Mariusz Cieszewski, Flickr

POLONIA: Il tormentato rapporto tra polacchi ed ebrei

Il 27 Giugno si è aperta la 24esima edizione del Festival di Cultura Ebraica a Cracovia, una delle più importanti manifestazioni culturali ebraiche al mondo – e sicuramente la più importante in Polonia – che conta più di 200 eventi concentrati in 10 giorni. Concerti, workshop, dibattiti e tour guidano visitatori e partecipanti alla scoperta della vita ebraica fiorente in Polonia prima dell’Olocausto. Nella cornice del distretto ebraico di Kazimierz, il Festival non rappresenta solo un occasione di accrescimento culturale ma anche e soprattutto di riflessione storica sul rapporto tra le due comunità prima del genocidio.

La storia degli ebrei in Polonia ha origini antiche: costretti a spostarsi verso Est a causa delle discriminazioni e persecuzioni del Sacro Romano Impero nel XII sec., gli ebrei orientali, detti ashkenaziti, trovarono rifugio soprattutto nel Regno di Polonia che li accolse di buon grado incoraggiandone persino la migrazione.

Assente dalla cartina europea per più di cento anni a seguito delle tre spartizioni (1772, 1793, 1795) operate dall’Austria, dalla Prussia e dalla Russia, la Polonia torna ad essere indipendente alla fine del primo dopoguerra con il nome di Seconda Repubblica Polacca (Rzeczpospolita), uno stato multinazionale che comprendeva vaste minoranze tra cui gli ucraini, i bielorussi, i lituani, i tedeschi e ovviamente gli ebrei. Quest’ultima minoranza, per motivazioni storiche, religiose ed economiche, era la più complessa da gestire e ricordava, assieme a tutte le altre, che la Polonia non era omogenea come la politica accentratrice dello stato si immaginava o per lo meno tentava di essere.

Da Paradisus Iudeorum qual’era al tempo del Commonwealth, la Polonia del dopoguerra offriva poche speranze per il rifiorire culturale dell’ebraismo. Il fallimento delle politiche assimilazioniste, da cui derivò l’accusa di corruzione all’identità e allo spirito nazionale polacco, la questione religiosa all’origine della giudeofobia e le motivazioni razziali ed economiche alla base del moderno antisemitismo politico, gettarono un ombra sinistra sulle relazioni tra i due gruppi. A partire dagli anni ’30, la linea di governo si fece più aggressiva arrivando ad auspicare ad una soluzione della questione ebraica tramite l’allontanamento fisico dallo Stato. La strategia della migrazione forzata, tuttavia, non era di facile attuazione nemmeno da un punto di vista economico e, purtroppo, fu l’occupazione nazista a porre fine a tutti i dibattiti sul tema.

E’ proprio il comportamento di alcuni polacchi durante il secondo conflitto che suscita ancora oggi accese diatribe, in quanto sfida il mito di una Polonia sempre ospitale e tollerante verso le proprie minoranze. Un passato scomodo il cui riesame comporta l’intersezione di due storie: quella eroica e vera della resistenza polacca e l’altrettanto vera storia di un atteggiamento spesso conciliante con il massacro degli ebrei.

A seguito della pubblicazione, nel maggio del 2000, di Neighbors ad opera di Jan Gross, professore all’Università di Princeton, i vecchi fantasmi hanno bussato alle porte innescando un dibattito storiografico nazionale così tanto acceso che l’Istituto per la Memoria Nazionale di Varsavia (IMN) ha avviato un indagine per appurare la tesi di Gross: la distruzione della comunità ebraica di Jedwabne a opera dei polacchi. Confermata la sua posizione, ovvero che i polacchi non furono solo vittime ma anche esecutori di omicidi di massa (benché l’IMN non concordi sulla proporzione del coinvolgimento), l’eredità dell’appassionata discussione è di straordinaria importanza.

Al di là dei diversi pareri, è indubbio il suo contributo per arricchire la semplificata immagine, così forte nell’immaginario collettivo, dei polacchi come eroi e vittime della storia del proprio paese, per superare le posizioni tese all’autoassoluzione e alla giustificazione di comportamenti accondiscendenti come se le responsabilità risiedessero solo nella follia nazista che scelse la Polonia, casa della più grande comunità ebraica d’Europa, come area principale per compiere il pianificato genocidio.

Ne segue, quindi, il riconoscimento della complessità delle relazioni ebraico-polacche, fatte sì di astio ma anche di un forte spirito di solidarietà. Perché se è vero che migliaia di polacchi denunciarono e uccisero gli ebrei, tanti altri misero a rischio la loro vita per difenderli, e sono questi uomini e queste donne ad essere riconosciuti come “giusti tra le nazioni” dallo Yad Vashem, il Museo dell’ Olocausto di Gerusalemme.

Chi è Paola Di Marzo

Nata nel 1989 in Sicilia, ha conseguito la Laurea Magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso la Facoltà "R. Ruffilli" di Forlì. Si è appassionata alla Polonia dopo un soggiorno di studio a Varsavia ma guarda con interesse all'intera area del Visegrád. Per East Journal scrive di argomenti polacchi.

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