Respingimenti “sistematici” e illegali: arriva la condanna della Corte di Strasburgo per la Grecia – e per l’UE.
Lo scorso 7 gennaio la Corte europea dei diritti umani (CEDU), organo del Consiglio d’Europa con sede a Strasburgo, ha condannato la Grecia e riconosciuto l’esistenza di una pratica sistematica e illegale di respingimento di cittadini di paesi terzi dalla regione greca di Evros verso la Turchia.
La Corte ha riconosciuto che A.R.E., cittadina turca condannata a sei anni di reclusione come presunta “gülenista“, è stata respinta nel 2020 verso il suo paese d’origine, da cui era fuggita, senza previo esame dei rischi di persecuzione a cui avrebbe dovuto far fronte. Atene dovrà ora pagarle 20.000 euro di risarcimento per danni non pecuniari.
È la prima volta che la Corte europea dei diritti dell’uomo si pronuncia sui respingimenti dalla Grecia, ritenendoli una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Una pratica sistematica di respingimenti alla frontiera
La Corte ha osservato che moltissimi rapporti ufficiali descrivono in dettaglio una pratica sistematica da parte delle autorità greche, in base alla quale i cittadini stranieri che entrano in territorio greco per chiedere asilo vengono respinti in Turchia dalla regione di Evros e dalle isole greche. Sulla base delle denunce e delle testimonianze di persone che sostenevano di essere state vittime di respingimenti illegali alle frontiere greche terrestri o marittime, i rapporti in questione descrivevano un modus operandi abbastanza uniforme da parte delle autorità greche a tale riguardo.
Inoltre, la stessa conclusione era stata raggiunta sia dalle istituzioni nazionali per la difesa dei diritti umani sia da organizzazioni internazionali come il Consiglio d’Europa o persino le Nazioni Unite, il cui Relatore speciale sui diritti umani dei migranti aveva affermato che, in Grecia, i respingimenti alle frontiere terrestri e marittime erano ormai una pratica standard. Considerato numero, varietà e concordanza delle fonti, la Corte ha concluso che sussistevano forti indizi per suggerire che, al momento degli eventi, esistesse una pratica sistematica di respingimenti di cittadini di paesi terzi, da parte delle autorità greche, dalla regione di Evros alla Turchia. La Corte ritenuto che il governo di Atene non abbia confutato con successo le prove in questione fornendo una spiegazione alternativa convincente.
Quindici anni di denunce
Da vent’anni ormai la Grecia è sotto accusa per il respingimento illegale di richiedenti asilo alla frontiera. Migranti e rifugiati vengono fermati al confine terrestre sul fiume Evros e costretti a ritornare in Turchia su gommoni. Altri vengono intercettati in mare e riportati nelle acque turche o abbandonati su zattere nel Mar Egeo. Queste operazioni non solo violano i diritti umani fondamentali, mettendo a repentaglio vite umane, ma impediscono anche alle vittime di accedere alla giustizia.
Una pratica divenuta sistematica al tempo della “crisi migratoria” del 2015-2016, con l’arrivo in Europa di oltre un milione di profughi siriani, afghani e iraniani tramite la rotta balcanica. Nonostante le ripetute smentite del governo greco, le Nazioni Unite, Amnesty International e altre ONG per i diritti umani hanno documentato ripetuti casi di respingimenti, cercando rimedio giuridico nelle corti nazionali ed europee.
“La Corte ha riconosciuto la pratica e ha deciso di punire queste violazioni. Ha deciso che non era accettabile”, ha dichiarato a EurActiv Lefteris Papagiannakis, direttore del Consiglio greco per i rifugiati. Secondo tale organizzazione, il caso A.R.E. potrà ora essere usato come precedente in altre cause simili.
Di solito questi casi sono estremamente difficili da vincere. Proprio martedì la Corte ha anche respinto per mancanza di prove, in una sentenza separata, la denuncia di un richiedente asilo afghano che aveva accusato le autorità greche di averlo abbandonato su un gommone nel Mar Egeo, quando era ancora minorenne, con l’obiettivo di rimandarlo in Turchia.
La complicità dell’Europa nelle pratiche di respingimento illegale
La sentenza di Strasburgo va oltre al singolo caso: rappresenta un segnale diretto a tutti gli altri Stati membri e alle istituzioni europee, in un contesto in cui i respingimenti e le violazioni dei diritti delle persone migranti sono ormai sistematici ai confini esterni della “fortezza Europa”.
I respingimenti sul fiume Evros e nel mare Egeo sono prassi consolidata, e ben noto è il ruolo istigatore del governo greco. Anche l’agenzia europea Frontex, presente in Grecia, è stata accusata di essere passiva – se non complice – di fronte a tali pratiche illegali. D’altronde il suo ex direttore, il francese Fabrice Leggeri, è oggi eurodeputato europeo per l’ex Front National di Marine Le Pen.
Non si contano inoltre i casi di respingimenti da parte delle autorità di Croazia e Bulgaria lungo la rotta balcanica. I due paesi sono entrati nell’area Schengen rispettivamente nel gennaio 2023 e 2025, nonostante – o forse proprio perché – si siano dimostrati inflessibili nella “difesa delle frontiere”, incluso tramite la violenza illegale contro persone indifese. La Commissione europea, che avrebbe potuto farlo, non ha mai proposto procedure d’infrazione contro Zagabria e Sofia. E proprio il nuovo Commissario europeo alla migrazione, il falco austriaco Magnus Brunner, sarà ad Atene giovedì 16 gennaio,
L’abuso del diritto per privare di diritti
Solo l’estate scorsa, anche la Finlandia ha adottato una legge in deroga alla Costituzione per legalizzare i respingimenti in caso di “emergenza”. E alla sua prima conferenza stampa pubblica, lo scorso 3 dicembre, la nuova Commissaria europea alla sicurezza, la finlandese Henna Virkkunen, ha ripetito fino allo sfinimento che “gli stati membri hanno l’obbligo giuridico di proteggere la frontiera esterna”.
Ma secondo lo stesso diritto europeo, gli Stati membri devono rispettare i diritti umani di coloro che attraversano le frontiere esterne e seguire il principio di non respingimento, assicurando che nessuno venga rimpatriato in un Paese dove rischia di subire torture o trattamenti inumani. Un lato del diritto europeo sempre più disatteso, tanto che studiosi come Ganty e Kochenov hanno iniziato a discutere di “EU lawlessness law” – l’abuso del diritto per privare di diritti.
Mancano ancora i rimedi giuridici su scala europea
Come ricorda l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo, “malgrado l’ar.18 della Carta dei diritti fondamentali riconosca il diritto di asilo ed il successivo articolo 19 vieti i respingimenti collettivi, sulla scorta dell’analogo divieto previsto dall’art.4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU, non esistano su scala europea rimedi giuridici che permettano di imporre ad uno Stato di concedere un visto di ingresso per ragioni umanitarie, in favore di un cittadino di un paese terzo, che abbia subito violazioni dei propri diritti fondamentali, con l’esecuzione di un respingimento (pushback) illegale.”
“Rimane il dato sconfortante come ormai il diritto di asilo conservi una funzione residuale, subordinata alle esigenze (anche propagandistiche) di difesa dei confini ed alle relazioni geo-politiche tra Stati. Con un rovesciamento della gerarchia dei valori sanciti dalle Costituzioni nazionali, in senso anche più ampio, come nel caso del diritto di asilo in Italia, della ristretta previsione contenuta nella Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati,” conclude Vassallo Paleologo.