GEORGIA: Il rischio della (contro) rivoluzione

di Matteo Zola

L’onda delle proteste del mondo arabo arriva fino al Caucaso meridionale. Secondo Levan Gatchetchiladze, leader dell’opposizione a Saakashvili (presidente della Georgia dal 2004 e rieletto nel 2008) la Georgia deve prepararsi a uno “scenario cairota“. I toni sono forti: Erossi Kitsmarichvili, già ambasciatore in Russia, pone la questione: “Potremmo rovesciare questo regime con una rivoluzione? Sarà inevitabile? La risposta la deve dare Saakashvili favorendo l’indipendenza della magistratura, depoliticizzando la polizia, togliendo il bavaglio ai media”.  

Chi di rivoluzione colpisce, di rivoluzione perisce. Questo sembra il monito lanciato dall’opposizione. Saakashvili, infatti, è andato al potere nel 2003 a seguito della “Rivoluzione delle rose“, una delle rivoluzioni colorate che nei primi anni Duemila attraversarono l’Europa orientale e che qualcuno interpretò come il compimento dell’ottantanove. Oggi, di quelle rivoluzioni, non resta più nulla. Tradite, mancate, mistificate, sono tutte fallite. Saakashvili è l’unico leader sopravvissuto, aveva promesso di portare la Georgia verso l’Occidente, nella Nato e nell’Unione, ma ha trovato solo false promesse e porte chiuse. Poi la guerra con la Russia e la perdita di importanti fette di territorio nazionale (da allora Abkazia e Ossetia del sud sono sotto il controllo del Cremlino). Sembrava finito, ma è ancora al suo posto. Saakashvili, questo è quanto si chiede il quotidiano georgiano Resonansi, potrà essere deposto con lo stesso mezzo con cui ha raggiunto il potere? Irakli Alassania, leader del partito democratico (all’opposizione), intervistato dal giornale ha risposto che “la Georgia ha già avuto la sua rivoluzione” e che “bisogna fare i conti con il disinteresse e la disillusione della gente, che neppure va a votare”. Figurarsi a manifestare.

Non tutti la pensano così, il quotidiano ucraino Korespondet osserva con attenzione quanto avviene in Georgia e avverte: “Una rivolta popolare avrà luogo”. A dargli ragione c’è la situazione azera: nel vicino Azerbaijan, infatti, le autorità stanno tentando di raffreddare gli animi di una piazza che ha già fissato una manifestazione di protesta per l’11 marzo. Come? Con una campagna anti-corruzione che sembra, più che altro, una manovra populistica.

Saakashvili, dal canto suo, si dice sicuro e rilancia: “La libertà è sempre in pericolo, queste rivoluzioni la difendono. E portano nomi di piante, “gelsomino, cedro”. E’ la nostra rivoluzione ‘delle rose’ che le ha prodotte”. Quando si dice ‘di sana pianta‘.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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