Elezioni Bielorussia

Elezioni Bielorussia: trent’anni e più di Lukashenko

Il 26 gennaio i cittadini bielorussi verranno richiamati alle urne per le settime elezioni dell’era Lukashenko. Elezioni di cui il risultato è ampiamente previsto.

Trenta e più anni di Lukashenko

Non ci saranno sorprese questa domenica, quando la macchina elettorale si muoverà per proclamare il settantenne bielorusso presidente. L’attesa riguarda esclusivamente la percentuale con cui Lukashenko vincerà le elezioni: una percentuale più bassa (vicino al 77% con cui vinse nel 2001) può essere sintomatica di un clima di distensione nei confronti dell’opposizione; dall’altra parte, percentuali uguali o superiori all’84% (raggiunte nel 2006 e nel 2015) saranno indice di un assoluto predominio.

Non è un caso, quindi, che il propagandista Ihar Tur (sanzionato da Unione Europea, Canada, Svizzera e Ucraina) abbia dichiarato a novembre che Lukashenko avrebbe raccolto il 90% delle preferenze. Le elezioni avverranno in un clima possibilmente più repressivo di quelle degli scorsi anni: la grande ondata di proteste del 2020 ha lasciato un segno profondo, e a più di quattro anni da quell’agosto, l’ex generale sente di non aver ancora ripristinato completamente il suo potere. Non ci saranno, infatti, né osservatori indipendenti né osservatori dell’opposizione. A ciò si aggiunge l’assenza di seggi allestiti all’estero e il rinnovato divieto di filmare o fotografare le schede – materiali, questi, che erano serviti nel 2020 per dimostrare le frodi messe in atto dal regime.

Sparring partners

A correre “contro” Lukashenko saranno in quattro, accuratamente selezionati dalla Commissione Elettorale Centrale (CEC) e per questo decisamente lontani dal rappresentare una vera minaccia.

Alexander Khizhnyak, del Partito Repubblicano del Lavoro e della Giustizia, ha proposto il progetto “Bielorussia 2030”. Nonostante il suo partito abbia performato bene alle scorse elezioni parlamentari, la sua rimane una figura abbastanza sfuggente, avendo parlato di rado in pubblico.

Oleg Gaidukevich, del Partito Liberal Democratico, eredita dal padre, Sergei, il posto di sparring partner, avendo quest’ultimo corso per le elezioni presidenziali nel 2001, nel 2006, nel 2010 e nel 2015.

Sergei Syrankov, del Partito Comunista, ha dichiarato che non correrà “contro” Lukashenko, ma insieme a lui.

Le uniche dichiarazioni interessanti sono giunte da Hanna Kanapatskaya, che corre come indipendente. Con un’enorme perifrasi ha proposto “l’attenuazione della pena con la massima applicazione possibile dell’amnistia e dell’indulto” per le “persone assicurate alla giustizia per gli eventi del precedente ciclo elettorale”, cioè, in buona sostanza, la scarcerazione dei prigionieri politici. Nelle carceri bielorusse rimangono, ancora oggi, più di un migliaio di oppositori, molti dei quali in un regime di totale isolamento. Il 2024 ha visto intensificarsi la campagna di repressione del regime, che nell’anno appena trascorso ha comminato 1721 condanne in procedimenti penali politici.

Nuovo anno, stessa storia

Nonostante l’opposizione bielorussa sia solida e riunita intorno alla protagonista delle proteste del 2020, Sviatlana Tsikhanouskaya, non c’è alcuna possibilità che gli oppositori all’estero possano impedire la rielezione di Lukashenko. Dunque, cosa aspettarsi da questo settimo mandato?

Il regime bielorusso continuerà, con tutta probabilità, a perseguire le strategie che ha adottato in questi anni: da una parte l’alleanza culturale, politica e militare con la Russia, da cui il paese non può prescindere. La Bielorussia rimane un importante partner militare nel contesto della guerra in Ucraina, e Lukashenko sa quanto il sostegno russo sia fondamentale per preservare il suo potere – d’altronde, il regime sarebbe probabilmente già crollato quattro anni fa se non fosse intervenuto il Cremlino.

D’altra parte, però, sembra evidente che l’attuale e futuro presidente sia preoccupato per la spirale di crescente isolamento in cui sta venendo trascinata la Bielorussia. Una preoccupazione che si è materializzata in svariati tentativi – tutti fallimentari – di smarcarsi, anche di poco, dalle politiche di Mosca e di ingraziarsi l’Occidente. Ne sono un esempio la recente scarcerazione di 250 prigionieri politici, l’incontro con Guterres nel luglio dello scorso anno, l’apertura temporanea ai viaggiatori senza visto (conclusasi il 31 dicembre 2024) e il tentativo di riposizionarsi e ripresentarsi, nella crisi, come un possibile interlocutore (vedi, in proposito, il presunto ruolo di mediatore che Lukashenko si sarebbe ritagliato durante il fallito colpo di stato di Prigozhin).

Foto: Livio Maone

Chi è Davide Cavallini

Laureando in Storia. Cuore diviso tra la provincia est di Milano e l'Est Europa. Appassionato di movimenti giovanili, politiche migratorie e ambientali, si occupa principalmente di Romania, Moldavia e Russia.

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