MACEDONIA: Una crisi a quattro velocità. Un breve riassunto

In Macedonia è stato scoperchiato il vaso di Pandora, e ogni giorno escono fuori nuove rivelazioni che gettano fango sul governo e sui suoi componenti, a partire dal primo ministro Nikola Gruevski. Non si tratta invero di un processo esploso così improvvisamente, giacché da quasi un anno il piccolo paese balcanico sta attraversando una crisi politica che colpisce molti aspetti della vita di uno stato democratico. Una crisi che ha radici profonde ma che si sta manifestando con più forza negli ultimi mesi, seguendo quattro percorsi all’apparenza slegati fra loro, ma che a ben vedere presentano punti di contatto.

La crisi delle istituzioni sociali 

Per approfondire: La crisi della giustizia, dell’equità e della tutela delle minoranze

Già dopo alcuni mesi dalle contestate elezioni parlamentari del 2014 che hanno visto vincere la coalizione guidata dal VMRO-DPMNE di Nikola Gruevski, e a cui son seguite a distanza di due giorni quelle presidenziali vinte da Djordje Ivanov dello stesso partito, la tensione sociale è salita alle stelle a causa di una contestata sentenza. Nello specifico si trattava di una condanna all’ergastolo erogata a sei macedoni di etnia albanese per l’omicidio di cinque ragazzi macedoni avvenuto due anni prima. La sentenza, su cui ci sono evidenti ombre di un sistema giudiziario che presta il fianco ad accuse di discriminazione, ha causato proteste, rivolte soprattutto al ministro dell’Interno Gordana Jankulovska, soppresse con la forza dalla polizia. Di più, le proteste hanno palesato una divisione anche all’interno della stessa minoranza albanese e delle proprie rappresentanze politiche: il BDI (Unione democratica per l’integrazione) di Ali Ahmeti e il PDSH (Partito democratico degli Albanesi) di Menduh Thaçi si sono appropriati dei luoghi simbolo della protesta (la moschea di Jahja Pasha, da cui è partito il corteo sventolante bandiere albanesi), dapprima litigando verbalmente e infine venendo alle mani in Parlamento.

I movimenti dal basso

Per approfondire: La società civile rinasce nelle piazze

Quanto accaduto dopo la contestata sentenza ha mostrato come il problema delle minoranze sia ancora molto sentito in Macedonia (gli albanesi rappresentano il 18% della popolazione), segno che, nonostante l’albanese sia assurto a lrango di lingua ufficiale nei comuni a maggioranza albanese, la normalizzazione seguita al breve conflitto del 2001 non è ancora completa.

L’ondata di proteste, inoltre, ha investito anche il silente mondo studentesco. Cortei di universitari a dicembre hanno sfilato a Skopje per protestare contro la proposta di legge del governo Gruevski, in base alla quale per tutti i laureandi sarebbe entrato in vigore un esame di stato obbligatorio, visto dalle rappresentanze studentesche come l’ennesimo tentativo di controllo coercitivo da parte del governo.

Questa oppressione si è resa lampante con il caso del giornalista Tomislav Kezarovski, condannato nel 2013 alla spropositata pena di quattro anni di reclusione per aver rivelato l’identità di un testimone implicato nel processo sull’omicidio del giornalista Nikola Mladenov. Il lavoro investigativo di Kezarovski, nel pieno delle sue facoltà di giornalista, getta ombre sulle vere motivazioni di questa condanna. La corte d’Appello di Skopje ha dimezzato la condanna, ma questo non è bastato affinché uno spontaneo manipolo di giornalisti e simpatizzanti accorressero presso la sede del tribunale e protestasse contro la decisione, la quale avrebbe implicato per il giornalista altri tre mesi di reclusione.

La crisi politica

Per approfondire: Crisi politica senza vincitori né vinti

Alle elezioni del 27 aprile 2014 il VMRO-DPMNE di Gruevski, alla guida di sei partiti minori si è aggiudicato la maggioranza dei seggi, mentre i restanti sono stati spartiti fra la coalizione del SDSM (Partito socialdemocratico di Macedonia) di Zoran Zaev, andata poi all’opposizione, e i due partiti albanesi, il BDI di Ali Ahmeti e il PDSH di Menduh Thaçi. Sin dai primi conteggi, su cui l’OSCE ha ravvisato soltanto piccoli vizi di forma (e comunque solo per il secondo turno delle presidenziali), il clima politico del Paese, che già da prima non era caratterizzato per la serenità, si è guastato irrimediabilmente. L’opposizione guidata da Zoran Zaev ha subito denunciato brogli nell’elezione del nuovo presidente della Repubblica, Djordje Ivanov (supportato dal VMRO-DPMNE), e che inoltre avrebbero supportato le accuse con prove schiaccianti.

Dalle parole l’opposizione è passata ai fatti, assentandosi alla cerimonia di insediamento del nuovo primo ministro, e presentando le proprie dimissioni da parlamentari esattamente un mese dopo le elezioni. Il mese successivo Zaev ha pubblicamente esposto le proprie richieste al governo, il quale avrebbe dovuto dimettersi per cedere posto a un governo tecnico che potesse indire nuove elezioni. A settembre il presidente del parlamento Trajko Veljanovski ha analizzato le dimissioni dei parlamentari dell’opposizione, preparandosi pertanto a far subentrare in primi non eletti delle liste. I parlamentari dimissionari pertanto hanno il potere di far crollare il governo Gruevski, qualora la maggioranza parlamentare voti la decadenza dei suddetti; una mossa non saggia, si legge nel progress report che l’UE ha compilato nei confronti della vicenda. I colpi bassi non sono mancati, dalle accuse di frode immobiliare rivolte direttamente al primo ministro Gruevski, fino alla pubblicazione, da parte del SDSM di Zaev di intercettazioni telefoniche, in base alle quali Gruevski, il ministro dell’Interno Gordana Jankulovska e il capo dei servizi Saso Mijalkov (parente del primo ministro) controllavano l’agenda di giudici e procuratori, senza contare il fatto che tenessero sotto controllo i telefoni di molti giornalisti macedoni, a loro volta testimoni di questa grave violazione di principi democratici.

Il processo di integrazione europea

Per approfondire: Ingresso nel club UE sempre più lontano

Risulta evidente come la candidatura per l’adesione all’Unione Europea, presentata nel lontano 2005, risulti sempre lontana dall’essere minimamente presa in considerazione. Se negli ultimi dieci anni la responsabilità più grande nella mancanza di alcun tipo di negoziato è stata in mano alla Grecia, la quale ha posto il proprio veto per stantìe dispute nominali, ora l’UE punta il dito sulla disastrosa situazione politica macedone. Nelle parole del commissario europeo per l’Allargamento Johannes Hahn, prima di poter negoziare un qualsiasi accordo con la Grecia (per portare sul tavolo una reale candidatura della Macedonia), Gruevski e il governo devono risolvere la situazione interna. Dal canto suo il governo si è dimostrato disponibile a un eventuale inserimento della comunità internazionale per la soluzione della crisi politica, dal momento che è sempre più evidente come ogni tentativo di dialogo all’interno resti lettera morta. L’Unione Europea ovviamente, per aiutare un dialogo democratico fra le due forze politiche, dovrà e potrà intervenire in maniera invasiva, indagando inoltre sullo scandalo delle intercettazioni.

Chi è Gianluca Samà

Romano, classe 1988, approda a East Journal nel novembre del 2014. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi Roma Tre con una tesi sulle guerre jugoslave. Appassionato di musica, calcio e Balcani.

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