NEPAL: Viaggio nell'anima di Kathmandu

Il turismo in Nepal è oggi assai diffuso, le attrazioni naturali e storico-culturali del paese asiatico sono incantevoli, nell’atmosfera si respira aria di pace e rilassatezza. Una sensazione dovuta anche al carattere calmo e pacifico dei nepalesi, al loro sguardo mite, accompagnato da un perenne sorriso.

Un po’ meno calmo, pacato e sorridente, il principe ereditario Dipendra, la notte del primo giugno 2001, furente per la decisione dei suoi genitori di non accettare la sposa da lui scelta e amata, sterminò a colpi di pistola dieci membri della famiglia reale, tra cui il padre, sua Maestà il Re Birendra, e la madre, sua Maestà la Regina Aiswarya. Al culmine della sua delirante follia, il principe rivolse l’arma contro di sé, e sparò. Proclamato monarca sul letto di un ospedale, sua Maestà Dipendra visse, in coma, tre giorni da re. Poi spirò.

Lo zio Gyanendra, fratello di sua Maestà Birendra, scampato alla strage grazie a una fortuna tremenda, divenne re.

Il massacro della famiglia reale nepalese fu un episodio clamoroso, scosse profondamente il paese e segnò l’inizio della fine di una secolare famiglia regnante, mettendo in atto un processo che portò, a distanza di sette lunghi anni, segnati da una cruenta guerra civile tra governo e ribelli del partito maoista nepalese, alla definitiva caduta della monarchia.

Le rivolte di piazza dell’aprile 2006 costrinsero il re Gyanendra a rinunciare definitivamente al potere esecutivo. Un gesto che provocò un riavvicinamento tra i membri della guerriglia del partito maoista e il governo nepalese e diede il via al processo di disarmo, all‘uscita del partito dalla clandestinità, all‘ingresso di alcuni maoisti in parlamento e nel governo e alla possibilità di presentarsi alle elezioni per l’Assemblea Costituente.

Tenutesi nell’aprile 2008, le elezioni videro la vittoria a sorpresa dello stesso Partito Comunista Maoista. Nel maggio 2008, il parlamento approvò lo storico passaggio del Nepal da monarchia ereditaria a repubblica federale.

Oggi il Nepal vive finalmente un periodo di pace.

Milioni di appassionati di montagna vi giungono da ogni angolo del pianeta, attratti dalle scalate alle suggestive vette dell’Himalaya e dai meravigliosi sentieri di trekking che il paese offre.

Il piccolo stato himalayano è, ai giorni nostri, uno dei luoghi al mondo più sicuri da visitare, a patto di non voler scalare l’Everest con l’esperienza da scalatore di un pescatore sardo e la forma fisica di Giuliano Ferrara, pensando di esser Reinhold Messner: Il business delle “scalate di massa”, intraprese da persone con scarse doti ed eccessiva autostima che si lanciano alla “conquista dei prestigiosi ottomila”, è purtroppo un fenomeno sempre più diffuso, con conseguenze catastrofiche per l’ambiente e per la perdita di vite umane.

Il Nepal non è solo “il tetto del mondo” ma anche “il paese degli dei” per l’elevata spiritualità che si respira nell’aria e si manifesta in ogni momento della giornata.

Il paese è un affascinante punto di incontro tra due grandi religioni, l’induismo e il buddhismo e fra due grandi civiltà, la cinese e l’indiana. E’ un luogo magico, in cui storia, civiltà e miti si intrecciano inesorabilmente.

La religione principale del paese è l’induismo. Fino al 2006, quando una risoluzione parlamentare proclamò la laicità dello stato, il Nepal fu l’unico stato al mondo ad adottarlo come religione ufficiale. Ancora oggi l’ex sovrano è considerato da alcuni tradizionalisti una manifestazione del dio Vishnu.

Ma proprio in questo paese, a Lumbini, a pochi chilometri dalla frontiera con l’India, nel 566 a. C, nacque una delle più importanti figure spirituali e religiose dell’Asia: Siddhartha Gautama, meglio conosciuto come Buddha, fondatore del buddhismo.

Le due religioni convivono in armonia, grazie alla tolleranza dei nepalesi, dando vita a una originale commistione tra induismo e buddhismo e ad un’ atmosfera pregna di spiritualità che pervade e caratterizza il paese.

Arrivai in Nepal nel settembre 2010, varcando la frontiera, via terra, dall’India.

Fu il silenzio la prima cosa a colpirmi. Un’ ormai quasi dimenticata sensazione di pace e relax pervase la mia mente: riconquistai con somma gioia, al varcar della frontiera, un “mio spazio personale”. I giorni in India erano stati entusiasmanti e stimolanti, ma dopo due intensi mesi trascorsi a contatto con gli indiani del nord, le cui doti principali non sono né la discrezione né la timidezza, godetti immensamente del fatto di poter finalmente frapporre più di dieci centimetri tra i miei occhi e quelli, perennemente inchiodati sul sottoscritto, di una folla di curiosi di turno.

Ritrovai in Nepal gli stessi sgargianti colori dell’India e molti degli elementi culturali che tanto mi avevano incuriosito e affascinato nella terra di Gandhi. Il tutto in un’atmosfera rilassata, contornato da persone accoglienti con un carattere mite e dolce, decisamente meno esuberante di quello dei mie amati/odiati indiani.

Il feeling con questa terra scattò immediato.

Appena al di là del confine, mi fermai a Lumbini, luogo di nascita del Buddha e, nei tradizionali villaggi della zona, riconobbi evidenti le forti influenze indiane negli usi e costumi della popolazione; visitai l’incantevole villaggio newari di Bandipur, un luogo incantato, scampato al turismo di massa, dove il tempo sembra essersi fermato. Mi rilassai sulle sponde del lago Phewa nella più turistica Pokhara, città base per i trekking sull’Annapurna; visitai l’incantevole parco nazionale di Chitwan, celebre per i suoi rinoceronti e le sue tigri.

Trascorsi un paio di settimane di pace assoluta, immerso nel silenzio, nella natura, a contatto con gli abitanti di piccoli villaggi sperduti, raggiunti a piedi o in bicicletta.

Poi, per una sana e piacevole alternanza, fondamentale per un’anima curiosa come la mia, godetti nel ributtarmi nel caos, nei colori e nella vita pulsante della capitale Kathmandu, incastonata in una splendida valle che vanta gioielli architettonici come le città di Patan e Bhaktapur, antiche capitali di regni, dichiarate dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Kathmandu mi conquistò fin dal primo momento, come sempre avviene nelle città che amo.

Lo straordinario fascino del tempio indù di Pashupatinath, una sorta di piccola Benares nepalese sulle rive del sacro fiume Bagmati; in questo sacro luogo, il 2 giugno del 2001, all’indomani del colpo di testa del principe Dipendra, vennero eseguite le cerimonie di cremazione dei corpi dei reali. Qui, ogni giorno, migliaia di pellegrini compiono i loro evocativi riti religiosi.

Il tempio buddista di Swayambhunath, meglio conosciuto come “il tempio delle scimmie” per i numerosi primati che vi abitano, situato sulla sommità di una collina con vista mozzafiato sulla città e la sua valle.

La pace e l’energia di Bodhnat, uno dei più grandi stupa al mondo e il complesso buddista più sacro per i buddisti al di fuori del Tibet, in cui vivono numerosi monaci e molti tibetani fuggiti dal loro paese d’origine a causa dell’invasione cinese del 1959.

La famosa Durbar square, l’epicentro della città, con i meravigliosi templi e gli splendidi palazzi storici, tra cui quello della Kumari, la dea vivente incarnazione della dea indù Durga, scelta però tra le bambine delle caste buddiste ed equamente venerata da buddisti e induisti.

Trascorsi, soprattutto, intere giornate camminando senza una precisa meta nelle strade polverose dei quartieri periferici della città, tra case fatiscenti, mercati brulicanti di vita e di colori, tra uomini e donne intenti nelle loro faccende quotidiane, osservando i loro gesti semplici, i visi saggi degli anziani scavati da rughe espressive e bambini vivaci correre dietro ai loro colorati aquiloni.

Con le mani giunte poste davanti alla mia fronte, in segno di ringraziamento come da tradizione nepalese, ti dico grazie per le giornate, i momenti e le emozioni che mi hai regalato…

Namastè, Kathmandù! qui il reportage fotografico

Chi è Luca Vasconi

Nato a Torino il 24 marzo 1973, fotografo freelance dal 2012. Laureato in Scienze Politiche all’Università di Torino, dopo alcuni anni di vita d’ufficio piuttosto deprimenti decide di mettersi in gioco e abbandonare lavoro. Negli anni successivi viaggerà per il mondo alla ricerca dell'umanità variopinta che lo compone.

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