Avendo avuto il piacere (e il privilegio) di viaggiare l’Iran in lungo e in largo negli ultimi anni, ho sempre cercato di scovare le comunità armene delle città in cui mi trovavo, con l’aiuto di mappe o chiedendo ai locali. Spesso con successo, e si può dire che non vi sia virtualemente città dell’Iran che non porti traccia, ancora oggi, di questa importante presenza. Un patrimonio vasto e esteso, che va dal Golfo Persico fino ai confini con Azerbaigian e Armenia, e si compone di un gran numero di testimonianze.
Luoghi di culto, naturalmente, come gli splendidi complessi monastici del nord iscritti dall’UNESCO nella lista del patrimonio dell’umanità o le 13 chiese seicentesche di Nuova Giulfa, a Isfahan. Queste certo le più famose, ma ogni comunità – non solo nelle città ma anche in diversi villaggi – ne costruì in passato almeno una e molte sono ancora presenti, anche se non sempre attive. E poi teatri, scuole, dormitori, centri ricreativi e culturali. Visitarli è un’esperienza che ripaga abbondantemente dello sforzo e del tempo perduto. A volte, si deve vincere anche la diffidenza delle comunità locali, ma alla fine la cortesia e l’ospitalità armena (e iraniana) finiscono per avere la meglio.
Si entra così in un’altra dimensione, dove le coordinate della Repubblica Islamica paiono abolite e ci si trova come sospesi in un altro tempo. Come nel Club Arménien di Teheran, l’unico ristorante nel paese dove le signore non siano tenute a rispettare l’uso del velo e si respira ancora l’aria decadente dell’epoca Pahlavi, tenendo magari in mano un bicchiere di vino. O a Rasht, dove una donna armena mi mostra un teatro, situato accanto a una chiesa, di cui ha minuziosamente conservato le vecchie locandine in russo e in persiano.
Le famiglie rimaste sono pochissime, racconta, e fra poco questo patrimonio andrà perso per sempre. Gli armeni si spostano tutti verso la capitale, Teheran, o emigrano all’estero, verso gli Stati Uniti, l’Europa o l’Armenia. Le foto che mi fa vedere nella scuola illustrano bene quello che dice: dopo la rivoluzione islamica e la guerra con l’Iraq, le classi mostrano sempre meno alunni fino a che, pochi anni fa, arriva la decisione di chiudere.
Quest’incontro risale a un paio di anni fa e mi chiedo se, mentre scrivo queste righe, questa comunità esista ancora e quale sia la sorte del piccolo tesoro di foto e documenti raccolto da quella donna. Il caso di Rasht non è purtroppo isolato e in molti casi si tratta purtroppo di comunità estinte o prossime all’estinzione. Sebbene negli ultimi anni – e lo dimostrano i dati positivi degli ultimi rilevamenti demografici – la comunità armena sia di nuovo in leggera crescita, ciò vale soprattutto per Teheran, la megalopoli iraniana in perenne e disordinata espansione. Resistono bene anche Isfahan, dove si trovano circa 10.000 armeni, e in misura minore il nord ovest del paese: Urmia, Tabriz e diverse altre località prossime alle pendici del Caucaso.
Una vicenda, quella degli armeni, che si intreccia con le origini stesse della storia dell’Iran, quando l’Armenia era una provincia, o satrapia, dell’Impero achemenide. La prima menzione dell’Armenia in Iran sarebbe così da rintracciarsi nelle iscrizioni di Bisotun, databili intorno al 520 a.C. La patria stessa degli armeni è in parte iscrivibile all’interno dei confini – assai più angusti di quelli antichi – dell’Iran contemporaneo. Ci riferiamo al nord ovest del paese, dove per secoli – e in buona parte ancora oggi – popolazioni di lingua e cultura persiana, armena, ebraica, curda, assira e turca hanno vissuto fianco a fianco, fecondandosi e legando i loro destini.
Nonostante ciò, è solo con l’epoca safavide che la presenza armena si fa strada in modo massiccio fino nel cuore dell’Iran. La deportazione di armeni dal nord fino alla capitale Isfahan voluta da Shah Abbas all’inizio del XVII secolo apre una nuova fase, assai più rilevante, nella storia degli armeni in Iran. Mercanti e artigiani abilissimi, riusciranno in breve tempo a distinguersi e a eccellere, guadagnando uno status privilegiato fra le minoranze religiose del paese che ancora oggi, a distanza di molti secoli, pare restare immutato.
Ma l’apporto degli armeni alla cultura iraniana non è solo da ascrivere a una storia remota. In epoca più recente, gli armeni hanno avuto ad esempio un ruolo di primo piano nella nascita del cinema nel paese. Fra questi, ricordiamo almeno Hovannes Ohanian, un armeno poliglotta che aveva studiato a Mosca e che fondò la prima scuola di cinema in Iran. Suo anche il primo lungometraggio, un film muto del 1930 intitolato Abi e Rabi. Sempre a un armeno, Alex Sahinian, spetta il merito di aver aperto nel 1916 a Tabriz la prima sala cinematografica nella storia del paese.
Concludiamo questa breve rassegna sugli armeni in Iran con un rivoluzionario: Yeprem Khan. Questi, dopo essersi distinto sul finire dell’ottocento come partigiano nella lotta contro gli ottomani, divenne una delle figure di riferimento della rivoluzione costituzionale del 1905. Eroe nazionale ancor oggi ricordato, divenne capo della polizia di Teheran e poi di tutto l’Iran prima di essere ucciso nei pressi di Kermanshah durante una battaglia contro le truppe lealiste.
Bell’articolo!
Poco tempo fa ho letto di una minoranza di religione musulmana originaria della Meschezia, in Georgia, ora dispersa per l’Asia Centrale.
Mi è sembrata una bella storia, e un bel progetto, ve lo segnalo:
https://medium.com/vantage/a-lost-soviet-tribe-scattered-by-stalin-s-whim-ad169fb83360
http://temobardzimashvili.com/gallery.php?gal=VGhlVW5wcm9taXNlZExhbmQ7VGhlIFVucHJvbWlzZWQgTGFuZA==#