Un responso difficile da digerire per Erdoğan. Dopo tredici anni di dominio incontrastato, perde la maggioranza assoluta nel Parlamento turco. I risultati delle urne sono chiari: nessun partito potrà governare da solo. Addio ad un governo monocolore, come quelli che dal 2002 ad oggi il presidente turco era sempre riuscito ad assicurarsi.
I risultati del voto
Oltre 53 milioni di elettori domenica 7 giugno si sono recati alle urne, decretando una débacle storica per l’AKP (Partito Giustizia e Sviluppo, Adalet ve Kalkınma Partisi) che si è aggiudicato poco più del 40% dei voti, quasi 10 punti percentuali in meno della tornata precedente, perdendo la fiducia di oltre tre milioni di elettori. Tradotto in seggi, Erdoğan ne ottiene 71 in meno rispetto alle ultime elezioni, solo 258 su 550 (la maggioranza assoluta è fissata a 276 seggi). Si allontana per lui la possibilità di attuare la riforma della costituzione che tanto desiderava; per trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale, con o senza referendum, avrebbe avuto bisogno rispettivamente di 330 o 367 seggi.
Oltre all’AKP, sono tre i partiti che entrano in Parlamento superando la soglia di sbarramento del 10%, un tetto molto alto, retaggio del golpe militare del 1980. Il CHP (Partito Popolare Repubblicano, Cumhuriyet Halk Partisi) si conferma primo partito di opposizione con il 25%, migliorando il risultato nel suo feudo di Smirne e in generale in tutta la fascia costiera sull’Egeo. 132 i seggi, in linea con il risultato del 2011.
Seguono poi i nazionalisti dell’MHP (Partito del Movimento Nazionalista, Milliyetçi Hareket Partisi) col 16,4%, in crescita in molte zone della Turchia. Il partito un tempo legato ai Lupi Grigi è riuscito a conquistare voti in molte province dominate dall’AKP, raggiungendo così il suo miglior risultato di sempre e portando in Parlamento ben 81 candidati.
Infine l’HDP di Selahattin Demirtas (Partito Democratico Popolare, Halkların Demokratik Partisi), partito a base curda che è riuscito a superare la soglia di sbarramento con il 13% delle preferenze (quasi 6 milioni di voti), superando le previsioni di molti sondaggi e ottenendo 79 seggi. È la prima volta nella storia che i curdi varcano la soglia del Parlamento.
Il partito filo-curdo di Selahattin Demirtas
La vera sorpresa delle elezioni è l’exploit del Partito Democratico Popolare (HDP), partito di sinistra che nasce nel 2012 e si schiera fin da subito in difesa della minoranza curda che costituisce il 20% della popolazione turca (sono circa 15 milioni i curdi che vivono in Turchia). In seguito, ha raccolto l’eredità delle rivendicazioni libertarie di Gezi Park. È accusato di essere vicino al Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), movimento politico clandestino, considerato dalla Turchia un’organizzazione terroristica, il cui leader Abdullah Öcalan si trova in carcere condannato all’ergastolo.
L’HDP ha dimostrato di essere moderno ed inclusivo; nelle sue liste il 40% di donne e l’unico candidato dichiaratamente omosessuale.
“Siamo donne, siamo giovani, siamo l’arcobaleno, siamo figli, siamo difensori della democrazia, siamo i rappresentanti di tutte le identità, siamo difensori di un mondo libero, siamo protettore della natura, siamo costruttore di un’economia vita sicura, Siamo lavoratori, siamo lavoratori, Siamo il garante dei diritti sociali “.
(dal Manifesto dell’Hdp, 21 aprile 2015)
L’uomo del momento, ribattezzato lo Tsipras turco, è il suo leader, Selahattin Demirtas, 42 anni, che ha osato sfidare il sultano di Ankara Recep Tayyip Erdoğan, strappandogli il controllo esclusivo del Parlamento. Spesso liquidato come un ragazzino dal bell’aspetto, carismatico e grande difensore delle minoranze ha cambiato la storia, favorendo per la prima volta l’elezione di candidati curdi.
E ora cosa succede?
Per l’AKP la situazione si complica. Sono quattro i possibili scenari che si profilano all’orizzonte. Sicuramente le prossime settimane saranno difficili, con lunghe trattative nel tentativo di formare un governo di coalizione entro il 7 luglio, nel tempo massimo di 45 giorni dopo la proclamazione ufficiale dei risultati.
1) Coalizione dell’AKP con l’MHP, con cui condivide un’ideologia nazionalista e conservatrice;
2) Coalizione con il maggiore partito di opposizione (CHP); scenario difficile a vedersi realizzato perché Erdoğan ha costruito la sua carriera politica in netta antitesi con i rivali del CHP;
3) L’AKP potrebbe puntare a governare con un governo di minoranza che di volta in volta ricerchi l’appoggio esterno per ogni singola votazione;
4) Nel caso in cui falliscano tutte le ipotesi precedenti, la Costituzione turca dà il potere al Presidente di convocare elezioni anticipate.
Un Parlamento dalla composizione più inclusiva di sempre
Mai così tante le donne elette nel Parlamento turco. Nuovo record di presenza femminile: saranno 95 le deputate a sedere tra i banchi del Meclis, 19 in più di quello uscente. In proporzione ai voti ottenuti, a contribuire al risultato è stato soprattutto l’HDP, che aveva il più alto numero di candidate in lista. Eletta anche la nipote del leader del Pkk, Abdullah Öcalan; si tratta della ventottenne Dilek Öcala. Inoltre varcano la soglia del Parlamento per la prima volta alcuni esponenti di minoranze etniche: armena, assira, yazida e rom.
Beh, se si osa fare l’ipotesi un po’ fantastica di una coalizione con il CHP, per oggettività non si può tralasciare anche quella -forse più probabile- con l’HDP 😉
Comunque, per ora tutti i leader dei partiti d’opposizione hanno rifiutato possibilità di alleanze, con il MHP che è stato però più sibillino; dal partito di governo invece per ora si afferma di voler tentare la via delle alleanze.