dovranno essere pagati oggi per l’aumento dell’elettricità verranno comunque pagati un domani attraverso altre tasse. Nonostante i tentativi del governo di mettere fine alla protesta, l’occupazione non ha quindi accennato a fermarsi, con numerosi manifestanti che hanno iniziato a prendere possesso di altre importanti vie del centro. Il mancato sgombero di via Baghramyan ha portato però la polizia armena a lanciare un ultimatum ai manifestanti: se questi non avessero liberato la via entro le 19.30 di domenica, la polizia sarebbe intervenuta con la forza e avrebbe fatto pulizia.

Le minacce della polizia hanno iniziato a dividere i manifestanti, incerti se rimanere in via Baghramyan o spostare la protesta nella vicina Piazza della Libertà, dove si trova l’Opera. Alla fine l’ultimatum delle forze dell’ordine ha convinto parte degli organizzatori della protesta a spostare l’occupazione in Piazza della Libertà, così che nella sera diverse centinaia di manifestanti hanno liberato dall’assedio il palazzo presidenziale. Via Baghramyan non è ancora stata però del tutto sgomberata, così come la maggior parte delle vie del centro, poiché una parte della protesta ha comunque preferito non arrendersi di fronte alle minacce, sfidando ulteriormente le forze di polizia.

Scaduto l’ultimatum, a Yerevan c’è molta tensione nell’aria: non tutti i manifestanti hanno liberato dall’assedio il palazzo presidenziale, e per questo si teme una dura reazione da parte della polizia, che per questa volta aveva promesso di non fare sconti a nessuno. Nell’attesa che la situazione si evolva ulteriormente, l’aria di Yerevan è iniziata a farsi davvero elettrica.

Chi è Emanuele Cassano

Ha studiato Scienze Internazionali, con specializzazione in Studi Europei. Per East Journal si occupa di Caucaso, regione a cui si dedica da anni e dove ha trascorso numerosi soggiorni di studio e ricerca. Dal 2016 collabora con la rivista Osservatorio Balcani e Caucaso.

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