In una scuola bosniaca, la maestra chiede se qualcuno conosce il numero degli abitanti del paese. Una mano si alza: “Lo so, lo so”, grida un bambino. “Bene, quanti sono?”, chiede l’insegnante; “Non lo so”, risponde deciso lo scolaro. “Bravo, risposta corretta, come facevi a saperlo?”, dice la maestra. La barzelletta, che rispecchia il tipico umorismo sarcastico dei bosniaci, è riportato da Le Monde diplomatique in un articolo dedicato al prossimo censimento in Bosnia. Un censimento “molto pericoloso”, titola il mensile francese.
Di solito i censimenti sono delle grandi affreschi statistici che interessano perlopiù demografi e sociologi. Da questo punto di vista, il censimento rileverà in Bosnia un calo della popolazione, il suo invecchiamento, un ininterrotto esodo rurale e soprattutto una robusta contrazione della natalità. Ma tutto ciò interessa relativamente. Perché il censimento è divenuto in realtà motivo di tensione se non di scontro. Di confronto politico più che scientifico, di una politica che gronda chiusure, timori e nazionalismi. Questo spiega perché in Bosnia le operazioni censuarie partono il primo ottobre (nonostante l’aiuto tecnico di Eurostat dureranno ben due settimane) dopo infinite ed estenuanti diatribe e rimandi (si doveva fare nel 2011) e dopo un buco nero durato ben ventidue anni (al mondo, solo la Somalia ha una situazione analoga). Infatti l’ultimo censimento – ancora jugoslavo – si tenne nel 1991, quando la Federazione era ormai arrivata al suo capolinea.
Dopo di che, come si sa, molte, troppe cose sono successe nei Balcani e soprattutto in quel suo epicentro (geografico e simbolico: la mala Jugoslavija) che è la Bosnia. Oggi il punto politicamente sensibile del suo censimento è dato dal quesito sulla nazionalità. Le possibilità offerte sono cinque: ci si può dichiarare serbo, croato, bosgnacco (musulmano), i tre “popoli costituenti”; oppure altro (rom, ebrei, albanesi…: sono ben diciassette le minoranze nazionali) o non pronunciarsi.
Con tre conseguenze. La prima è che, paradossalmente, i bosniaci, quelli cioè che semplicemente rifiutano di incasellarsi etnicamente, non sono presi in considerazione, non esistono. Dovrebbero dichiararsi altro come una qualsiasi minoranza o non rispondere: insomma scomparire nel mare magnum delle nazionalità (o dei nazionalismi), come successe a quanti si dissero jugoslavi nei censimenti federali dell’81 e del 1991. Il bello è che nel censimento pilota effettuato un anno fa, coloro che si definirono bosniaci furono il 35 per cento, non proprio una minoranza. Il che inquieta e disturba i partigiani dell’ordine etnico tripartito.
Il secondo problema è dato dai rischi delle manipolazioni (nelle campagne molti sono gli analfabeti) e dalle frodi che potrebbero nascere da coloro che possiedono la doppia nazionalità e che vivono al di fuori del paese, come i profughi e gli sfollati. Per questo motivo l’anno scorso in Macedonia il censimento saltò in seguito a dissidi tra albanesi e macedoni slavi.
Rimane poi il problema dei problemi. Sappiamo che vi è stata una guerra, la pulizia etnica, lo spostamento forzato di un terzo della popolazione e l’emigrazione di circa un milione di bosniaci. Ora contare gli abitanti significa de facto fissare dei rapporti di forza sul terreno: sapendo non solo quanti sono, ma anche come si autoclassificano per nazionalità. Per cui ogni comunità teme che la fotografia censuaria sveli a proprio svantaggio i disastri provocati dai vari esodi degli anni novanta. E che il censimento produca una nuova “carta etnica” che ufficializzi e legittimi – grazie alla statistica – le violenze di vent’anni fa. Rischiando anche di mutare i già fragili equilibri politici nelle aree ormai etnicamente omogenee. E’ anche vero però che se i numeri saranno corretti e veritieri si potranno finalmente bloccare le infinite strumentalizzazioni politiche che si sono fatte con grande facilità sulle stime ballerine ed incerte delle presenze nel territorio.
I risultati si vedranno l’anno prossimo. Nel frattempo è partito il “marketing censuario” delle tre principali comunità, tutte tese a catturare appartenenze. In particolare sono i bosgnacchi i più preoccupati di dover subire l’emorragia di coloro che si dichiareranno semplicemente bosniaci, indebolendo quindi questa componente etnica. Rimane il fatto che questo censimento più che i demografi interesserà i politologi, perché vi si gioca il passaggio dalla gelosa appartenenza nazional-nazionalistica alla libera cittadinanza civile e statuale. Chiudendo con i veleni degli anni novanta.
Vedremo, per usare la metafora di Rada Ivekovic, se si saprà apprezzare finalmente la moltitudine simbolica del bosanski lonac, il bollito bosniaco. Un piatto semplice e lento dove i numerosi ingredienti si insaporiscono a vicenda acquisendo un gusto che mai avrebbero separatamente. O se invece la Bosnia rimarrà una fumosa balkanska krcma, una locanda – per usare l’immagine di Miroslav Krleza – frequentata da gente rancorosa, chiusa, pronta – quando manca la luce – ad esibire i coltelli e la violenza. Sarà insomma il censimento dei numeri ma anche dei sentimenti.
FOTO: BPKG