Lo scorso 18 marzo, i ministri della difesa di Albania, Croazia e Kosovo si sono riuniti a Tirana e hanno siglato un accordo trilaterale per aumentare la cooperazione in materia di difesa tra i loro paesi, aprendo una nuova fase nelle relazioni militari della regione. Questo accordo arriva in un momento storico caratterizzato da nuove sfide geopolitiche e da una crescente instabilità nei Balcani, soprattutto a causa dell’influenza russa nell’area e delle mire secessioniste del leader della Republika Srpska Milorad Dodik. La firma della dichiarazione congiunta ha scatenato reazioni opposte, con grande soddisfazione da parte dei governi coinvolti da una parte, e invece forti critiche da parte della Serbia.
I contenuti dell’accordo
Come affermato dal ministro degli esteri kosovaro Ejup Maqedonci, l’accordo è basato su una comune visione geostrategica ed impegno per garantire la stabilità regionale, rafforzare la pace e la sicurezza per i rispettivi popoli e non rappresenta una minaccia verso alcun Paese, non essendo una coalizione contro qualcuno ma un impegno per la protezione reciproca. Grazie a questo accordo infatti, i tre Paesi lavoreranno per aumentare l’interoperabilità tra i loro eserciti attraverso l’istruzione, l’addestramento e le esercitazioni congiunte, si impegneranno nella lotta contro le minacce ibride e coordineranno le proprie politiche militari con l’obiettivo nel rispetto degli standard e obiettivi strategici della NATO.
L’accordo non prevede solo un coordinamento sul piano militare, ma anche una cooperazione industriale. Croazia, Albania e Kosovo intendono sviluppare insieme tecnologie per la difesa, rafforzare le capacità produttive di armamenti e munizioni, e collaborare alla creazione di un mercato comune della difesa. In particolare, il Kosovo ha annunciato un ambizioso piano di investimenti che prevede un aumento del 60% del bilancio della difesa nei prossimi quattro anni, oltre alla creazione di impianti per la produzione di droni.
La reazione di Belgrado
La reazione serba non si è fatta attendere. Il presidente Aleksandar Vučić e il ministro della difesa Bratislav Gasic hanno fortemente criticato l’accordo, definendolo una provocazione, una pericolosa militarizzazione dei Balcani e una minaccia alla popolazione serba, accusando inoltre le autorità croate di non essersi consultate con Belgrado prima di arrivare alla firma.
In tutta risposta, il ministro della difesa croato Ivan Anusic, tramite un duro post sul suo profilo X, ha affermato che il tempo in cui Zagabria doveva chiedere autorizzazioni a Belgrado è finito da parecchi anni e che, in quanto stato sovrano, la Croazia è libera di firmare accordi senza doversi confrontare con nessuno. Sulla stessa linea, anche la ministra degli Esteri kosovara Donika Gërvalla-Schwarz ha fortemente criticato la reazione serba, accusando le autorità di Belgrado di violare l’accordo di Bruxelles e di essere, ancora una volta, il maggiore autore destabilizzante della regione. Anche il ministro della difesa albanese Pirro Vengu ha ribadito come questo accordo tripartito rispetti perfettamente gli obiettivi strategici dell’UE, non ponendo alcun rischio per la Serbia che da parte sua continua a giudicare negativamente ogni tentativo di cooperazione degli altri attori della regione.
Un contesto regionale delicato
L’accordo nasce in un contesto regionale complesso. Kosovo e Serbia sono impegnati in un processo di normalizzazione delle relazioni mediato dall’UE che però sembra lontano dal concludersi e che non porta a risultati concreti da ormai molto tempo, mentre la Bosnia Erzegovina attraversa una fase di pericolosa instabilità interna. Persistono ancora oggi nella regione le tensioni etniche e politiche alimentate da nazionalismo e populismo che trent’anni fa avevano portato al decennio più buio della recente storia del continente europeo, e che oggi rischiano di distruggere la traballante stabilità dell’area.
L’accordo, firmato tra due paesi membri della NATO, Albania e Croazia, ed un paese la cui ambizione di entrare a far parte dell’Alleanza atlantica costituisce probabilmente il maggiore obiettivo di politica estera, il Kosovo, rappresenta un passaggio importante in questo contesto. Se i paesi firmatari lo presentano come una base per la costruzione di un’architettura di sicurezza balcanica fondata su cooperazione, solidarietà e visione strategica condivisa, dall’altro finisce per alimentare inevitabilmente la retorica dell’accerchiamento portata avanti dalle autorità serbe, risultando in nuove tensioni tra i paesi della regione.
Foto: Koha