TURCHIA: Il PKK depone le armi. Primavera curda o compromesso storico?

È iniziata una nuova era. Non è una fine, ma un inizio. Non è la fine della nostra lotta, ma l’inizio di un nuovo tipo di lotta. Una lotta fondata sulle idee, l’ideologia e la politica democratica.”

Parole di portata storica risuonano dal carcere di massima sicurezza di Imrali, isola nel Mar di Marmara a sud di Istanbul. A pronunciarle è Ocalan, capo spirituale del PKK, e subito seguono l’eco prodotta dall’immenso vuoto tra le mura del carcere e l’eco mediatica che tale comunicato inevitabilmente crea. Il fatto è totalmente inedito, e per certi versi inaspettato. A Ocalan, che non incontra i suoi avvocati dal 2011, il 3 gennaio scorso è stato concesso di incontrare i deputati del partito pro-curdo della democrazia e della pace (BDP). Il PKK e il partito pro-curdo hanno iniziato così il dialogo che ha portato poi alla storica lettera. Il giorno dell’annuncio del “cessate il fuoco” è quello del capodanno festeggiato da persiani e curdi: l’avvenimento verrà ricordato come “un Newroz di pace”. Pochi giorni dopo, il leader del PKK Karaylan annuncia ufficialmente l’imminente ritiro dal territorio turco.

Il dialogo con il BDP è stato importante anche perché rappresenta un dialogo con la politica delle poltrone che ha portato il governo a un’apertura verso il PKK. Apertura accolta straordinariamente di buon grado dagli indipendentisti curdi. L’obiettivo comune è quello di porre fine a un conflitto che da decenni infiamma il paese e che nell’ultimo anno ha raggiunto altissimi picchi di violenza. L’accordo, tuttavia, giunge in un momento in cui diverse circostanze hanno evidentemente giocato la propria parte.

Gli interessi politici di Ankara

Il percorso di pace tra la politica turca e i militanti curdi è da sempre costellato di avversità: scarsa volontà politica, forte nazionalismo turco istituzionalizzato, impossibilità di dialogo a causa della natura stessa del PKK, definito “terrorista”. Oggi il peso di alcune componenti sembra cambiato. Mantenendo in primo piano la necessità di porre fine ad un conflitto latente, sanguinario e fonte di tensione per l’intero paese, osserviamo alcuni altri elementi che, insieme, possono aver giocato un ruolo determinante.

Gli obiettivi del sultano

Il primo ministro Erdogan sta lavorando duramente per preparare il campo ad una riforma presidenziale che giochi tutta a suo favore. Per fare ciò, deve puntare sulle forze politiche che potrebbero garantirgli un sostegno in sede di votazione parlamentare. Il partito della democrazia e della pace, attraverso il fondamentale ruolo di interlocutore affidatogli, potrebbe appoggiare le posizioni auspicate dal leader dell’AKP.

Il ruolo del BDP

Il partito della democrazia e della pace rappresenta il contraltare del PKK nella lotta per i diritti dei cittadini di etnia curda. La posizione da mediatore assunta in questo processo di pace dà enorme visibilità ad un partito che oggi detiene 36 seggi in parlamento. Da questa posizione, e con un PKK indebolito, il BDP potrebbe assurgere con maggiore forza a voce ufficiale delle rivendicazioni curde.

La stabilità e il prestigio

La Turchia è in continua crescita. Alla faccia del trend europeo zeppo di segni “meno”, la Turchia avanza nell‘olimpo delle più potenti economie del mondo. Ogni fattore di instabilità politica è, naturalmente, un bastone tra le ruote per l’economia e, soprattutto, per l’attrazione di investimenti stranieri. Come prevedibile, la notizia politica dell’inizio del processo di pace con il PKK ha prodotto immediatamente una notizia economica: Moody’s aumenta il rating della Turchia che passa a “Ba1”, con prospettive positive.

La sindrome di accerchiamento

I curdi situati al di fuori della Turchia paiono aver acquisito maggiore forza e potere organizzativo. Nel nord dell’Iraq i curdi sono di fatto autonomi dal resto del paese, mentre in Siria Assad ha ormai perso il controllo dell’area. Le possibilità di una coesione maggiore per la causa comune sembrano aumentare. La Turchia avrà certamente ragionato sulla posizione da assumere di fronte a tale fermento ai confini e, a quanto pare, l’opzione del dialogo è risultata la più conveniente.

Prospettive di pace con nodi da sciogliere

Il processo di pace annunciato assieme all’ordine di cessare il fuoco pronunciato da Ocalan si compone di diverse fasi. La prima, indispensabile, è quella del dislocamento dei guerriglieri al di fuori dei confini turchi, cioè nel territorio iracheno. A seguire si potrà parlare di adeguamento legislativo della cittadinanza e altre questioni spinose per giungere, infine, ad una “normalizzazione” dei rapporti. Posto che non si è ancora fatto luce su alcuni punti critici (ad esempio, l’omicidio di tre militanti del PKK a Parigi rimasto ancora senza un colpevole certo, l’ergastolo di Ocalan), non è ben chiara nemmeno la dinamica con cui il processo di pace sarà condotto. Le richieste del governo sono nettamente più definite delle offerte. Non basterà deporre le armi ma sarà necessaria l’uscita del paese. E il trasferimento dei guerriglieri avverrà già nelle prossime settimane. Queste sono certezze. Per sapere quali saranno le azioni concrete per la creazione di un rapporto pacifico e paritario tra stato turco e popolazione curda, invece, si dovrà aspettare ancora.

Foto: Wikimedia commons

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