L’Ungheria prende le distanze dall’Azerbaijan dopo aver concesso l’estradizione al militare azero Ramil Safarov, colpevole dell’omicidio dell’ufficiale armeno Gurgen Margaryan, avvenuto nel 2004 nei pressi di Budapest. Rientrato in Azerbaijan, Ramil Safarov ha ottenuto il perdono ufficiale, la promozione al rango di maggiore dell’esercito, una casa e otto anni di paghe arretrate. Il ministero degli Esteri di Budapest ha fatto sapere con un comunicato ufficiale di considerare inaccettabile il fatto che Safarov sia stato perdonato.
Una dichiarazione che non basta a placare l’opposizione interna e tantomeno l’Armenia, che lascia presagire scenari preoccupanti. Il presidente armeno Sarzh Sargsyan, ospite di un programma televisivo, ha tuonato: “Non vogliamo la guerra, ma se dovremo farla, combatteremo e vinceremo. Non abbiamo paura degli assassini, anche se godono della protezione del capo di stato” Senza mezzi termini, Sargsyan ha definito quello confinante, un paese dove “con ordini al di fuori della legalità si danno libertà e gloria pubblica a ogni bastardo che uccide della gente solo perché di nazionalità armena“. A calmare le acque è poi intervenuto il ministro degli esteri armeno Edward Nalbandian, il quale ha sottolineato che l’Armenia non intende interrompere i negoziati di pace con l’Azerbaijan, anche se la decisione di perdonare Safarov ha avuto un impatto negativo sul percorso verso una soluzione pacifica al conflitto del Nagorno-Karabakh. Nelle ore successive, lo stesso Sargsyan è intervenuto a moderare le proteste contro l’Ungheria. Il presidente ha intimato alla nazione di smettere di bruciare bandiere ungheresi per protesta. Domani, l’Armenia non parteciperà al meeting dei ministri degli esteri dei paesi del CIS.
La risposta dell’Ungheria
Il governo magiaro dichiara di aver agito in conformità con la Convenzione di Strasburgo del 1983, concedendo il regolare rimpatrio di un condannato cittadino di un altro stato firmatario del documento. Le misure intraprese dall’Azerbaijan al rientro di Safarov sono invece giudicate “contrarie alle norme della legge internazionale e in clamorosa contraddizione con la promessa, confermata ufficialmente subito prima del trasferimento, che al detenuto sarebbe stata imposta la prosecuzione della condanna in Azerbaijan”. Peccato che il testo della Convenzione di Strasburgo (Art. 12) specifichi che “Ciascuna parte può accordare la grazia, l’amnistia o la commutazione della condanna conformemente alla propria Costituzione o ad altre leggi“.
D’altra parte le decisioni azere, si legge nel seguito del comunicato del ministero ungherese, non sono in linea con il rapporto di fiducia reciproca sviluppato negli scorsi anni, che potrebbe migliorare la collaborazione bilaterale. In una nota, presentata dal segretario di stato per gli affari esteri all’attenzione dell’Ambasciatore azero a Budapest, si fa inoltre riferimento alla lettera XX-NBSKFO/3743/4/2012 del 15 agosto 2012 indirizzata al ministero dell’amministrazione pubblica e della giustizia magiari, con cui l’Azerbaijan promette di rispettare le condizioni prestabilite per il rimpatrio di Safarov. Il primo ministro Viktor Orbán invita alla calma: “Manteniamo un occhio tranquillo sulla situazione e restiamo in silenzio. Onoriamo e rispettiamo l’Armenia e speriamo di poter mantenere buone relazioni nei decenni a venire” ha concluso Orbàn. C’è da augurarsi, che queste pacate parole non raggiungano l’orecchio del presidente armeno in questo momento così delicato, perchè non suonano troppo costernate. La Chiesa si mantiene sulla stessa linea: Vicken Aykazian, ex presidente del consiglio nazionale delle chiese, spiega che l’Ungheria “è vittima delle continue politiche anti-Armenia e delle scelte dell’Azerbaijan”.
La reazione della sinistra ungherese
Il partito di opposizione socialista magiaro, MSzP, ha chiesto una spiegazione dei fatti, mentre il deputato della stessa formazione, nonchè vertice della commissione parlamentare per la sicurezza nazionale, Zsolt Molnár, richiede le dimissioni del ministro degli esteri Martonyi e richiama l’attenzione sulla protezione degli ungheresi residenti in Armenia. La coalizione democratica DK, partito dell’ex primo ministro Ferenc Gyurcsány, ha approfittato di una protesta già programmata contro la politica del governo Fidesz in materia di istruzione, per manifestare contro la gestione del caso Safarov. “Difficile che un governo capace di barattare l’onore del paese per 30 pezzi d’argento, e rilasciare un assassino, sia nella posizione di introdurre l’insegnamento dell’etica nelle scuole” ha commentato l’ex premier.
Il sospetto di un accordo Budapest-Baku
La menzione di Gyurcsani ai “30 pezzi d’argento” si riferisce al sospettato accordo tra Ungheria e Azerbaijan che avrebbe motivato il cambiamento di opinione dello stato mitteleuropeo sull’estradizione di Safarov. Il 23 agosto scorso, il settimanale economico magiaro Figyelő informava sull’intenzione dell’Azerbaijan di acquistare bond del tesoro ungherese, a scadenza biennale o triennale, per un totale tra i 2 e i 3 miliardi di euro. Nell’articolo si faceva riferimento a una non meglio precisata fonte dal Ministero dell’Economia. Il periodico era stato subito ripreso da László András Borbély, vice-amministratore delegato dell’agenzia statale per la gestione del debito (ÁKK), il quale ha affermato che l’ÁKK non metterà in programma l’emissione di bond del tesoro in valuta straniera prima della firma di un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (le trattative in merito dovrebbero riprendere nelle prossime settimane, quando l’FMI si recherà a Budapest per verificare la condizione economica del paese).
L’odio azero verso l’Armenia
In Azerbaijan, quello commesso da Safarov non è stato considerato un crimine, nonostante la legge locale preveda l’ergastolo per gli omicidi colposi. Nel 2004, anno in cui uccise il militare armeno Gurgen Margarian, Safarov fu dichiarato eroe nazionale. Oggi, la stampa locale azera definisce Safarov “un eroe per l’intero mondo musulmano“, mentre la sua liberazione “migliorerà l’umore psicologico della società”. Del resto, a marzo, è stato il capo di stato azero Ilham Aliyev a definire il popolo armeno di tutto il mondo “nemico numero uno dell’Azerbaijan”, aggiungendo in seguito che l’Armenia sta portando avanti una “guerra di informazione” contro gli azeri, per presentare l’Azerbaijan sulla scena internazionale come un paese arretrato e non democratico. E il sentimento non si ferma alle alte sfere; un’indagine sui blog azeri – nel quadro di un più ampio rapporto firmato dall’Ong londinese International Alert – porta alla luce una diffusa tendenza a considerare il popolo dell’Armenia una malattia o comunque l'”altro”, visto come nemico, truffatore e delinquente.
Protesta armena al CSI
Nel pomeriggio del 4 settembre le forze di polizia armene hanno inviato un messaggio ai partecipanti al meeting dei paesi del CSI (Comunità Stati Indipendenti), dichiarando che non prenderà parte alla data che avrebbe dovuto presiedere e invitandoli a trasferire la presidenza dell’imminente incontro (si terrà il 6 settembre) all’omologo russo. I paesi della comunità si alternano l’incarico procedendo per ordine alfabetico: il nome successivo alla rinunciataria Armenia è quello dell’Azerbaijan; passare il compito alla Russia significa invertire il senso di rotazione alfabetica. La richiesta è stata respinta e sarù quindi l’Azerbaijan a condurre l’incontro. L’Armenia ha ribadito che non parteciperà.