SLOVACCHIA: La famiglia tradizionale nella costituzione. Addio diritti LGBT?

LGBTQ è uno di quegli acronimi che all’interno dei confini della Slovacchia spacca l’opinione pubblica in due: da un lato, quella classe politica che tenta di sopravvivere a se stessa facendo perno sulle correnti conservatrici del Paese; dall’altro, una moltitudine importante di persone, LGBTQ o meno, che punta a cambiare l’approccio dello Stato e approva l’unione civile tra persone dello stesso sesso. Tuttavia la lotta si è fatta ardua, per questi ultimi, che al 2012 rappresentano il 47% della popolazione, secondo i dati dell’Inakost (organizzazione per i diritti LGBT in Slovacchia).

Quattro giugno 2014 – è la data in cui con un colpo di coda si mette fine al dibattito sulla famiglia. Il disegno di legge sulla protezione della famiglia naturale viene approvato alla Camera da un voto di 102 favorevoli su 128. Frutto di una insolita convergenza, quella tra la dirigenza socialdemocratica del partito Smer e dai cristiano-democratici KDH, all’opposizione, l’emendamento stabilisce che il matrimonio riconosciuto e consentito è tra un uomo e una donna, escludendo da questo le coppie dello stesso sesso. Segue il dibattito, ma ora che l’affare è diventato costituzionale, un futuro contro-intervento risulterà difficile.

Questa volta però il fulmine non è giunto a ciel sereno. Seppure sempre secondo i dati dell’Inakost l’opinione pubblica ha decisamente cambiato rotta negli ultimi anni, mostrandosi più sensibile ai diritti delle persone LGBTQ, la direzione politica è parallelamente peggiorata.

Il 2014 si apriva infatti con la Lettera pastorale pubblicata dalla Conferenza episcopale della Chiesa cattolica slovacca, in cui la famiglia veniva intesa come un’istituzione divina, formata da un uomo ed una donna, e coloro che minacciano tale disegno definiti “Aktéri kultúry smrti”, attori della cultura della morte. Un messaggio che assume rilevanza in un paese dove i censimenti stimano al 62% la popolazione di fede cattolica. Assume poi maggiore rilevanza se pure si tiene da conto del ruolo della Chiesa slovacca, spesso legata al teatro politico.

Con una dichiarazione del genere, veniva così colpita una comunità già messa in ombra dalla politica. Tendenze che vanno oggi a rendere più tortuoso il difficile percorso nella difesa dei diritti della minoranza. Percorso che aveva ottenuto comunque dei risultati, in Slovacchia: nel 2008 veniva resa illegale la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale. Nel 2013 una modifica del codice penale portava a includere l’orientamento sessuale tra i possibili motivi di crimini di odio.

La situazione sembrava procedere in coerenza con le direttive UE finché, di colpo, giunse il dietrofront e in giugno a maggioranza schiacciante il Parlamento fece passare l’emendamento sul divieto dell’uguaglianza del matrimonio. Come spiegare questa improvvisa controtendenza?

Banalmente il tutto si colloca nel teatro politico del Paese. La vicenda si è infatti giocata tra i socialisti e i cristiano-democratici. I primi volevano portare avanti la riforma del sistema giudiziario, scontrandosi con la riluttanza dei secondi, che da tempo puntavano a un ddl sulla famiglia. Così, due questioni tra loro apparentemente indipendenti come la riforma del sistema giudiziario del paese e una definizione tradizionalista del matrimonio, finiscono con il legarsi in una contrattazione non preceduta da alcun tipo di dibattito pubblico. Com’è ovvio, la comunità LGBTQ insorge e alla fine di giugno un corteo si riversa nelle strade di Bratislava.

Con la legge che entrerà in vigore il 1° settembre, la Slovacchia diventa così il settimo Paese all’interno della UE a sancire un divieto costituzionale sulle unioni omosessuali [meno di un anno fa era il turno della Croazia, ndr]. La politica contrastante del partito socialdemocratico tuttora al potere, non preoccupa comunque il primo ministro Robert Fico che il giorno dell’approvazione del ddl parlò di “evento storico”.

Chi è Alessandro Benegiamo

Nato a Lecce nel 1989, ha collaborato a East Journal dall'agosto 2014 all'aprile 2015, occupandosi di Repubblica Ceca e Slovacchia

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