Capussela: l'UE deve cambiare il suo approccio alle élite dei Balcani

Come vanno i Balcani? Non così bene, secondo Andrea Lorenzo Capussela, già capo dell’unità economica dell’ICO (International Civilian Office) in Kosovo, che ne ha discusso con Tim Judah sabato 16 novembre a Bergamo nell’ambito della conferenza Diventare Europa organizzata da Osservatorio Balcani e Caucaso.

Per Capussela, geograficamente “oggi i Balcani sono un’enclave dell’Unione europea, ma molti aspetti problematici persistono”. Esistono forti ragioni economiche, strategiche e storico-politiche per entrambe le parti (UE e Balcani) per perseguire la prospettiva dell’allargamento, ma “va evitata una visione eccessivamente ottimistica e aspettative troppo alte”.

Questa non è Europa centrale. Le diverse condizioni politiche dell’allargamento. 

La prima ondata d’allargamento dell’UE a est (2004/07), secondo Capussela, era stata preparata sin dai primi anni ’90 in un clima di euforia ed ottimismo, secondo lo slogan Europe whole and free. Dietro l’unanime sostegno dei governi e delle opinioni pubbliche, l’allargamento all’Europa centro-orientale era divenuto una delle priorità dell’UE, allora forte e prospera. Dall’altra parte, per i cittadini dei paesi dell’allargamento, l’UE era vista come una sorta di paradiso terrestre, l’approdo sicuro e finale della transizione alla democrazia e al mercato, un obiettivo plausibile e desiderabile. L’adesione all’Ue era vista come garanzia di prosperità, sicurezza e svincolamento permanente dalla storica influenza russa sulla regione. Tali ragioni costituivano una forte spinta su élite e governi  a procedere verso l’integrazione. Le élite politiche locali si trovavano quindi prese tra un’attrazione dall’alto, da Bruxelles (pull) e una spunta dal basso, dalla società (push), prima ancora di aver consolidato le proprie posizioni di rendita interne nell’economia di mercato post-transizione. Furono tali fattori, secondo Capussela, a garantire il successo dell’allargamento a est nel 2004.

Oggi i paesi candidati membri UE offrono una panoramica diversa. In primo luogo, Tirana e Skopje non suscitano nell’opinione pubblica occidentale altrettante simpatie che Praga e Budapest. Inoltre, in tempo di crisi gli elettorati sono meno persuadibili, e i governi degli stati membri UE non pensano certo a spendere capitale politico su queste questioni. L’UE attraversa la crisi peggiore della sua storia, con il rischio di non riuscire a salvarsi dagli squilibri dell’unione monetaria, che rimane vulnerabile in assenza di una unione politica. I governi e gli elettorati dei paesi candidati dei Balcani lo sanno bene, così come sanno bene che gli stati membri non sono così desiderosi di assorbirli: l’UE oggi non è vista come un paradiso terrestre o un baluardo contro l’autoritarismo. Infine, secondo Capussela, è lecito chiedersi cosa sarà diventata l’Europa unita tra 10 anni, e nel caso in cui si sarà trasformata in un’Europa a più velocità, domandarsi quanto sia desiderabile per i paesi candidati la membership del cerchio più esterno. 

Cambiare gli incentivi per le élite locali, unica strategia per l’UE

Rispetto ai paesi dell’Europa centro-orientale, l’approccio delle élite dei Balcani all’allargamento UE è diverso. Messe di fronte ad un lungo e doloroso processo di riforme, queste élite hanno incentivi molto meno forti e propri interessi contrastanti, derivanti da pratiche di clientelismo, corruzione e abuso dei poteri pubblici. Se l’attrazione dell’UE è meno forte, lo è altrettanto la spinta dal basso, con una crescita dell’euroscetticismo nei paesi candidati stessi. Il loro obiettivo diventa così quello di far proseguire il processo di allargamento, rispondere politicamente alle sollecitazioni di Bruxelles ma anche ritardare, falsare o sviare le riforme. 

Per rilanciare il processo di allargamento dunque, secondo Capussela, è necessario modificare gli incentivi delle élite locali, più che risolvere la crisi economica dell’UE. Come? Primo, l’UE dovrebbe evitare di premiare la stabilità politica in sé e di favorire il consolidamento al potere delle stesse élite. Secondo, dovrebbe sostenere gli sforzi che vengono dall’interno, per battere politicamente gli interessi privati delle élite. “Oggi nei Balcani non si protesta abbastanza, viste le condizioni sociopolitiche simili” rispetto al resto d’Europa. Spazio quindi alla cooperazione transnazionale, per Capussela, con la possibilità che nasca una società civile europea.

Foto: Samopravo.net

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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