Serbi del Kosovo, una questione ormai più politica che nazionale

Si sono concluse ieri sera le elezioni per il rinnovo dei sindaci e dei consigli comunali in tutta la regione del Kosovo. Dalla firma dell’accordo di Bruxelles di aprile tra i primi ministri kosovaro e serbo, Thaçi e Dačić, quella di ieri rappresentava una giornata di svolta, sia per gli albanesi che per i serbi della regione. In virtù infatti dell’accordo di Bruxelles, ai comuni a maggioranza serba a nord del fiume Ibar era lasciata la possibilità di creare una Zajednica Srpskih Opština (Comunità di comuni serbi), alla quale si sarebbero potute aggregare tutte le altre municipalità serbe a sud dell’Ibar. Quello che invece è successo nel nord della provincia è un boicottaggio riuscito attraverso atti di violenza, e attraverso un alto tasso di astenuti.

La municipalità per eccellenza sotto osservazione era Kosovska Mitrovica, ed in particolare i seggi nel nord della città. Come noto, il fiume Ibar divide “etnicamente” la città, concentrando la popolazione serba a nord del fiume e quella albanese a sud. Il voto dei serbi di Mitrovica era particolarmente importante, per diverse ragioni: innanzitutto perché rappresenta il comune più grande della provincia; poi, perché avrebbe espresso o meno la volontà politica di seguire le indicazioni di Belgrado; e infine, perché l’affluenza alle urne in questa città avrebbe manifestato o meno l’intenzione di riconoscimento de facto dell’indipendenza del sistema politico kosovaro (a prescindere dalla sua sovranità).

La giornata di elezioni si è conclusa senza troppe sorprese: astensione e incidenti a nord; affluenza e vittoria del partito filogovernativo a sud.

La percentuale totale di affluenza alle urne può essere considerata come un parametro per il riconoscimento dell’indipendenza di un determinato sistema politico, da non confondere con la sua sovranità. Nel caso del nord del Kosovo è chiaro che la maggioranza della popolazione serba ha deciso di non partecipare alle elezioni che determinerebbero i rappresentanti di un sistema politico avvertito come non proprio. Viceversa, il sud della provincia ha dimostrato di essere geograficamente più lontano da Belgrado ma politicamente più vicino al suo governo. È chiaro infatti che la concentrazione della popolazione serba nel nord del Kosovo non rappresenta soltanto una questione di tutela degli interessi nazionali del popolo serbo, ma è innanzitutto una questione di legittimazione politica.

Alla vigilia del voto infatti, la campagna elettorale era sostanzialmente divisa in due correnti principali: seguire le indicazioni di Belgrado, affinché venisse poi costituita la Zajednica; o boicottare le elezioni. Mentre nel sud del Kosovo, il partito appoggiato da Belgrado Građanska inicijativa “Srpska” (GIS) si ripresenta al ballottaggio con altri partiti serbi in sei comuni (Štrpce, Gračanica, Ranilug, Parteš, Klokot e Novo Brdo); nel nord della provincia i dati relativi ai comuni di Kosovska Mitrovica Nord, Zvečan, Zubin Potok e Leposavić non sono ancora stati pubblicati dalla Commissione elettorale centrale. In particolare, questo è dovuto principalmente agli incidenti verificatesi in tre distinte scuole di Mitrovica Nord, dove alle ore 17 circa, uomini incappucciati hanno fatto irruzione nei seggi, al fine di demolire le urne. Dopo l’accaduto, i 3 suddetti seggi sono stati chiusi al voto. Per quanto riguarda i comuni del nord, Valjdeta Daka, presidente della Commissione elettorale centrale, fa sapere che si deciderà nelle prossime ore circa l’invalidazione del voto di Mitrovica, dove solo i voti di una scuola (“Sveti Sava”) sono considerati come “danneggiati“, e che la decisione spetterà ad un apposito consiglio formato ad hoc.

Gli incidenti di Mitrovica non rappresentano nulla di nuovo ed inaspettato. Nonostante l’alta prevedibilità di incidenti  e il conseguente dispiegamento di funzionari internazionali OSCE e di personale di Polizia, nessuno è riuscito ad impedire che la situazione degenerasse in quello che era sicuramente il comune “più a rischio“.

Come si legge sul sito ufficiale del Partito democratico serbo (Demokratska stranka Srbije, DSS) – principale promotore del boicottaggio delle elezioni – nelle giornate precedenti e sino a due ore prima dell’accaduto, Marko Jakšić aveva avvertito che il boicottaggio sarebbe stato un successo che sarebbe arrivato “fino alla distruzione delle urne per il voto“. Krstimir Pantić, candidato principale del GIS ha quindi subito puntato il dito contro il DSS e ha chiesto insieme ad Aleksandar Vučić che le autorità serbe entrassero nella regione per misure di sicurezza, chiedendo infine che le elezioni venissero invalidate e ripetute.

Da parte del governo, il ministro senza portafoglio per il Kosovo e Metochia Aleksandar Vulin fa sapere che il boicottaggio e gli incidenti di ierifanno felici soltanto Hashim Thaçi e il DSS”. “I serbi di Mitrovica nord – prosegue Vulin – hanno perso l’opportunità di scegliere il proprio destino con le proprie mani.” I serbi del sud Kosovo hanno invece dimostrato un atteggiamento diverso “ed è grazie a loro se la Comunità dei comuni serbi verrà formata”.

Quello che questa volta è successo a Mitrovica nord ha poco a che vedere con l’intolleranza etnica tra albanesi e serbi del Kosovo, ed è invece un chiaro esempio di come la “questione del Kosovo” rappresenti sempre meno un interesse vitale nazionale, e sempre di più un interesse politico nazionale, da manipolare e sfruttare per racimolare consensi, sia a Belgrado che a Mitrovica. In altre parole, la giornata di ieri può essere ironicamente riassunta con un famoso detto serbo: ne daj Bože, da se srbi slože! (oh Dio, che non sia mai che i serbi siano d’accordo).

Foto: Veronika Gulyas, Twitter

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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2 commenti

  1. Filip Stefanović

    Trovo che ancora più che un interesse politico, tanto più che si parla di un partito (DSS) da anni marginalizzato sul panorama politico nazionale, si tratti di un sottobosco di interessi misti di natura economica e criminale, che trae beneficio dallo status quo e dal mantenimento incerto delle frontiere, oltre che dalle pesanti concessioni ancora oggi elargite da Belgrado, rubinetti che però è naturale ritenere andranno lentamente a chiudersi, quanto più i rapporti tra Serbia e Kosovo sapranno normalizzarsi.

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