Catalogna, quando l'indipendentismo distrae dalla crisi

RUBRICA: Occidenti

La notizia è seria. Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha scritto una lettera all’Unione Europea affinchè questa si pronunci sulla possibile indipendenza della Catalogna. La parola “indipendenza” è sempre più sulle bocche dei catalani e qualcuno comincia a crederci davvero. Tra questi forse anche Rajoy, che altrimenti non si sarebbe premurato di chiedere a Bruxelles delucidazioni in merito. E Bruxelles ha risposto con una minaccia: se la Catalogna si dividerà dalla Spagna non sarà considerata membro dell’Unione e dovrà rinegoziare l’adesione. L’episodio del Camp Nou, lo stadio del Barcellona, che durante la recente sfida con il Real Madrid si è unito in una sola voce al grido di “indipendencia“, ha fatto andare su tutte le furie il governo centrale che, per bocca di García Margallo, ministro degli Esteri spagnolo, ha dichiarato: “Il Camp Nou danneggia il marchio Spagna e l’immagine del nostro Paese”. E con la crisi economica in corso, le randellate sui denti degli studenti a Madrid e Barcellona, la disoccupazione giovanile al 30%, i prestiti miliardari chiesti all’Unione, è proprio il Camp Nou a danneggiare l’immagine del Paese.

Ma il mal di pancia al governo Rajoy l’ha fatto venire Artur Mas, presidente della Generalitat de Catalunya, ovvero  il governo della comunità autonoma della Catalogna. Ebbene Artur Mas al potere dal 2010, ha convocato elezioni regionali anticipate per il prossimo 25 novembre. Promettendo un referendum di autodeterminazione, che però è proibito dalla Costituzione post-franchista del 1978. Cerchiamo di capire cosa c’è dietro.

Artur Mas è a capo di un partito di centrodestra (Convergencia i Uniò), autonomista ma non indipendentista, che ha però approfittato dell’onda indipendentista (rafforzatasi a seguito della crisi economica) per sciogliere il parlamento e convocare le elezioni dove probabilmente stravincerà. Finora l’indipendentismo era istanza della sola Esquerra republicana de Catalunya, partito di sinistra radicale. Il partito di Mas, al governo catalano dal 1980, non porta avanti politiche diverse da quelle del partito popolare di Mariano Rajoy. La ricetta anticrisi è la stessa: tagli a sanità e scuola, austerità economica, prestiti. Eppure Convergencia i Uniò potrebbe ottenere, secondo i sondaggi, la maggioranza assoluta. Resta da capire se, vinte le elezioni, Artur Mas aprirà davvero all’ipotesi referendaria o se semplicemente sta cavalcando l’onda indipendentista per rafforzare il proprio potere.

Più verosimile è che, ottenuta una vittoria schiacciante, Mas giochi la carta dell’autonomia fiscale. E se Madrid accettasse, la carta indipendentista verrebbe immediatamente rimessa nel mazzo per essere tirata fuori alla prossima occasione utile. Quella dell’autonomia fiscale è l’ultima tessera del puzzle mancante alla Catalogna, già autonoma nel campo dell’istruzione, della sanità, della giustizia e della polizia, oltre al 50% dell’Irpef, il 50% dell’Iva, il 58% delle imposte speciali. L’autonomia fiscale significherebbe la raccolta delle tasse da parte del governo catalano che poi darebbe la parte dovuta a Madrid e non viceversa, come accade ora.

La richiesta dell’autonomia fiscale era già stata avanzata da Mas a Rajoy nei mesi scorsi ma il governo centrale aveva risposto picche. E’ a quel punto che Mas ha cambiato posizione sull’indipendenza. A ben vedere, dunque, siamo di fronte a ragioni economiche e non politiche. Alla classe dirigente non interessa l’indipendenza ma il rafforzamento del potere. Un potere fin qui gestito male, con un debito (della sola Catalogna) di 32 miliardi, di cui 10 contratti solo nell’ultimo anno, mentre le agenzie di rating qualificano i Bond regionali catalani come spazzatura. Non solo, all’odiata Spagna il governo catalano ha chiesto un prestito di cinque miliardi di euro.

E la manifestazione che ha visto lo scorso 11 settembre circa un milione di persone in piazza dietro lo striscione «Catalogna nuovo Stato d’Europa» è stata promossa e pilotata dal governo Mas e dai media “amici”.  Un evento storico, senz’altro, se guardiamo alla spontanea e massiccia adesione popolare, ma anche inquietante poiché sembra di assistere a una partita truccata che si sta giocando sulla testa delle persone che sinceramente credono nella possibilità dell’indipendenza catalana e che molto hanno fatto per costruire una identità locale che non si fondasse su basi etniche, evitando quel pernicioso etno-nazionalismo che ovunque vediamo diffondersi in un’ Europa sempre più in crisi.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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7 commenti

  1. Che tipi questi due! davvero sembra che stiano giocando sulla testa delle persone.

    A mio avviso Rajoy ha attenuto dall’Unione europea proprio quello che voleva, un risposta piuttosto negativa per la Catalogna. Si potrebbe leggere in due modi la sua lettera alla Ue.
    Il primo, a mio avviso molto più credibile, è che Rajoy non avesse la forze politica necessaria per dire un “no” alla Catalogna, e quindi ha deciso di far intervenire il peso più consistente dell’UE
    Il secondo, che mi piace assai ma è molto utopico, è che l’Unione europea finalmente viene riconsiderata per il suo valore politico.

    D’altra parte Mas non ha fatto altro che alzare la posta per ottenere quello che gli era già stato negato.
    Come un’amica, che – incinta -era andata dalla ginecologa “quante sigarette fuma al giorno?” “3” “allora passi a due”… e la volta successiva “quante sigarette fuma al giorno?” “4” “beh, allora passi a 3″….

  2. Europeizzazione dei balcani o BALCANIZZAZIONE D’EUROPA?

  3. Nel frattempo, in Scozia: http://www.ilpost.it/2012/10/10/la-scozia-votera-sullindipendenza-nel-2014/
    Coincidenza: il 2014 sarà il 300esimo anniversario della sconfitta catalana nella guerra di successione spagnola, che segnò la fine dell’autonomia catalana. Ricorrenza che qui in Catalunya si celebra (nonostante si tratti, appunto, di una sconfitta) come festa nazionale, l’11 di settembre. Proprio l’11 settembre scorso, non a caso, si è tenuta la manifestazione indipendentista citata nell’articolo. Pertanto, occhio al 2014: molti da Barcellona gia’ cercano l’ “aggancio” all’esempio scozzese (che oggi era prima notizia su tutti i media catalani), primo caso di referendum indipendentista nell’Europa Occidentale dal dopoguerra. E intanto si mobilitano i simboli, le ricorrenze e i miti della nazione: basta cercare “Catalunya 2014” su Google, e guardate cosa viene fuori…

  4. Certo, c’è una piccola differenza tra i due casi: l’indipendentismo scozzese sembra destinato alla sconfitta. Secondo il sondaggio più recente, 28% a favore e 53% contrari, 19% indecisi (http://www.tns-bmrb.co.uk/assets-uploaded/documents/press-release-independence-poll-oct-2012_1349694270.pdf). Invece in Catalunya gli ultimi sondaggi effettuati prima della manifestazione dell’ 11 avevano visto per la prima volta nella storia i sì all’indipendenza in vantaggio, seppur lieve. Ed è di oggi la notizia che il 74% dei catalani è d’accordo per almeno farlo il referendum (http://www.ara.cat/politica/convoqui-referendum-dautodeterminacio-Catalunya-CEO_0_789521150.html)

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