UCRAINA ELEZIONI /3: Yulia Timoshenko, il ritorno dei morti viventi

Una candidatura sconveniente

Chi è Yulia Timoshenko è cosa nota ai più, tuttavia vale la pena ricordarne i trascorsi vista la sua decisione di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali del 25 maggio. Una candidatura, lo diciamo subito, a dir poco sconveniente. Anzitutto perché è un personaggio divisivo: comunque la si voglia guardare la sua storia politica, compresa l’incarcerazione, la rende un personaggio “drammatico”, inadatto a rappresentare tutto il paese, e mai come oggi l’Ucraina ha bisogno di un presidente in grado di parlare agli ucraini di Kharkiv come a quelli di Leopoli.

In secondo luogo il suo passato torbido, la sua sete di potere, le sue dichiarazioni apertamente antirusse, potrebbero inasprire i rapporti con Mosca ma, soprattutto, potrebbero allontanare ancora di più da Kiev i cittadini ucraini residenti nelle regioni orientali. Yulia Timosheno rappresenta il passato: un passato fatto di grandi eventi, come la Rivoluzione Arancione, e troppi affari loschi; un passato di lotte fra gruppi oligarchici (cui la Timoshenko appartiene) e guerre del gas. Un passato che Yulia Timoshenko non intende far passare.

Certo, non facciamo le  anime candide. Queste elezioni, chiunque ne sia il vincitore, non sanciranno una rottura con il precedente modo di fare politica. Non ci sarà nessuna reale svolta democratica, il potere continuerà a essere nelle mani di pochi con il benestare di questa o quella potenza straniera. Potenze che non puntano più sulla Timoshenko. La sua sconfitta è data per certa, al più potrà accedere al ballottaggio, ma la sua stessa candidatura rappresenta un problema per chiunque abbia a cuore per il paese una transizione indolore verso un (semi)nuovo regime.

Infine la sua vicenda personale ne mostra le capacità trasformistiche e, al di là delle retoriche utilizzate nei confronti di Mosca, fa vedere come i suoi rapporti con la Russia di Putin siano stati quasi sempre buoni. Anche per questo è vista oggi dai nazionalisti come “una quinta colonna” del Cremlino.

I primi anni: la “zarina del gas” russo

La storia di Yulia Timoshenko parla per lei, e non è facile da riassumere. Nei primi anni Novanta, durante il periodo delle privatizzazioni, caratterizzate da un alto livello di corruzione, divenne una delle donne più ricche del paese esportando metalli. Dal 1995 al 1997 presiedette la Compagnia Generale dell’Energia, un’azienda privata che prese ad importare gas dalla Russia. Durante questo periodo, fu soprannominata la “principessa del gas” per le accuse di aver stoccato enormi quantità di metano, facendo aumentare le tasse sulla risorsa.

Yulia Timoshenko approfittò del suo potere economico per tessere rapporti d’affari e relazioni personali con i politici più in vista degli anni Novanta compreso lo stesso Presidente Leonid Kuchma. Non mancò di avere stretti contatti con la russa Gazprom, l’agenzia russa del gas metano, con cui invece inizierà una “guerra” nel decennio successivo quando si affermerà definitivamente come personaggio politico.

Il primo arresto e la Rivoluzione Arancione

Nel 2001 la Timoshenko fu arrestata per falsificazione di documenti e importazione illegale di metano, tra il 1995 e il 1997 (mentre era presidente della Compagnia Generale di Energia) ma fu liberata la settimana successiva. Da ministro dell’energia di Kuchma, l’autoritario e corrotto padrone dell’Ucraina post-sovietica, ne divenne rivale e condusse campagne contro il suo regime. Timoshenko mostrò per la prima volta il suo piglio rivoluzionario, durante e dopo la detenzione. Un anno dopo, fu coinvolta in un incidente stradale, in cui riportò lievi ferite. C’è il sospetto che sia stato un tentativo di omicidio politico.

A dispetto del passato discutibile, il suo passaggio da oligarca a riformista è creduto da molti come sincero ed effettivo.  L’avvento della Rivoluzione Arancione nel 2004 seppellì tutto il torbido e i media occidentali la salutarono come una vergine democratica. Ma vergine non era.

La rottura del fronte arancione. “Filorussismo di ritorno”?

Le elezioni del 2010 videro i due leader della Rivoluzione Arancione l’uno contro l’altro: la spaccatura fra Yushenko e Timoshenko fu anche dovuta alla differenza di vedute nei rapporti con la Russia: nel 2008 era infatti andata in scena la guerra russo-georgiana e la Timoshenko non si era voluta unire all’allora presidente Yushenko nella condanna all’azione del Cremlino. Quel “filo-russismo di ritorno”, come venne chiamato dallo stesso Yushenko, fu dovuto a molte ragioni: anzitutto al desiderio di acquisire voti anche nelle regioni orientali, che votavano per i candidati filorussi; in secondo luogo c’era forse la volontà di non farsi nemica la Russia con la quale la “zarina del gas” intratteneva personali rapporti economici. La spaccatura del fronte arancione consegnò però il paese a Viktor Yanukovich.

La seconda incarcerazione e la rivolta di Maidan

Nel 2011 Yulia Timoshenko venne processata e condannata per abuso di potere, precisamente la sua colpa era quella di aver firmato un accordo decennale con Putin nel gennaio 2009 dopo una lunga disputa sul prezzo della fornitura che avrebbe infine nociuto alle finanze ucraine. “Nel gennaio 2009 – disse il giudice Rodion Kireyev- Yulia Timoshenko, esercitando il ruolo di primo ministro, ha abusato dei suoi poteri per fini criminali e, agendo deliberatamente, ha portato ad azioni con gravi conseguenze”. A onor del vero, le colpe della Timoshenko erano note da tempo e la sua condanna fu essenzialmente un atto politico, un modo “legale” per disfarsi dello scomodo leader dell’opposizione da parte del regime di Yanukovich.

La rivolta di piazza Indipendenza le ha restituito inaspettatamente la libertà ma la “pasionaria” arancione sembra aver perso tutto il carisma con cui seppe imporsi sulla scena politica ucraina. Non solo: anche l’appoggio politico da parte di Washington – che caratterizzò i fatti della Rivoluzione Arancione –  è venuto meno.

Soldi soldi soldi

Yulia Timoshenko per molti ucraini ha rappresentato la possibilità di un cambiamento, la fine di un regime corrotto e il sogno del riscatto nazionale. Oggi però è una donna stanca, invecchiata, che ripete come un disco rotto slogan vecchi di dieci anni. La Rivoluzione Arancione – che resta il più grande evento della storia dell’Ucraina contemporanea – sembra lontana anni luce. I capi d’accusa nei suoi confronti sono stati fatti cadere e ora è una donna libera di godersi un notevole patrimonio nascosto in conti correnti britannici.

La provenienza della ricchezza di Yulia Timoshenko non è mai stata chiara. La corruzione in Ucraina è un “sistema” e non si può certo pensare che una donna che è stata due volte primo ministro, oltre che capo di grandi compagnie private, non ne abbia fatto ricorso per oliare la macchina del consenso che l’ha portata ad essere due volte primo ministro, oltre che la donna più ricca del paese. Questa volta però lo scenario è diverso, la posta in gioco più alta, e il denaro non le basterà a vincere.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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