Il 24 dicembre 2013 è stata adottata la legge tunisina regolante la giustizia di transizione, che dispone la creazione di un complesso apparato di strumenti giudiziari ed extragiudiziari per investigare le gravi violazioni dei diritti umani commesse dal 1° Luglio 1955 fino alla data di adozione della legge stessa. Verità e dignità sono le parole chiave della transizione: l’art.1 stabilisce come obiettivo l’accertamento della responsabilità ed il risarcimento delle vittime al fine di documentare la memoria collettiva e realizzare la riconciliazione nazionale attraverso un nuovo assetto istituzionale democratico garante dei diritti umani. Per farlo, la Commissione ha a disposizione un brevissimo arco di tempo ed alcuni ostacoli sembrano già rallentare i lavori; le critiche emergono anche nei confronti delle sezioni specializzate che dovrebbero essere istituite all’interno dei tribunali penali nazionali per giudicare i responsabili dei crimini.
La Commissione per la Verità e la Dignità
La Commissione per la Verità e la Dignità (Instance Vérité & Dignité) è un organo indipendente composto da 15 membri scelti dall’organo legislativo alla luce della loro neutralità, integrità e indipendenza. Comprende 2 rappresentanti del gruppo delle vittime e 2 rappresentanti delle organizzazioni dei diritti umani. Gli altri commissari vengono scelti tra i candidati competenti sulla giustizia di transizione ed esperti in materie quali diritto, scienze sociali, studi umanistici, medicina, comunicazione, archivistica, tra i quali un giudice civile ed uno amministrativo, un avvocato, un esperto di scienze religiose ed uno di economia.
I poteri della Commissione sono significativi: prevedono l’accesso agli Archivi di Stato; la facoltà di chiamare le persone a testimoniare, organizzando udienze a porte chiuse o pubbliche; compiere ispezioni in luoghi pubblici e privati; adottare le misure necessarie per proteggere le vittime e i testimoni. Non avendo competenza giurisdizionale, può deferire i casi di violazioni dei diritti umani alla magistratura, comprese le sezioni specializzate, per un eventuale procedimento penale. Chi si rifiuta di rispondere ad una convocazione o ostacola i lavori può essere punito con una pena che può arrivare fino a sei mesi di carcere. La cerimonia di apertura dei lavori si è tenuta il 10 dicembre 2014.
Le sezioni penali specializzate e le critiche di Human Rights Watch
La legge prevede la creazione di sezioni specializzate all’interno dei tribunali penali nazionali formate da giudici scelti tra coloro che non hanno mai preso parte a processi politici e con una formazione specifica sulla giustizia di transizione. Saranno chiamati ad esaminare i casi concernenti le gravi violazioni dei diritti umani ai sensi dei trattati internazionali ratificati dalla Tunisia e della legge di transizione. Viene fornito un elenco non esaustivo di crimini tra i quali omicidio, stupro o qualsiasi altra forma di violenza sessuale, tortura, sparizione forzata. Inoltre è prevista la giurisdizione in materia di brogli elettorali, esilio politico, corruzione finanziaria e uso improprio di fondi pubblici.
In merito a tale previsione Human Rights Watch il 22 maggio 2014 aveva pubblicato un rapporto in cui evidenziava alcune criticità e sottolineava la necessità che il decreto attuativo specificasse con precisione se tali sezioni specializzate avrebbero operato secondo il codice di procedura penale tunisino. Risulta fondamentale capire quale impatto avrà la loro creazione in relazione alla giurisdizione delle corti penali nazionali ordinarie e dei Tribunali Militari sui casi riguardanti le violazioni dei diritti umani commessi durante il passato regime. Inoltre i reati di brogli elettorali ed esilio politico non sono crimini previsti né dal codice penale tunisino né dal diritto internazionale e se le sezioni specializzate giudicassero nel merito violerebbero il principio di irretroattività della legge penale secondo cui nessuno può essere punito per un fatto che non era previsto dalla legge come reato all’epoca in cui fu commesso.
Le sezioni specializzate non sono ancora state istituite e al momento le preoccupazioni riguardano piuttosto il tempo a disposizione della Commissione per terminare i lavori: 4 anni prorogabili di uno, per esaminare tutti i crimini commessi nell’arco di 58 anni. Se pensiamo che soltantotra il 15 dicembre 2014 e il 4 febbraio 2015 sono state depositate più di 5000 denunce, immaginare quanti altri casi potranno essere aperti nei prossimi 4 anni rende l’idea del lavoro immane che attende la Commissione. La legge ha inoltre previsto la costituzione di un Fondo per la dignità e la riabilitazione delle vittime della tirannia per il risarcimento in forma individuale e collettiva delle vittime: le violazioni commesse contro le donne ed i bambini sono al centro delle questioni affrontate.
Preoccupazioni per un rallentamento del processo di transizione dopo l’elezione di Essebsi
Eric Reidy, per Al Jazeera, mette in evidenza le preoccupazioni di coloro che temono un rallentamento del processo di transizione a seguito dell’elezione come Presidente della Repubblica di Beji Caid Essebsi, il 31 dicembre 2014, che in uno degli ultimi discorsi, prima del ballottaggio, rivolgendosi ai suoi sostenitori aveva espresso il desiderio di guardare al futuro con rinnovata speranza ma senza parlare del passato. Parole che si pongono in netto contrasto con l’idea stessa di una giustizia di transizione il cui obiettivo è proprio quello di fare i conti con il passato.
I dubbi relativi alla creazione delle sezioni specializzate non sembrano infondati e, dato che non sono state ancora istituite, la loro credibilità dipenderà dalle concrete modalità con cui verranno selezionati i giudici. La loro nomina compete, secondo quanto previsto dalla Costituzione, al Consiglio superiore della Magistratura, con l’approvazione definitiva del presidente. Il decreto attuativo dovrà garantire il rispetto dei requisiti di indipendenza e imparzialità dal potere esecutivo e legislativo. Ogni fase del processo giudiziario dovrà essere attentamente disciplinata per tutelare il diritto degli imputati ad un equo processo, così come previsto dall’art.14 dalla Convenzione Internazionale per i Diritti Civili e Politici che la Tunisia ha ratificato nel 1969.
Alcune vittime ed associazioni che le rappresentano hanno già espresso il loro timore in relazione alla circostanza che Essebsi fosse legato al vecchio regime politico e per questo possa avere interessi contrastanti l’opera di accertamento della responsabilità dei crimini commessi. Ricordiamo che egli aveva ricoperto importanti incarichi pubblici (Ministro dell’Interno, Difesa ed Esteri) sotto la presidenza di Habib Bourgiba (presidente dal 1957 al 1987), ed era stato presidente del Parlamento dal 1990 al 1991 sotto la presidenza di Zine El Abdine Ben Ali.
Ostacoli ai lavori della Commissione
Il rischio è che si possano utilizzare alcuni espedienti per rallentare e indebolire il lavoro della Commissione, per esempio riducendo i fondi o impedendole l’accesso agli Archivi di Stato. A confermare questi timori ci sono le parole di Sihem Bensedrine, presidentessa della Commissione, che il 26 dicembre 2014 ha comunicato in conferenza stampa che i rappresentanti del sindacato della sicurezza presidenziale hanno impedito l’accesso agli Archivi di Stato ad una delegazione della Commissione. La presidentessa ha sottolineato che era stato raggiunto un accordo con il Presidente della Repubblica, che la delegazione aveva i permessi necessari e che sarebbe stata sporta denuncia. In merito a questa vicenda il 16 gennaio 2015 è stata aperta un’inchiesta contro gli agenti del sindacato per aver ostacolato i lavori della delegazione e, secondo l’art.66 della legge, la pena prevista va da un’ammenda di 2000 dinari a 6 mesi di reclusione.
La fragilità della Commissione è evidente, questo episodio lo dimostra, l’intero processo dipende dalla volontà politica delle istituzioni di collaborare e supportare i lavori, il boicottaggio può avvenire in modo subdolo e ammantato di legittimità, giustificato dalle lungaggini delle procedure burocratiche. Ma non si tratta soltanto di accertare la verità dei fatti riguardo ai crimini commessi e punire i responsabili, è in gioco la fiducia della popolazione nei confronti dello Stato. Fiducia che una grande parte della popolazione, le vittime del passato regime, non avrà mai se non vedrà manifestarsi un concreto segno di discontinuità politica tra le vecchie e le nuove istituzioni.