REP. CECA: Praga invoca sanzioni contro la Bielorussia

di Gabriele Merlini

L’abituale e pratica coltre di nebbia che parrebbe avvolgere tutto è nuovamente scesa su Minsk, a seguito del picco mediatico risalente a qualche settimana fa (East Journal ha trattato l’argomento qui e qui.) D’altronde si tratta di prassi radicata e c’era da aspettarsi la fuga di cameraman terminati gli scontri post-elettorali. Questo il motivo per il quale riportare notizie inerenti le vicende bielorusse è sia il classico dovere di cronaca quanto un modo per provare a tenere vivo l’interesse -e alto il livello di guardia– nei confronti di realtà così stridenti all’interno del panorama europeo.

L’occasione per tornare a puntare lo sguardo in zona viene fornita stavolta dal ministro degli esteri ceco Karel Schwarzenberg, invitato ad esprimersi al riguardo nel corso di una conferenza sulle priorità delle politiche estere praghesi all’interno della scena comunitaria: posizioni contrarie ad un taglio netto dei rapporti con la Bielorussia ma sanzioni che siano reali ed effettive contro i politici bielorussi, per esempio limitando loro le opportunità di viaggiare all’estero.

Piuttosto, sia dimostrazione di questa via ceca alla stabilizzazione un costante e concreto aiuto alle società civili, ponendo così l’accento sulla centralità che Praga vede in esse come elementi imprescindibili per la stabilizzazione delle libertà (piacevole constatare quanto la lezione del vecchio Havel sulla centralità della società civile torni ciclicamente a galla da queste parti, oltretutto in maniera indipendente dal colore dell’esecutivo).
Per altro proprio nella capitale ceca sono stati invitati rappresentanti dell’opposizione democratica bielorussa la scorsa settimana; a loro Schwarzenberg ha ribadito quanto risulterebbe impossibile per la Repubblica Ceca proseguire nel dialogo con Minsk sapendo in carcere le voci di dissenso a Lukašenko. Una tutela imprescindibile in ogni stato che veda la realtà democratica già compromessa (Bielorussia) o a rischio di derive autoritarie e isolazioniste (Ucraina, tirata in ballo anche per la scelta di Praga di offrire asilo politico all’ex ministro dell’Economia di Kiev Bohdan Bogdan Danylychyn, a seguito delle accuse mosse nei suoi confronti dall’attuale esecutivo spiccatamente filorusso).

Solo alla fine dell’intervento due parole sull’Euro, ossia un tema che nei mesi scorsi aveva mosso le acque tra Boemia e Moravia: al riguardo Schwarzenberg afferma di non prendere in considerazione l’adozione della moneta unica per la Repubblica Ceca come una questione di prestigio, ma come potenziale strumento di crescita, sebbene serva tempo per creare le adeguate condizioni alla transizione nonché trovare una soluzione al problema dei diversi debiti pubblici degli stati membri, alla base di instabilità e capaci di generare danni di non poco conto ai mercati.

Errato sarebbe misurare l’europeismo di una nazione basandosi sulla rapidità di adozione dell’Euro; dopo aver ricevuto la garanzia che esista, l’europeismo ceco serva quindi nel breve come strumento per la stabilizzazione della democrazia in quelle zone nelle quali la transizione è stata più complicata, e ancora la celebrata società aperta risulti scricchiolante e zoppa.

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