ISRAELE: Netanyahu al Congresso americano cerca alleati contro l'Iran

da GERUSALEMME – Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è riuscito dove solo Winston Churchill è stato capace: salire a Capitol Hill, a Washington DC, e tenere per tre volte un discorso d’innanzi alle camere riunite del Congresso degli Stati Uniti d’America. Una volta lì, davanti ai senatori e deputati americani, Netanyahu ha tuonato contro l’Iran e il suo programma nucleare, invitando i legislatori americani a fare il possibile per prevenire un accordo tra il loro governo e quello di Teheran, “perché garantirebbe all’Iran di mettere le mani sulla bomba atomica e diventare un pericolo per l’esistenza stessa di Israele e per la pace del mondo intero”.

La presenza di Netanyahu al Congresso arriva dopo settimane di polemiche che hanno polarizzato le posizioni politiche dei democratici e dei repubblicani, rendendo sempre meno bipartisan l’approccio a Israele e acuendo le divisioni tra l’amministrazione Obama e il primo ministro israeliano, sino a far toccare il punto più basso delle relazioni tra i governi USA-Israele dalla crisi di Suez del 1956. Invitato dal presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, Netanyahu aveva accettato senza batter ciglio di offrire al Congresso USA il proprio punto di vista sul tema del nucleare iraniano, incurante del protocollo che presuppone la necessità di informare anticipatamente la Casa Bianca o il Dipartimento di Stato e ottenere da questi il consenso alla propria partecipazione. Se il vizio di forma è imputabile a Boehner e al partito repubblicano, il problema politico è tutto sulle spalle di Netanyahu che, in piena campagna elettorale e a due settimane dalle elezioni politiche in Israele, ha insistito a voler tenere il suo discorso nonostante la forte contrarietà del presidente Obama.

Così facendo Netanyahu è sembrato rivolgersi al partito repubblicano più che agli Stati Uniti, intenzionato a voler imporre all’alleato statunitense la propria agenda sul delicato tema del nucleare iraniano e a voler sfruttare l’alto scranno del Congresso per fini mediatici ed elettorali, cercando di dare una spinta al proprio partito politico, il Likud, che, secondo i sondaggi degli ultimi giorni, avrebbe 2-3 seggi in meno rispetto alla controparte dell’opposizione.

Gli effetti del discorso di Netanyahu a Capitol Hill si fanno già sentire sul lato internazionale, dove la vicenda ha finalmente palesato l’antipatia tra i due leader, portando il presidente Obama a far il possibile per evitare di trasformare il Congresso in una grancassa elettorale per il Likud – considerato come la colonna portante di governi israeliani spesso imbarazzanti per l’amministrazione americana. Obama ha, infatti, evitato d’incontrare Netanyahu, dando indicazione al vice-presidente Joe Biden e al Segretario di Stato John Kerry di fare altrettanto. Un altro provvedimento in questa direzione sarebbe la voce, oramai rilanciata anche dai media israeliani, secondo cui l’amministrazione Obama vorrebbe sospendere la collaborazione tra l’intelligence israeliana e americana sulla questione del nucleare iraniano.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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