Probabilmente, se i fratelli Wachowski avessero aspettato una decina d’anni per girare “Matrix Revolutions”, si sarebbero ispirati al braccio di ferro tra la Grecia e il Brussels Group (ex Troika) per descrivere lo “scontro finale” tra Neo e l’Agente Smith.
Non solo, infatti, non si riesce ancora a trovare un accordo tra le parti, ma ora una data sembra segnare definitivamente il percorso: il 9 aprile, infatti, la Grecia si troverà di fronte alla scelta se rimborsare il debito contratto, a suo tempo, con il FMI (450 milioni di euro) oppure pagare stipendi e pensioni. E il ministro degli Interni, Nikos Voutsis, ha fatto sapere che, in ogni caso, sceglierebbe la seconda ipotesi, condannando però il paese alla bancarotta. “Dovremo trovare un accordo per posticipare il pagamento e scongiurare il default sul debito. Abbiamo denaro sufficiente fino a metà aprile”, ha ricordato Voutsis.
La Grecia potrebbe ricevere ulteriori 7,2 miliardi di euro di aiuti se trovasse un accordo in seno all’eurogruppo, ma per chiudere la partita l’Europa deve accettare il piano di Tsipras, il quale ha sottoposto agli sherpa dei ministri delle Finanze la lista delle nuove riforme. Si tratta di un plico di 26 pagine, diffuso dal Financial Times – che avrebbe ricevuto le informazioni dai creditori internazionali, a detta del ministro delle Finanze greco Varoufakis -, nel quale si prevedono interventi per 6 miliardi di euro. Misure che però gli altri ministri delle finanze dei paesi membri dell’Unione non reputano convincenti.
Quale “Piano B” per Atene? Le sirene di Mosca e Pechino
Il braccio di ferro in seno all’Unione Europea sta durando da troppo tempo e rischia seriamente non solo di portare il paese ellenico al fallimento, ma di trascinare con sé anche il resto dell’Europa; serve dunque alla Grecia un “piano B”, il quale sembra includere, al momento, il coinvolgimento della Russia di Putin e – probabilmente – della Repubblica popolare cinese.
Tsipras ha già annunciato che l’8 aprile si recherà a Mosca per una visita ufficiale al Cremlino; la giornata verterà sicuramente sul possibile scambio di favori tra i due paesi – e di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo -, ovvero il voto contrario della Grecia a nuove sanzioni nei confronti della Russia in cambio di pochi, maledetti, ma necessari soldi da parte di Putin.
A legare i due paesi c’è non solo la storia – nei primi anni del XIX secolo lo zar Alessandro I aiutò la Grecia a ottenere l’indipendenza dall’Impero ottomano, – nè soltanto la comune appartenenza alla fede ortodossa, ma anche, più banalmente, il generale astio nei confronti di Angela Merkel, la quale è ferma sostenitrice dell’austerity in Europa e delle sanzioni ad est.
Che la Grecia abbia necessità di guardare anche altrove per non rischiare di restare schiacciata da attori troppo più grandi di lei è indubbio, e che la Russia, d’altra parte, voglia allargare la propria area d’influenza – partendo innanzitutto dai paesi ortodossi – è altrettanto fuori discussione. La domanda però è: questa alleanza strategica riuscirà effettivamente a rendere la Grecia non più dipendente dagli aiuti europei? O Tsipras rischia di apparire come “l’utile idiota” necessario – ma solo per il momento – alla Russia per spaccare l’Europa e pronto ad essere abbandonato alla prima occasione buona?
La Russia sta entrando in recessione. Soffre l’amara combinazione tra bassi prezzi del petrolio e sanzioni finanziarie. Questo rende un piano di salvataggio russo per la Grecia altamente improbabile. Quand’anche riuscisse a staccare un assegno di qualche miliardo di dollari, si tratterebbe di spostare il default di 1 o 2 mesi, in assenza di riforme e di correttivi dei conti pubblici. Non ne varrebbe la pena, anche perché sostenere Putin in questo momento storico significherebbe allinearsi ai vari Orban e a tutte le destre più estreme d’Europa, non proprio il massimo della vita per l’uomo nuovo della sinistra europea.
Per rendere l’accordo funzionale agli interessi greci e vera alternativa al piano di salvataggio del Brussels Group bisognerebbe coinvolgere nei do ut des anche la Cina, la quale, con riserve valutarie da 3.900 miliardi di dollari, potrebbe davvero fare la differenza.
Aggiungerei che fondamentalmente è la Grecia che ha bisogno dell’UE: anche in caso di una (credo remota) uscita della Grecia da un punto di vista economico l’impatto sull’UE sarebbe minimo, altro discorso quello politico-psicologico. Gli otto defaults dell’Argentina ci hanno abituato a convivere con partners non sempre affidabili.
Circa i possibili “salvatori”, la Russia può offrire un armamentario di belle parole, ma quanto a soldi, ne può mettere sul piatto pochini, visto che a dicembre è stata anch’essa sull’orlo della bancarotta (eventualità sempre dietro l’angolo).
Per la Cina l’utilità di una Grecia fuori dell’UE è praticamente nulla, quindi avranno anche “riserve valutarie da 3.900 miliardi di dollari”, ma intendono investirli non regalarli a prestidigitatori di bilanci e notori bancarottieri.
Apprezzo l’articolo ed anche il commento di Gian Angelo e mi sovviene l’Albania che già sente il profumo di potenziali investimenti Cinesi aprendo di fatto un silente dibattito tra il loro reale ingresso in EU e l’opportunità di grandi concessioni trentennali a favore di grandi imprese Cinesi.
Alcune considerazioni sulle caratteristiche degli investimenti cinesi all’estero. Per iniziare sono giustappunto investimenti, per cui per ogni dollaro che tirano fuori, i cinesi pretendono un ritorno economico, non ritorni politici o ideologici. Ricordiamo che il governo di Pechino è il maggior detentore del debito pubblico americano, mentre gli investimenti cinesi in molti paesi africani potrebbero essere definiti meglio politiche mercantilistiche settecentesche ovvero uno sfruttamento quasi coloniale e sicuramente sbilanciati a loro favore.
Inoltre la Cina non ha interessi ad usare la Grecia contro l’UE, e questo non per simpatia nei confronti degli altri europei, ma semplicemente perché, per definizione, l’Impero di Mezzo non ha bisogno di alleati, ma solo vassalli più o meno utili.
Per cui, va bene investire nel porto del Pireo, certo che sarebbe meglio che Atene rimanesse nell’UE, se no la convenienza (e i dollari investibili) decrescerebbe di parecchio. Per il resto non c’è molto che la Grecia possa offrire alla Cina.
Le concessioni trentennali sono il normale modus operandi dell’imprese cinesi all’estero per cui se si vogliono fare affari con loro, bisogna metterle in conto, soprattutto se i petenti sono paesi come la Grecia o l’Albania.
Ovviamente un discorso diverso è la Russia. L’isolamento internazionali e le difficoltà economiche interne possono rivalutare anche la Grecia agli occhi di Putin, certo che il crollo del 70% degli utili di Gazprom e i tagli al bilancio statale azzerati dall’impennata dei costi del settore militare, penso, lascino pochi spiccioli da investire nella politica di prestigio putiniana.
Come volevasi dimostrare: Tsipras è tornato da Mosca ( per rimborsare i debiti) con una montagna di sorrisi e vaghe promesse e una veneratissima icona di cui, fino a ieri, nessuno aveva sentito parlare…