POLONIA: "Restate!" Il nuovo museo della storia degli ebrei in Polonia

PO-LIN, “restate qui”. Ma anche il nome della Polonia, in ebraico. E’ il nome del nuovo “Museo della storia degli ebrei in Polonia”, inaugurato solo nell’ottobre 2014 sulla piazza di Muranow, dove sorge anche il monumento alle vittime dell’insurrezione del ghetto – quello di fronte a cui si inginocchiò Willy Brandt nel 1970 nella iconica kniefall.

Costruito in vetro, rame e cemento, in toni sabbia e azzurro, dagli architetti finlandesi Rainer Mahlamäki e Ilmari Lahdelma, la caratteristica fondamentale del Polin è che non è un museo sull’olocausto. Al contrario, è un museo sulla vita e le opere della comunità ebraica polacca lungo i secoli. La sua esibizione principale, che con più di 4.000 metri quadri occupa tutto il piano interrato dell’edificio, racconta il filo rosso che lega gli ebrei al resto della nazione polacca, nel corso della sua storia millenaria. “La storia degli ebrei polacchi è parte integrante della storia della Polonia, e la storia della Polonia non è completa senza la storia degli ebrei polacchi“, recita la brochure del museo. E’ inoltre un museo dei più moderni nell’allestimento: non solo elementi statici, ma una esibizione interattiva in cui leggere, guardare, ascoltare, toccare, impersonificarsi.

La Polonia e i suoi ebrei, una storia intrecciata

E così l’esibizione attraversa tutti i capitoli della storia polacca, dalla fondazione medioevale delle città e del regno, fino al periodo socialista, attraverso l’angolo particolare della comunità ebraica. Una comunità da sempre presente, consustanziale alla Polonia stessa, come si può leggere anche nella miniguida online. Già nel 1264 lo Statuto di Kalisz del duca Boleslao permetteva ai mercanti ebrei venuti da Praga di stabilirsi e praticare il proprio culto in Polonia. Il loro ruolo fu fondamentale per lo sviluppo dei primi centri urbani attorno al bacino della Vistola – Cracovia, Gniezno, Poznan, Varsavia, Danzica.

 Ma è all’inizio dell’era moderna che la Confederazione Polacco-Lituana diventa il “paradisus iudaeorum”, l’eden per gli ebrei d’Europa. La Confederazione, uno degli stati più estesi, più diversi e più tolleranti dell’Europa del tempo, resta al di fuori delle guerre di religione che stavano insanguinando l’Europa occidentale, e con 750.000 ebrei ospita già allora la comunità ebraica più ampia al mondo. Un’età dell’oro di cui restano memorie importanti come la sinagoga in legno di Gwoździec (oggi in Ucraina), di cui il museo ospita una ricostruzione a grandezza pressoché naturale. La letteratura rabbinica raggiunge punte di altissimo livello – nascono qua il chassidismo, la yeshiva di Gaon di Vilna, l’illuminismo ebraico della haskalah di Mendel Lefin – e l’arrivo della stampa dalla Germania ne permette una più ampia diffusione. Ma si moltiplicano anche gli episodi di antisemitismo e cresce l’ambiguità nel rapporto tra ebrei e chiesa cattolica.

Guerre, emigrazione, antisemitismo, Olocausto: l’eredità avvelenata degli ultimi due secoli

L’ottocento porta con sè la partizione della Polonia tra Austria, Russia e Prussia, ma anche industrializzazione e proletarizzazione. Pogrom e restrizioni normative, oltre alle condizioni economiche, spingono molti a partire. Nel periodo antecedente la Grande Guerra, un terzo degli ebrei polacchi sceglie l’emigrazione, soprattutto verso gli Stati Uniti. Ma è quello della “Seconda Repubblica”, la Polonia interbellica (1919-’39) uno dei capitoli più interessanti e meno conosciuti. Nel rinato stato polacco, nonostante gli episodi di antisemitismo, i tre milioni di cittadini ebrei – il 10% della popolazione della Repubblica – partecipano attivamente alla vita politica, con partiti di ben differente ispirazione: i sionisti messianici che già organizzavano la partenza verso il Mandato di Palestina (“Il nostro futuro non è in Polonia”), il Bund socialista (“questa è la nostra patria! Socialismo e potere ai lavoratori”), gli antisionisti conservatori di Agudat legati all’ebraismo ortodosso e chassidico.

La seconda guerra mondiale, l’occupazione nazista e stalinista e l’Olocausto mettono fine a tutto questo. Ma oltre ai campi di concentramento, questa è anche la storia del ghetto di Varsavia e della sua insurrezione, che precedette la più generale insurrezione della città intera – entrambe represse nel sangue e nelle macerie. Furono 300.000 gli ebrei polacchi che sopravvissero, uno su dieci. La metà – soli, poveri, in un paese in rovina, in fuga da ulteriori violenze – decidono di partire verso la Palestina, dove contribuiranno alla nascita di Israele. Gli altri restano per ricostruire il paese, ma non hanno vita facile nella Repubblica Popolare Polacca. Nel 1968, per screditare le proteste studentesche, i leader comunisti decidono di giocare la carta antisemita. Calunniati, espulsi dalle università e dalla funzione pubblica, altri 14.000 ebrei polacchi – tra loro molti intellettuali e artisti – scelgono di partire. In cambio del permesso d’espatrio, devono rinunciare alla cittadinanza: un biglietto di sola andata.

L’eredità ebraica nella Polonia odierna

Il 1989 trova una comunità ebraica ai minimi termini – si contano oggi siano circa 20.000 gli ebrei polacchi. Ma con la democrazia e la crescita economica rinasce anche l’interesse della Polonia verso la storia e la cultura dei suoi ebrei. A Varsavia, come in altre città, sinagoghe e musei riaprono, per testimoniare di un’assenza – anche attraverso installazioni di arte moderna come l’iconica Palma di Joanna Rajkowska nel centro di Varsavia.

Il Polin non si esime dal raccontare la storia dolorosa dell’Olocausto – con la liquidazione del ghetto di Varsavia in cui è locato – ma si sofferma anche su intervalli meno conosciuti ma altrettanto importanti del Novecento, dalla Polonia interbellica alla Repubblica Popolare del dopoguerra. Allo stesso tempo, non tace sulle vicende dell’antisemitismo che costella la storia dei rapporti tra cristiani ed ebrei in Polonia lungo i secoli, dalla rivolta cosacca di Khmelnytsky del 1648 fino ad episodi controversi come il massacro di Jedwabne nel 1941.

Il progetto del Museo Polin è del 1993. Ci sono voluti vent’anni, ma oggi è di nuovo possibile ricordare ed onorare la memoria dei tanti ebrei che hanno fatto sì che la Polonia sia quella di oggi.

Foto: Fotopolska, wikimedia

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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