SERBIA: Boicottato Liu Xiaobo. Quando la Cina è troppo vicina

A dicembre è stato conferito il Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo. Diciannove paesi avevano deciso di disertare la cerimonia, tra questi, la Serbia: le ragioni addotte dal ministro per gli esteri Vuk Jeremić erano che i rapporti tra Serbia e Cina sono di forte amicizia, e che la Cina è un partner economico fondamentale per la Serbia. Tale valutazione, pertanto, era prioritaria per gli interessi serbi rispetto al valore dei diritti umani. Solo all’ultimo minuto, date le forti spinte dell’Unione Europea, la Serbia ha acconsentito a malincuore a mandare un suo rappresentante a Stoccolma, pur rimarcando la sua vicinanza alla Cina. Insomma, un gesto gravissimo che dimostra come l’UE, per un paese come la Serbia che aspira ad entrarvi, sia vista come una mera unione economica, e non condivisione di certi basilari valori morali. A tal proposito, un commento inviatoci da Vladan Bajtajić, neurochirurgo serbo che vive e lavora a Londra, in merito alla situazione complessiva dei diritti umani nel paese.

di Vladan Bajtajić

Traduzione dal serbo di Filip Stefanović.

Il ministro degli esteri serbo Vuk Jeremić in visita al suo collega cinese Yang Jiechi, settembre 2007.

La Serbia come stato, ma anche i serbi come popolo, hanno decisamente forti difficoltà rispetto alla comprensione dei diritti dell’uomo. In un velenoso miscuglio di nazionalismo e sciovinismo, nel quale l’ortodossia diventa etnofiletismo, aggravato dalle esperienze dell’ultimo quarto di secolo, i serbi, come popolo che non ha mai avuto un codice morale fortemente espresso e nemmeno acquisito, hanno perso in seguito alle politiche d’indottrinamento dell’ultimo quarto del XX secolo ogni riferimento morale, compreso quanto concerne i rapporti coi diritti altrui e del diverso. Un ottimo esempio di tutto ciò è l’atteggiamento verso l’assegnazione del Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo.

La maggioranza dei serbi non ha ovviamente idea né di chi sia Liu Xiaobo, né tantomeno del perché abbia innestato le ire dello stato cinese e del suo partito al governo.

Il serbo medio, che ha comunque anche in questo caso “una propria idea e posizione al riguardo”, non conosce e non ricorda il “grande balzo in avanti” cinese, seguito da milioni di morti per fame, non conosce il terrore civilizzatore della Rivoluzione culturale, non ricorda perfettamente nemmeno cosa sia successo in piazza Tien’anmen, quando i carri armati passavano sopra gli studenti, né legge la stampa straniera, e se arriva comunque a sentire qualcosa, rifiuta indignato le menzogne dell’occidente, e non crede che nella RPC esistano diversi modi per condurre le sentenze a morte: ad esempio, se occorre la cornea per un trapianto, allora si spara al condannato in petto, se invece occorrono il cuore, i polmoni o il fegato, gli si spara in testa. I reni vengono espiantati a condannati in vita (fonte: British Medical Journal), che in seguito muoiono lentamente in coma uremico. La Cina è il paese col maggior numero di condanne a morte all’anno, al mondo.

D’altra parte, il serbo medio sa bene che il comitato del Nobel, che decide della consegna del premio alla pace, è manipolato dagli americani: come sarebbe altrimenti stato possibile che il premio nel 2008 venisse concesso ad un Martti Ahtisaari?

E proprio a questo punto arriviamo a quello strappo nevralgico che divide la Serbia dai diritti umani. La maggioranza dei serbi è convinta che Martti Ahtisaari abbia strappato il Kosovo alla Serbia, e che ciò non abbia nulla a che fare coi diritti umani, ma unicamente con gli interessi strategici globali degli americani, e probabilmente anche dell’UE; o, in altre parole, che relazione ci può essere tra il terrore decennale in Kosovo e i diritti umani?

Ad andare ancora più indietro nella storia, incontreremo le stesse posizioni: Hiroshima e Nagasaki, l’inferno di Dresda ed Amburgo, e su fino ai bombardamenti della Serbia nel 1999, non hanno nessuna correlazione coi diritti umani, ma solo coi dettati dei forti e dei potenti.

Questa visione caricaturale dei diritti umani è stata inaugurata da due istituzioni e tendenze, che dominano con continuità in Serbia: una politica di nazionalismo continuo, frutto marcio dei “salotti” di Belgrado, supportata in continuità dalle politiche di Milosevic, Kostunica, ma anche Tadic, perennemente accompagnati da intellettuali moralmente degeneri dello stampo di Dobrica Ćosić, Matija Bećković, gruppi di storici dell’Accademia serba delle Scienze e delle Arti e compagnia. In secondo luogo, un altro nido di vipere dal quale il veleno si diffonde è rappresentato dall’attuale Chiesa ortodossa serba, assemblea sciovinista, antisemita ed anticivile, il conto delle cui azioni è ancora di là da pagare.

E mi viene in mente Miroslav Krleža, che nell’opera La famiglia Glembay racconta ad un certo punto come l’intera fortuna dei Glembay si fondi sull’oro rubato ad un gioielliere ucciso nei boschi di Križevac, ed in un altro passaggio, parlando del giudice Attila Rugvay, dice: “Arpad Rugvay, padre di Attila, ha fatto fucilare ventisette elettori a Banska Jaruga… La carriera di Arpad è fondata su questo massacro, e Attila, logicamente, reagisce in maniera neurotica, o fors’anche sentimentale, a qualsiasi anche minima allusione all’omicidio come problema morale… Cresciuto in un contesto familiare nel quale la felicità personale, la carriera, praticamente l’intera scalata familiare è basata su un omicidio di massa.”

Mi sembra che le parole di Krleža rendano perfettamente anche la politica serba del ministro per gli esteri Jeremić (ma anche di Tadic), ed in generale la comprensione serba dei diritti umani e la mancanza di solidarietà verso coloro che per tali diritti lottano.

Laddove si tratta di diritti umani, nella Serbia di oggi, semplicemente, non c’è posto.

 

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Per approfondire i rapporti economici tra Serbia e Cina, un articolo del giugno 2010 a firma di Matteo Bartolini: La presenza cinese nei Balcani.

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Chi è Filip Stefanović

Filip Stefanović (1988) è un analista economico italiano, attualmente lavora come consulente all'OCSE di Parigi. Nato a Belgrado si è formato presso l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano e la Berlin School of Economics, specializzandosi in economia internazionale. Ha lavorato al centro di ricerche economiche Nomisma di Bologna e come research analyst presso il centro per gli studi industriali CSIL di Milano. Per East Journal scrive di economia e politica dei Balcani occidentali.

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Un commento

  1. Ancora a mescherarsi sotto l’ipocrisia dei diritti umani, dico io!.. Il fatto è che Lju Xiaobo è uno di quelli che io chiamo “baluardi dell’occidente” in territori ostili, uno di quei personaggi idolatrati e gonfiati dalla stampa delle nostre amate democrazie occidentali, imbevuti di bei principi pressochè ignorati nel loro paese e di illusioni; strenuamente supportato – a secondi fini – dall’occidente, Xiaobò infatti oltre che occuparsi di diritti umani afferma anche che “la Cina avrebbe meritato 200 anni in più di colonialismo” – bel personaggio!
    (altri “baluardi dell’occidente”, per fare esempi, sono la Politkovskaja, praticamente sconosciuta in Russia, e la thailandese, più che birmana, San Su Chi…

    Insomma il premio Nobel non è esattamente un premio internazionale ma questo è già risaputo, casi ecclatanti vi sono già stati.
    In ogni modo riconosco che quello dei diritti umani è un problema gravoso della Cina, cosiccome quello dei diritti civili, sebbene alla maggioranza dei cinesi non gliene freghi più di tanto e questi problemi siano gigantificati dall’occidente.

    Credo, quindi, che il serbo medio non sia proprio ignorante ma solamente meno “democraticamente esaltato” di noi.
    E non è solo il serbo medio a pensarla così, ma anche il russo e in una certa misura l’europeo orientale medio, che anch’egli legge solo giornali del suo paese col problema che molti sono sorti su soldi occidentali.

    Un saluto! (anche al londinese Vladan Bajtajich)

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