SLAVIA: La Slavia italiana, dalla Puglia al Friuli

La presenza di popolazioni slave in Italia non è recente, esse sono parte integrante del nostro paese da secoli, giunte sulla scorta delle grandi migrazioni che nel VII secolo le portarono dalla Polonia e della Germania fino ai Balcani. La direttrici della penetrazione slava in Italia sono due, una marittima (dall’Adriatico e dall’Egeo verso la Puglia e la Sicilia) e una terrestre, dall’attuale Slovenia al Friuli e al Veneto.

Gli slavi in sud Italia

Risale al 926 un documento che attesta con l’appellativo di župan (vale a dire “signore”, in serbo) il reggente della città di Vieste. A Palermo, fino al 1090, quando ebbe termine la dominazione araba sull’isola, esisteva una “via slava”, a render conto della presenza di quella comunità in città. Già nel VII secolo si assistette a migrazioni dalla Dalmazia, sovente associate ad atti pirateschi, e di proto-bulgari nelle Marche. Tuttavia la presenza slava nell’Italia meridionale non è stata durevole essendo legata alle fortune degli stati slavi balcanici e in particolare alla Repubblica di Ragusa, la “quinta repubblica marinara”, la cui influenza commerciale si estendeva dalla Dalmazia alla Puglia alla Sicilia.

La “slavia” friulana

Destinata a lasciare un segno duraturo è invece stata la migrazione degli slavi nell’Italia settentrionale, in Friuli e Veneto. E’ probabile che il loro arrivo in Italia abbia seguito la rotta tracciata dai Longobardi i quali, nella loro spinta verso occidente, lasciarono libere alcune regioni orientali che gli slavi ripopolarono complice anche la fuga della popolazione autoctona. Si stanziarono così nell’attuale Friuli e nel Veneto, lungo il corso del fiume Natisone che collegava Aquileia, sede di un importante patriarcato, all’Europa centrale.

La prima attestazione certa della presenza slava in Italia è fornita dall’Historia Langobardorum di Paolo Diacono che narra della battaglia di Broxas (oggi Porta Brossana, presso Cividale del Friuli). Qui, nel 664 circa, le popolazioni slave stanziate nei territori circostanti tentarono la conquista di Cividale approfittando dell’assenza del duca longobardo Vetteri. Paolo Diacono ricostruisce la vicenda che portò alla battaglia e alla sconfitta degli slavi i quali, in massima parte, fuggirono nelle valli da cui erano discesi. Al di là del fatto storico, la testimonianza di Paolo Diacono ci consente di datare la presenza slava in Italia. La popolazione slava non lasciò traccia di una cultura propria avendo probabilmente abbracciato fin da subito la religione cristiana ed essendosi assimilati alla popolazione locale. Se così fosse, gli slavi italiani sarebbero stati i primi a convertirsi al cristianesimo. Solo la lingua rimase, non sappiamo in che misura, elemento distintivo delle comunità slave.

Altri insediamenti slavi vennero favoriti, nel X secolo, dal patriarcato di Aquileia che aveva necessità di ripopolare le proprie terre a seguito delle invasioni ungare. Fu così che genti slave furono invitate a stanziarsi nelle valli del Torre e dello Judrio e nella val di Resia. Il relativo isolamento e la distanza dalle altre terre slave  portò questi nuovi immigrati a una rapida assimilazione. Al secolo XI risale invece la presenza slava nel Collio dove, grazie al diretto contatto con le popolazioni slave stanziate nell’attuale Slovenia, gli slavi riuscirono a mantenere una propria identità linguistica e culturale.

Gli slavi ai tempi delle Serenissima

La presenza slava doveva comunque essere numericamente consistente se, allorché la regione fu conquistata dalla Repubblica di Venezia, fu concesso agli “schiavoni” un particolare statuto civile che li esentava dagli obblighi militari e accordava privilegi fiscali e amministrativi. E’ possibile che il termine “schiavone”, che come sappiamo divenne un etnonimo diffuso per definire le genti slave, avesse un’accezione estensiva e si applicasse anche a coloro che non erano slavi. Durante la Serenissima la presenza slava in Veneto e Friuli fu favorita dai commerci che collegavano le coste della Dalmazia, Venezia e Padova. Toponimi che ricordano la presenza slava sono diffusi in tutto il Veneto ma non tutti sono da ricondurre alla presenza di genti slave: le “porte schiavone” che restano nella toponimia locale erano spesso i luoghi del commercio degli schiavi che, nel basso Medioevo, erano in buona misura slavi fatti prigionieri nell’Egeo, in Grecia e nei Balcani.

Gli slavi friulani, sloveni o beneciani?

La sorte della “slavia” italiana seguì quella della Serenissima e, nel 1797, con il passaggio della Repubblica di Venezia all’Impero asburgico, gli slavi si trovarono a far parte di un “commonwealth” che comprendeva altre nazioni slave. Venne così l’età dei Risorgimenti, quello italiano ma anche quello sloveno, croato e serbo. Le nazioni slave riscoprivano la propria storia e rivendicavano l’indipendenza dai grandi imperi. In Slovenia, e non senza difficoltà, si affermò un modello linguistico ed estetico che portò alla prima codificazione dello sloveno. Nel 1808, anche grazie all’occupazione delle truppe napoleoniche, a Lubiana venne data alle stampe la prima grammatica slovena e accanto alle istanze culturali procedono quelle politiche. Sarà solo con la fine della Prima guerra mondiale e la caduta dell’Impero austro-ungarico, che gli sloveni troveranno una via per l’indipendenza entrando a far parte del Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, nucleo della futura Jugoslavia.

La nuova mappa del mondo lasciava però il 30% della popolazione slovena al di fuori dei confini del nuovo stato. Quelli residenti nei territori giuliani, friulani e veneti passarono allo stato italiano. Resta tuttavia controverso se quelli della “slavia” italiana siano da considerarsi sloveni oppure se si tratti di un gruppo autonomo, che con le vicende slovene ha poco a che spartire. In soccorso ci vengono i linguisti che, attraverso il metodo comparativo, hanno stabilito che la lingua slava parlata ancora oggi nella “slavia” italiana sia una variante dello sloveno e non una lingua slava evolutasi in modo indipendente dalla comune lingua protoslava. E così è venuta la recente legge di tutela della minoranza slovena in Italia (l. 38/01) che ne ha riconosciuto la presenza storica e i diritti fondamentali. Resta tuttavia chi si oppone a questo tipo di lettura e rivendica l’antichità dello “slavo del Natisone” e ritiene che gli slavi italiani non siano sloveni, da qui l’invenzione del nome “beneciani” per distinguerli dai cugini sloveni. “Beneciano” è un termine che deriva dallo slavo “Benečija”, ovvero Venezia: slavi veneziani, quindi.

Una convivenza da riscoprire

Le relazioni tra comunità slava e italiana non è sempre stata pacifica. Le persecuzioni antislave operate dal fascismo, la vendetta delle foibe, e le tragedie della Seconda guerra mondiale hanno tracciato un solco profondo tra le due comunità. La presenza slava in Friuli e nell’area giuliana fu occasione per rivendicare alla Jugoslavia quelle terre e durante la guerra partigiana non mancarono atrocità come quella, nota, di Porzûs. Ancora oggi la memoria su quei fatti è oggetto di divisioni e strumentalizzazioni politiche. Tuttavia la presenza slava in Italia è millenaria ed è sempre stata una convivenza pacifica, riscoprirla nella sue radici può forse aiutare a superare i traumi più recenti. 

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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4 commenti

  1. La parola zupan la prima volta la troviamo nel 777 in sloveno poi nel medio evo anche in serbo e in croato e poi anche in ungherese. Non mi sembra che zupan significhi ”signore” neanche in serbo..

  2. Croato del Molise

    Mi sorprende che in questo interessante articolo dedicato alla presenza slava in Italia non si parli o, perlomeno, non si accenni alle comunità storiche croate del Molise (presenti in questa regione da almeno cinquecento anni). Queste comunità hanno conservato fino ad oggi, in parte, la lingua e le tradizioni croate della Dalmazia (loro terra d’origine). Sarebbe bello se dedicaste un articolo d’approfondimento sulla storia di queste piccole (prima di una graduale assimilazione le comunità slave del Molise erano decisamente più consistenti) ma importanti minoranze slave (a cui appartengo per linea paterna) del meridione d’Italia.

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