Elezioni in Bielorussia

Elezioni in Bielorussia, un rituale senza significato e senza giustizia

Si sono tenute le elezioni parlamentari in Bielorussia necessarie a formare un nuovo organismo, l’Assemblea Popolare Panbielorussa, con poteri superiori al quelli del parlamento. Un ulteriore tassello repressivo ma i destini del regime dipendono dall’esito della guerra in Ucraina…

Il risultato delle elezioni parlamentari e locali bielorusse, che si sono tenute ieri, 25 febbraio, era noto già prima del voto, dato che solo coloro che sostengono il regime hanno potuto competere. I candidati si sono suddivisi tra i quattro partiti ufficialmente registrati, che sostengono tutti la politica di Lukashenko: Belaya Rus, il Partito Comunista, il Partito Liberal Democratico e il Partito del Lavoro e della Giustizia.

Ci sono però alcuni elementi di interesse. Anzitutto, si tratta delle prime elezioni in Bielorussia dopo il voto presidenziale del 2020 che ha conferito a Lukashenko il suo sesto mandato e ha innescato un’ondata di manifestazioni di massa senza precedenti. Le proteste, che imperversarono nel paese per quasi un anno, portarono centinaia di migliaia di persone nelle strade. La repressione poliziesca ha infine avuto la meglio sugli scioperi e sulle manifestazioni, con circa 40mila arresti. Oltre 1.400 prigionieri politici marciscono ancora dietro le sbarre, tra questi anche Ales Bialiatski, vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 2022. Ma quella rivoluzione mancata mostrò al mondo la vivacità e la forza di una società nuova, distante dalla mentalità autoritaria del potere, con una forte componente giovanile e femminile. La guerra in Ucraina e l’ingresso delle truppe del Cremlino nel territorio bielorusso hanno dato il colpo finale alle proteste che, però, sono riprese proprio nelle settimane precedenti queste elezioni. Sotto la cenere, il fuoco brucia ancora.

Un secondo elemento di interesse è il ruolo degli oligarchi e degli uomini d’affari bielorussi che, nel 2020, convinti che la caduta del regime di Lukashenko fosse inevitabile, presero parte attivamente ai processi politici in Bielorussia. La successiva normalizzazione ha costretto a rapidi dietrofront, ma i gruppi imprenditoriali non sono soggetti passivi e sembrano destinati a giocare un ruolo importante nella futura transizione democratica. Al momento, è ovvio che le prospettive di cambiamento politico in Bielorussia sono rinviate sine die ma dopo il 2020 il consolidamento del regime bielorusso è stato possibile solo in virtù del sostegno russo. L’esito della guerra in Ucraina avrà ricadute decisive sulla Bielorussia.

Oggi come oggi, non esistono minacce interne al potere di Lukashenko. La principale esponente dell’opposizione, Sviatlana Tsikhanouskaya, si trova in Lituania e non sembra in grado di scalfire il regime. Il suo appello a boicottare le elezioni non spaventa un regime come quello bielorusso, esperto nel truccare i risultati elettorali. Anche le ingenue speranze di molti in merito a un’ipotetica malattia del dittatore si sono rivelate un wishful thinking. Occorre fare i c0nti con la realtà, Lukashenko ha 69 anni e tre figli maschi cui passare il testimone. Piuttosto, è al quadro geopolitico internazionale che occorre guardare. Il regime bielorusso non sarà in grado di reggere alla fine del putinismo, ma quella fine appare ancora lontana.

Guardiamo quindi a cosa succederà adesso. Concluse le votazioni parlamentari e le elezioni locali, verrà formato un nuovo organismo statale, l’Assemblea popolare panbielorussa, che conterrà 1.200 delegati tra cui funzionari, membri dei consigli locali, sindacati, attivisti filo-governativi e altri, e opererà in parallelo con il parlamento, che consiste di due camere, una bassa di 110 deputati e una alta di 64 senatori. L’Assemblea, creata da Lukashenko, avrà poteri superiori a quelli del parlamento e potrà decidere politiche, progetti legislativi, proporre emendamenti costituzionali, nominare giudici. Ecco il senso di queste elezioni: preservare e rafforzare il regime. Un rituale senza significato e senza giustizia.

Immagine di Marc Veraart via Flikr, licenza CC BY-ND 2.0 DEED

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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